Negli ultimi decenni, la soia ha causato un’enorme deforestazione nell’area amazzonica. In Brasile, in particolare. Paese leader nell’export di soia, si stima produca assieme all’Argentina circa l’80% della fornitura mondiale.
Ad oggi, circa il 17% dell’Amazzonia è andato perduto. Vaste aree sono state abbattute per fare spazio a terreni agricoli. Ne hanno risentito in primo luogo il clima, la biodiversità, il suolo e i diritti degli indigeni.
Gli scienziati avvertono che una volta che la deforestazione avrà raggiunto il 20-25% del totale, la foresta pluviale sarà giunta in un “punto critico”. Un punto in cui i cicli naturali si interrompono: il che porterebbe alla distruzione irreversibile di questo ecosistema essenziale alla sopravvivenza dell’umanità.
La soia è stata a lungo consumata in tutto il mondo. Più recentemente è diventata una parte importante delle diete vegetariane e vegane anche da noi, dove sempre più persone scelgono questo tipo di alimentazione come stile di vita.
Tuttavia, non sono gli hamburger e le salsicce vegetariane la causa principale della deforestazione. La stragrande maggioranza della soia viene infatti utilizzata per l’alimentazione animale.
Lo racconta un report pubblicato da Ethical Consumer, che cerca di fare chiarezza attorno a questa grande tematica.
Si stima che solo il 7% della produzione globale di soia venga consumato direttamente dall’uomo. A cui si somma un ulteriore 13% utilizzato per produrre l’olio. La restante parte è quasi interamente usata per l’alimentazione del bestiame (76%). La soia, ricca di sostanze nutritive e semplice da coltivare, si presta infatti alla produzione di mangimi.
Sono dunque carne e latticini i principali motori della domanda di soia. Una ricerca accademica del 2022 sostiene che, se riducessimo il consumo globale di carne bovina del 20%, potremmo dimezzare la deforestazione.
Politici, ONG e aziende si sono attivati per ridurre l’impatto della soia sulla deforestazione. Nel 2006, si giunse anche alla firma di un accordo storico da parte delle principali aziende che commerciano soia dal Brasile. Conosciuto come la “moratoria sulla soia”, definisce l’impegno a non acquistare soia coltivata su terreni recentemente deforestati.
Nel 2021, molte aziende leader hanno concordato di eliminare la deforestazione della soia entro il 2025. Tra i marchi che hanno assunto l’impegno troviamo anche Danone, Nestlé e McDonald’s.
Ma nonostante questi accordi abbiano migliorato la situazione nel complesso non sono sufficienti. Le lacune dei patti sono tante. Altrettanti i modi per eluderli.
Gli agricoltori hanno iniziato a utilizzare lo spazio agricolo già esistente per la soia. Di conseguenza, le altre colture e il bestiame vengono spostati su terreni di recente deforestazione. E, se non ce ne sono a sufficienza, si creano. Nel Mato Grosso, lo stato che produce la maggiore quantità di soia del Brasile, sono stati abbattute più di 400 miglia quadrate di foresta in un periodo di dieci anni, tra il 2009 e il 2019.
Un altro grosso limite consiste nel fatto che gli accordi sulla soia riguardano esclusivamente l’Amazzonia. Altri habitat non sono presi in considerazione e così continuano a essere saccheggiati senza alcun controllo. È il caso del Cerrado brasiliano che si stima perdere un’area grande quanto Londra ogni tre mesi.
Benché l’importanza del Cerrado non sia stata ampiamente riconosciuta come quella della foresta amazzonica, rimane comunque la savana più ricca di biodiversità della terra. E metà è già stata distrutta.
La politica ha giocato la sua parte. Durante il mandato del presidente di estrema destra Jair Bolsonaro, gran parte dei progressi fatti sono stati vanificati. Con il suo insediamento nel 2019, Bolsonaro ha revocato le misure di controllo, tagliato le spese per le agenzie scientifiche e ambientali, licenziato esperti ambientali e spinto per indebolire i diritti fondiari degli indigeni. Tutte attività a sostegno dell’industria agroalimentare. Non è un caso che, proprio sotto il suo governo, la deforestazione abbia raggiunto il picco più alto avuto negli ultimi 15 anni.
Politica diversa quella seguita dal suo successore, Luiz Inácio Lula da Silva, tornato al potere con l’elezione dello scorso gennaio. Lula da Silva, impegnato a porre fine alla deforestazione, è già riuscito a rallentarne il tasso di un terzo nella sola estate di quest’anno. Segnale sicuramente positivo, ma il lavoro da fare è ancora tanto. E la nuova amministrazione ha davanti a sé una sfida enorme.
Nell’immagine: soia di qua, foresta di là