Oggi non è di un saggio letterario o linguistico, come dal suo autore ci saremmo potuti aspettare, che vi voglio parlare. E nemmeno di un’opera di finzione, anche se, letta a oltre mezzo secolo di distanza dai fatti, pare una vicenda tragicomica. Originario di Mendrisio, dove è nato il 17 febbraio 1946, Marco Fantuzzi (M.F. le sue iniziali: ovvio, direte, ma…) è figlio di buona e nota famiglia borghese, padre dentista. Ha studiato a Firenze e Friburgo, si è laureato
summa cum laude, ha anche pubblicato, nel 1975, la sua tesi di dottorato
Meccanismi narrativi nel romanzo barocco (Antenore, 1975). E, dopo la buriana di cui sotto, ha insegnato all’École de traduction et d’interprétation dell’Università di Ginevra.
In ambito narrativo ha pubblicato una trilogia – che comprende Monte Rosa (2014), Graeca capta (2015) e La moglie svizzera (2016) – ambientata nel mondo dell’insegnamento, al quale, come anticipato, ha appartenuto egli stesso – in cui compaiono, tra i protagonisti, alcuni docenti più o meno appassionati della loro professione, più o meno “trasgressivi”, più o meno “sovversivi”. Fantuzzi ha dato alle stampe anche la raccolta Schegge di luce. Frammenti poetici 1997-1999 (Alla chiara fonte, 2021) ed è presente con articoli e recensioni su Il Cantonetto, Cenobio e Archivio Storico Ticinese. Curioso un altro suo saggio, Per una storia della lingua della stampa automobilistica italiana: Quattroruote 1956-1999 (Bulzoni, 1999).
Ma torniamo alla buriana, finalmente. Fresco e attualissimo, Diario d’aldiquà. CH 1976 (Armando Dadò Editore, 2023) è preceduto, nel 2020 e presso lo stesso editore, da Diario d’aldilà. URSS 1976. Due libri tra loro indissolubili, poiché entrambi ci riportano a quel 1976 in cui l’Europa del dopoguerra era ancora divisa tra Est e Ovest; in cui – e fino al 9 novembre 1989, con la caduta del Muro di Berlino – per indicare i confini con i quasi impenetrabili Paesi del blocco comunista si usava la metafora della cortina di ferro; in cui i partiti della Sinistra si dividevano tra ortodossi ed eurocomunisti-riformisti. Diario d’aldilà è la cronaca del viaggio che l’allora trentenne Fantuzzi fece, con un gruppo di giovani romandi iscritti al Partito del lavoro che si recarono a Mosca e Tallin per un corso di formazione politica.
La sua appartenenza politica, il suo ruolo di co-fondatore e presidente della sezione friburghese del Parti du Travail e di articolista (che si… celava sotto la sigla M.F.) su La Voix Ouvrière, ma anche quell’inaudita trasferta oltrecortina contribuirono a far finire l’autore sotto l’osservazione della Polizia federale svizzera (BUPO) nel contesto di quello che è ricordato come lo scandalo delle schedature, scoppiato il 22 novembre 1989, che portò alla scoperta di 900 mila fascicoli intestati a singole persone e organizzazioni allestiti dalla polizia politica e dal controspionaggio senza alcuna base legale.
Con comprensibile curiosità, nel marzo 1990 Fantuzzi chiese di prenderne visione e scoprì che il suo dossier si componeva di 131 pagine: le prime annotazioni risalgono al 29 marzo 1967 quando studiava a Firenze, insieme alla morosa M.N. (“amica particolare” in termini tecnici), coetanea, di buona famiglia e momò come lui; guidava non una FIAT 124, bensì una Lada rossa fabbricata a Togliatti (anche se targata TI 26842) ed era già definito, per tutte queste ragioni, “estremista” o “linksorientiert”. Gli ultimi appunti sul suo conto sono datati 28 marzo 1987. Ancora oggi non si sa chi fossero gli informatori della Polizia e parti delle singole schede sono state rese parzialmentze illeggibili o cancellate.
Diario d’aldilà, Fantuzzi lo scrisse durante il viaggio in URSS per poi consegnarlo, a mo’ di rendiconto, al PdL svizzero. Solo mezzo secolo più tardi lo riprese in mano, aggiungendo una postfazione (essenziale) che aggiorna e rilegge le annotazioni originali.
Diario d’aldiquà è invece la trascrizione-traduzione di 20 anni di schedature di cui l’autore era stato oggetto. E con tutte le conseguenze del caso. Nella fattispecie, quel clima di sospetti, chiusura, attenzione estrema alla sicurezza nazionale e a tutto quanto la poteva minacciare, in una cornice di guerra fredda – seppur agli sgoccioli – colpisce tale M.F., brillantemente laureato in lettere che, avendone tutti i titoli, il 4 gennaio 1977 si candida per un posto di lavoro al Museo nazionale dopo avere già lavorato per un servizio di traduzione dell’Amministrazione federale. Iniziali del nome, data di nascita (17.2.1946) e le altre indicazioni vi dicono niente? Controcorrente rispetto alla maggioranza, M.F. professava anche pubblicamente posizioni progressiste e non conformiste che vennero considerate indice di scarsa affidabilità e insufficiente allineamento ai valori del Paese.
Il libro ripercorre e ricostruisce l’intero iter di quella candidatura. Il posto, che sembrava ormai ottenuto da M.F., tarda inizialmente ad essergli assegnato. Dopo alcuni ulteriori colloqui con i vertici del Museo e l’allora potentissimo consigliere di Stato zurighese Alfred Gilgen, la candidatura viene definitivamente bocciata 8 mesi più tardi. M.F. fu – per farla breve – vittima di Berufsverbot.
Nel libro di Fantuzzi si alternano la trascrizione dei documenti di polizia di allora, con il loro linguaggio burocratico, rigido, involontariamente comico, e l’ironia caustica di Fantuzzi che, per aver visione del proprio dossier dovette aspettare fino all’8 novembre 1995, ossia quasi 6 anni e che, sull’intera vicenda, è tornato a distanza di mezzo secolo: “Nel caso specifico nulla poteva essere rimproverato al nostro dottor fedina penale vergine, nessuna traccia di violazioni della legge, consumo o spaccio di droghe, violenza domestica o semplice infrazione al codice della strada, né una segnalazione per ubriachezza molesta, schiamazzi notturni, comunque cose non incompatibili con l’attività di un conservatore di museo; ma nonostante tutto, di una sua assunzione non si sarebbe nemmeno potuto parlare. Fuori discussione!”. O ancora: “Arrivati a questo punto, i responsabili del Landesmuseum avevano fretta di chiudere la pratica e di liberarsi di una simile patata bollente, tanto più che i tempi stringevano e che la commissione ad hoc aveva assoluto bisogno di chiarirsi le idee prima di compiere chissà quale passo falso. Con il rischio magari di nominare ad un posto di pur modesta responsabilità un avversario politico o semplicemente un intellettuale di sinistra. Che era forse anche peggio. Magari anche una spia straniera o un infiltrato proveniente da chissà dove, ma comunque in grado di sabotare le normali attività museali o di nuocere al buon nome dell’istituzione.”
Nell’immagine: parte della schedatura di un altro scrittore svizzero, Max Frisch