Se Israele sottovaluta il rischio isolamento
La strage continua dei civili palestinesi a Gaza provoca il tracollo del supporto allo Stato ebraico
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La strage continua dei civili palestinesi a Gaza provoca il tracollo del supporto allo Stato ebraico
• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
La strage continua dei civili palestinesi a Gaza provoca il tracollo del supporto allo Stato ebraico
Le risoluzioni dell’Assemblea generale dell’Onu non sono vincolanti né hanno un impatto sul terreno, ma rappresentano una fotografia dell’opinione pubblica mondiale. Quella che emerge è devastante per Israele e per i suoi alleati, a partire dagli Stati Uniti e da diversi Paesi europei, tra cui l’Italia. La prima risoluzione, approvata a ottobre con 120 voti favorevoli, 14 contrari e 42 astensioni, invocava una tregua umanitaria a Gaza. Tra i contrari, oltre naturalmente a Israele, ci furono Usa e 8 Stati europei; mentre tra gli astenuti 14 Paesi Ue, tra cui l’Italia. Fu un esito a dir poco imbarazzante, per almeno due ragioni. Da una parte, la maggioranza dei Paesi occidentali si trovò d’un tratto in minoranza, in netto contrasto con le votazioni precedenti sull’Ucraina, in cui l’Occidente si trovava a fianco di altri 140 Paesi nel condannare la Russia. Dall’altra, perché l’Europa si divise pateticamente in tre, con alcuni Stati a favore, altri astenuti e altri ancora contrari alla tregua umanitaria.
Da allora, però, la situazione è precipitata. La seconda risoluzione su Gaza dell’Assemblea generale, adottata due giorni fa a poco più di un mese dalla prima, domanda senza mezzi termini un cessate il fuoco, ed ha incassato il sì di ben 153 Stati. Nonostante il linguaggio molto più duro contro la guerra, ha visto un tracollo del supporto per Israele. I voti contrari sono solo dieci, tra cui Israele stessa, Stati Uniti, Austria e Repubblica Ceca, assieme a Stati minuscoli come Micronesia e Nauru, mentre le astensioni si sono dimezzate da 42 a 23, tra cui continua purtroppo a figurare l’Italia. Diversi Paesi europei, come la Svezia, sono invece passati dall’astensione al voto favorevole; ciononostante l’Europa continua a essere tragicamente spaccata in tre.
Il motivo del tracollo nel supporto per Israele è evidente: a Gaza le vittime civili hanno superato quota 18 mila, di cui il 70% donne e bambini, mentre quasi tutti i 2,3 milioni di abitanti della Striscia sono stati sfollati. Per quanto il diritto umanitario internazionale non sia una scienza esatta, anche un bambino è in grado di capire che c’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto ciò. Se a questo si aggiunge che l’obiettivo che si è prefissata Israele, cioè lo sradicamento di Hamas, continua ad essere elusivo, il senso politico della guerra agli occhi del mondo sta svanendo. Anche l’amministrazione di Joe Biden è consapevole che c’è qualcosa che non va, e il presidente americano ormai critica apertamente il “bombardamento indiscriminato” di Gaza e ammonisce il governo di Benjamin Netanyahu, sottolineando che sta perdendo il sostegno dell’opinione pubblica mondiale.
Il governo israeliano fa muro, e per l’ennesima volta accusa l’Onu, dimenticando che l’Assemblea generale non è altro che uno specchio del mondo. L’amministrazione Biden, però, non va oltre le parole. Sia diplomaticamente sia militarmente continua a sostenere Israele senza opporre “linee rosse”, sperando che magicamente ciò si traduca in una sorta di autocontrollo israeliano. Ma è difficile vedere come questo possa accadere con il governo Netanyahu che mira alla sopravvivenza mentre l’establishment di sicurezza israeliano è alla ricerca di un riscatto dopo il fallimento del 7 ottobre. È per questo che la minaccia non è soltanto “verticale” a Gaza, con centinaia di morti con ogni giorno che passa, ma anche “orizzontale”. Perché mentre all’inizio della guerra si temeva una regionalizzazione del conflitto attraverso un coinvolgimento dell’Iran, ora appare evidente che il rischio di regionalizzazione esiste poiché è Israele stessa a volerlo, determinata ad affrontare la minaccia di Hezbollah a nord. Avendo già sfollato oltre 70 mila cittadini israeliani nel nord del Paese, l’establishment politico-militare israeliano vorrebbe usare questa finestra per lanciare una nuova guerra nel confinante Libano. Se Washington non riuscirà a fermare Israele, diventerà difficile scongiurare una guerra regionale con il coinvolgimento dell’Iran, che si aggiungerebbe alla carneficina in atto a Gaza. Il resto del mondo questo lo vede. E sa che una linea più dura di Washington sarebbe perfettamente in grado di fermare Israele, che dipende dal sostegno americano, a partire da quello militare. Ed è qui il paradosso degli Usa e di una fetta d’Europa che si rifiutano di riconoscere che la loro attuale politica non solo è ormai svuotata di qualunque principio, ma è anche profondamente contraria ai propri interessi, e, in fondo, anche a quelli di Israele.
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