«Le relazioni transatlantiche godono di buona forma, qualche crepa in superficie non intacca la sostanza, Usa ed Ue sono fianco a fianco contro la Russia, ma i Paesi europei sono sicuramente in una fase di ripensamento del loro ruolo». A parlare è Charles Kupchan, analista del Council on Foreign Relations e principale consigliere sull’Europa al Consiglio di Sicurezza nazionale con Obama.
«Non credo sia così irresponsabile da trascinare gli Usa fuori dalla Nato e nemmeno di ritirare le truppe americane dall’Europa. Certo mi aspetto un taglio netto agli aiuti all’Ucraina e negoziati con Putin, ma non credo la sua elezione farebbe saltare in aria le relazioni. Queste subiranno un cambiamento indipendentemente dalle sue politiche».
«Europei e Paesi dell’Asia stanno già ragionando sull’affidabilità e le disfunzioni dell’America. E questo ha innescato un dibattito evidente a Bruxelles e nelle capitali sulla necessità di aumentare quella che Macron chiama la autonomia strategica. Ma è un passaggio, un percorso, che credo l’Europa farà indipendentemente da chi il 5 novembre vincerà le presidenziali Usa».
Cosa comporta questo passaggio?
«Anzitutto il fatto che l’Europa si muova lungo questa direzione è una strategia win-win».
Ovvero?
«Se l’Europa investe più in sicurezza e difesa si pone in una situazione di vantaggio: se Biden viene rieletto è un partner più solido; se vincerà Trump, gli europei saranno in grado di camminare da soli».
È un percorso lungo però, le sfide, soprattutto quella con Putin, sono oggi…
«Perché l’Europa sia in grado di avere una responsabilità geopolitica reale servono due generazioni. La Ue si muove sempre lentamente, ma c’è un’inerzia favorevole, dall’aumento del budget Nato, al rapporto spese per la difesa/Pil aumentato in molti Paesi negli ultimi anni. Metà dei membri dell’Alleanza sono oltre la soglia del 2%».
La vicinanza di Orban a Trump e la crescita di movimenti e partiti ostili a continuare l’appoggio a Kiev non rischia di minare questo cammino?
«Non mi preoccupa Orban o Kaczynski in Polonia. Quel che bisogna monitorare è l’erosione del cosiddetto “centro pro-Europa” che c’è in tutti i Paesi. In Italia c’è un partito di estrema destra al potere, ma Meloni è una piacevolissima sorpresa: filo atlantica, favorevole al sostegno a Kiev. Monitoriamo però Francia e Germania, cosa succede se Le Pen s’impone? E cosa accade se Spd e Cdu arretrano ulteriormente? Se l’ancoraggio ai principi europei si indebolisce a Berlino e Parigi o nei Paesi nordici, allora entreremmo in una nuova dimensione pericolosa».
Due anni di conflitto ormai superati, Kiev a corto di munizioni, Putin che rinsalda posizioni sul terreno e rivince le elezioni. Che prospettiva ha l’Ucraina?
«Nelle prossime settimane probabilmente arriverà il via libera del Congresso Usa agli aiuti militari. Su questo sono ottimista».
Ma?
«Ci illudiamo se pensiamo che nuovi soldi e armi consentiranno all’Ucraina di vincere. Quella finestra di opportunità si è chiusa la scorsa estate con i tentativi di riprendere Donbass e il Sud. La possibilità che Kiev restauri la sua integrità territoriale sul campo di battaglia è bassissima. E la conseguenza è quella di discutere con gli ucraini come chiudere il conflitto e la mia ipotesi migliore è che queste conversazioni siano già iniziate dietro le quinte».
Putin è in una sorta di modalità più minacciosa però. Dal nucleare, ai missili caduti vicino a Zelensky e Mitsotakis. Ora, con la rielezione, dice non si fermerà…
«Abbiamo una scarsa conoscenza degli obiettivi del Cremlino. Talvolta sembra voler rovesciare Zelensky e riportare l’Ucraina nella sfera del Cremlino; altre volte parla di negoziati».
Che messaggio arriva dalle elezioni russe?
«Putin è ancora qui e resterà. E non sono le elezioni a dirlo in realtà, ma tutta una serie di vicende. Le sanzioni, siamo onesti, non hanno funzionato, la Russia ha rimodulato la sua catena di approvvigionamento rivolgendosi ad altri partner: Cina, India, Asia centrale, Turchia, Georgia. La guerra non si è fermata e l’economia sta comunque andando bene. Qualche mese fa tutti dicevano, “Addio Vladimir”. Ma oggi Prigozhin è morto, Navalny è morto, l’opposizione non ha potere e cosa resta? Putin è al comando di tutto».
Dialogare con il Cremlino?
«Bisogna relazionarsi con la Russia che c’è, non con quella che vorremmo. Ed è la Russia di Putin. E la risposta degli alleati non può essere quella di mandare truppe o fare mosse che portino a un’escalation».
Nell’immagine: Charles Kupchan