Nel cratere della Beirut ferita: “Vogliono fare una seconda Gaza”
Colpito un edificio vicino al Parlamento e un centro medico nella capitale: nove morti. Hezbollah accusa Gerusalemme: viola tutte le regole. Ormai non ci sono più aree sicure
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Colpito un edificio vicino al Parlamento e un centro medico nella capitale: nove morti. Hezbollah accusa Gerusalemme: viola tutte le regole. Ormai non ci sono più aree sicure
BEIRUT. «Vogliono replicare lo stesso schema di Gaza qui in Libano, non ce la faranno». La rabbia degli abitanti di Basta, quartiere a sud di Hamra, nella porzione occidentale di Beirut, è profonda e diffusa. Trova espressione nelle parole di Ibrahim Moussawi, ex ministro e portavoce di Hezbollah, che denuncia i «bombardamenti indiscriminati di Israele» al cospetto di una «comunità internazionale cieca alla sofferenza».
È tarda mattinata quando ieri viene convocato un punto di raccolta nel quartiere della capitale libanese che, nella notte tra mercoledì e giovedì, è stato interessato da un nuovo bombardamento delle forze aeree dello Stato ebraico. L’obiettivo, secondo fonti ufficiose, era stanare gli alti ranghi del Partito di Dio sopravvissuti ai raid compiuti nelle ultime settimane con cui è stato decapitato il movimento sciita, polverizzando di fatto la sua leadership. Il bilancio è di almeno sei morti, alcuni dei quali volontari civili, come testimonia il gilet giallo insanguinato e ridotto a brandelli posato tra le macerie del palazzo colpito. Il condominio è letteralmente perforato da un missile che ha colpito i piani alti, causando detriti sparsi in tutta la zona.
I fumi dei focolai causati dalla deflagrazione sono ancora vivi, mentre gli abitanti dell’edificio di Basta, un’area controllata dal movimento Amal, cercano di recuperare le cose essenziali prima di lasciare le loro abitazioni. Intorno le ruspe si fanno largo tra i detriti, alcune persone disperano, altre si lamentano a mezza bocca accusando «chi ci ha trascinato in questa situazione». Altri ancora puntano l’indice verso Israele accusando Benjamin Netanyahu di «voler scatenare un nuovo eccidio per fini egoistici». Lamenti che legittimano la litania accusatrice di Moussawi, il quale ne amplifica il contesto: «Questa è un’altra testimonianza, l’ennesima, che gli israeliani non hanno nessun rispetto del diritto internazionale, e che né il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite né la comunità internazionale fanno nulla per impedire i massacri». La retorica coglie il plauso di alcuni, altri sono distaccati. Il portavoce del partito di Dio incalza: «Lo stesso scenario che abbiamo visto a Gaza adesso lo vediamo qui in Libano, è aberrante che non si parli di tutto questo e che anzi vengano negate le responsabilità di Israele e le sue uccisioni compiute su ordine di Netanyahu».
L’attacco a Basta è la conferma di come Israele stia amplificando la geometria dei suoi raid sulla capitale, disegnando una mappatura di fuoco a cerchi concentrici che si allarga di giorno in giorno. Non più quindi solo Dahiyeh, roccaforte di Hezbollah nella periferia sud di Beirut, dove il martellamento è giornaliero: ieri, ad esempio, è stato colpito l’ufficio del dipartimento media di Hezbollah. Un altro attacco aereo ha centrato Kayfoun, un villaggio a sud-est della capitale sul Monte Libano. L’esercito israeliano afferma di aver colpito, sino a ora, «circa 200 obiettivi terroristici nemici in territorio libanese, tra cui siti di infrastrutture terroristiche, terroristi, depositi di armi e posti di osservazione». E di aver ucciso «quindici terroristi di Hezbollah» in un attacco all’edificio del comune di Bint Jbeil, in cui «i militanti stavano preparando nuovi attacchi».
La terza guerra del Libano si combatte quindi su scala sempre più ampia, ma il vero elemento di novità emerso ieri è il coinvolgimento di unità militari libanese, ovvero le forze armate regolari di Beirut che sono cosa avulsa rispetto al partito di Dio. Fonti dell’Esercito hanno riferito, infatti, di aver risposto al fuoco contro le forze israeliane dopo che due dei suoi soldati sono stati uccisi in un attacco, segnando un precedente assoluto. «Due soldati sono stati martirizzati a causa dell’attacco del nemico israeliano a un centro militare nella regione di Bint Jbeil, nel sud – hanno riferito le forze armate su X –. I membri del centro hanno risposto alle fonti di fuoco». I militari erano impegnati nello «svolgimento di una missione di evacuazione e salvataggio con la partecipazione della Croce Rossa libanese» a Taybeh, nel Libano meridionale.
Lo scambio di fuoco prosegue anche nelle appendici del Paese, con il lancio di più di 50 razzi e due droni verso il Nord di Israele da parte di Hezbollah che starebbe utilizzando il valico di frontiera al Matsna, tra Siria e Libano, per trasferire armi, dopo che gli altri varchi sono stati distrutti dagli attacchi aerei israeliani. L’esercito israeliano ha infine chiesto ai civili di 25 località del Libano meridionale di evacuare immediatamente. Nell’elenco delle zone da abbandonare c’è Nabatieh, una delle città più grandi del Libano meridionale. L’Idf ha inoltre messo in guardia contro qualsiasi movimento di veicoli dal Nord al Sud del fiume Litani. «L’attività di Hezbollah ci costringe ad agire ma non voglio farvi del male – afferma il portavoce militare isreliano –. Per la vostra sicurezza dovete evacuare immediatamente le vostre case. Chiunque si trovi vicino agli operativi di Hezbollah, alle loro strutture o alle loro armi, si espone a un rischio». Segnali premonitori di una nuova ondata di raid e di nuove incursioni via terra che tuttavia sono costate vittime a Tsahal, preludio di un confronto lungo e dai costi elevati per tutti. «Avete visto quante vittime hanno gli israeliani nei combattimenti? – tuona Moussawi recitando nei panni della Cassandra bellica –. È il segnale che combatteremo, fino alla fine, per la vittoria».
Nell’immagine: Beirut, un cratere prodotto dai bombardamenti israeliani
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