Il mondo alla rovescia
La colpa non è di chi resiste con tutte le proprie forze combattendo nelle città, nelle pianure, nei fiumi e nelle colline e ci chiede di non dimenticarli
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La colpa non è di chi resiste con tutte le proprie forze combattendo nelle città, nelle pianure, nei fiumi e nelle colline e ci chiede di non dimenticarli
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• – Redazione
La colpa non è di chi resiste con tutte le proprie forze combattendo nelle città, nelle pianure, nei fiumi e nelle colline e ci chiede di non dimenticarli
Anziché chiedere a Vladimir Putin di fermare la guerra, di interrompere i bombardamenti che ogni notte seminano la morte a Odessa e in tutta l’Ucraina, si chiede a Volodymyr Zelensky e al popolo ucraino aggredito di issare bandiera bianca, di cedere per sempre il 20% del proprio territorio all’invasore, di smetterla di supplicare armi all’Occidente, di smettere di inseguire il proprio sogno di integrazione europea ed euro-atlantica. La libera scelta dei popoli produce non soltanto indifferenza, ma anche fastidio.
Anziché chiedere ad Hamas di liberare immediatamente tutti gli ostaggi (donne, bambini, anziani, soldatesse e soldati), di interrompere le attività terroristiche, di non lanciare più missili sulle teste dei cittadini di Israele, si chiede ad Israele di ritirarsi, di deporre le armi, di continuare a vivere senza una vera garanzia di sicurezza e dunque con un’esistenza precaria e subordinata alle capacità della teocrazia islamica dell’Iran, di fornire armi letali ai suoi proxies addossati alle frontiere dello stato ebraico.
La colpa è dell’Ucraina che a partire dalla rivolta civile di EuroMaidan fino alla strenua difesa della propria terra, ha osato difendere la propria sovranità e il proprio destino di popolo libero da chi lo avrebbe voluto ridurre in catene.
La colpa è di Israele che ha reagito all’aggressione senza precedenti del 7 ottobre sul proprio territorio, affermando il proprio diritto ad esistere contro chi avrebbe voluto semplicemente annientarla.
È un mondo alla rovescia quello a cui stiamo assistendo, dove le colpe sono tutte in capo all’aggredito e si tende a rimuovere ed omettere le eclatanti responsabilità dell’aggressore.
Ma la colpevolizzazione dell’aggredito, colpa che di solito si tramanda di padre in figlio per generazioni, non è una novità nei regimi totalitari. Lo possono raccontare le migliaia di dissidenti di Russia, Cina e Iran, perseguitati, deportati, incarcerati, uccisi, costretti all’esilio.
Abbiamo già dimenticato troppo in fretta il 7 ottobre, il più grave massacro di ebrei dai tempi della Shoah e poco importa se “l’alluvione di Al-Aqsa” (così chiamata dai terroristi di Hamas) non fosse certo una reazione alle politiche di Israele, ma il primo capitolo di molte altre “auspicabili alluvioni” contro i cittadini di Israele, con un obiettivo semplice e chiaro: la cancellazione di Israele dalla carta geografica e la cacciata degli ebrei dal “fiume fino al mare”.
Questo è il progetto che persegue da trent’anni l’Iran degli Ayatollah, finanziando, armando e fornendo sostegno logistico ad Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano e agli Houthi alle porte del Mar Rosso, unitamente al programma nucleare civile e militare. Con anche un obiettivo in più: far fallire gli Accordi di Abramo, quello straordinario accordo di pace fra Israele, Marocco, Emirati e Bahrein che stava per essere ampliato all’Arabia Saudita e che oltre alla pace fra ebrei e ad una parte rilevante del mondo islamico avrebbe potuto far nascere una grande area di sviluppo economico fra India, Golfo, Israele ed Europa.
Ma non è così. La colpa non è dei cittadini di Israele, dalle start-up ad alta tecnologia di Herzliya fino ai kibbutz comunitari del sud del paese, e neppure degli ebrei ai quali viene impedito di parlare nelle Università della civilissima Europa. Israele ha il diritto di esistere, ha diritto a vivere in sicurezza, ha il pieno diritto di difendersi per prevenire futuri attacchi terroristici. La comunità delle democrazie non può abbandonare proprio ora una parte di sé.
Abbiamo già dimenticato troppo in fretta la storia recente della rivolta di EuroMaidan del 2014, quando il popolo ucraino ha deciso di recidere il proprio destino dagli antichi padroni di Mosca per i quali la lingua, la storia, la cultura e l’identità nazionale ucraina non sono altro che una “variante minore” della gloriosa tradizione russa. Gli ucraini hanno fatto una scelta chiara e in libertà: aderire alla grande famiglia delle democrazie europee, l’Unione Europea, ed alla comunità di sicurezza euro-atlantica, la Nato. Ed è per questo motivo che il 24 febbraio del 2022 il satrapo di Mosca ha lanciato una grande armata contro Kiev che si è fin qui infranta di fronte all’eroica resistenza di un popolo libero. Non pago, ha anche ucciso a sangue freddo Alexei Navalny, il suo principale oppositore, per poi essere rieletto senza alcuna legittimità alla guida della Russia.
Ma non è così. La colpa non è di chi resiste con tutte le proprie forze combattendo nelle città, nelle pianure, nei fiumi e nelle colline e ci chiede di non dimenticarli, di onorare quel patto che abbiamo siglato decidendo di iniziare i negoziati di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, nella consapevolezza che quel patto oggi può essere onorato soltanto con una massiccia fornitura bellica, dotando l’Ucraina, senza più remore, di tutto ciò di cui ha bisogno per non essere cancellata dalla carta geografica.
Un mondo fondato sulle regole e sui diritti non può funzionare a corrente alternata.
Occorre ricordarselo nei prossimi mesi in questo straordinario anno elettorale che può cambiare i destini del mondo.
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