Passati gli ottant’anni, Bruno Bolfo continua a macinare utili da capogiro. Il manager ligure installato a Lugano, dove controlla diverse società di trading, ha realizzato nel 2021 un risultato stupefacente: 445 milioni di utile netto; il 300% in più rispetto al 2020. A pesare, certo, vi è un evento straordinario, ossia l’acquisizione della totalità di un’acciaieria italiana che prima divideva con il gruppo americano Nucor. Escludendo questa operazione, gli utili di Bolfo sono comunque aumentati del 200%.
A portare denari nelle casse dell’imprenditore, alla guida di un impero che spazia dalla siderurgia al commercio marittimo, sono soprattutto le sue società ticinesi. A partire da quella Duferco che fondò oltre quarant’anni fa e che oggi è un leader mondiale nel commercio di acciaio. La maggioranza di Duferco è stata ceduta nel 2014 al gigante cinese Hebsteel, ma Bolfo detiene ancora una quota di minoranza del 21,5%. La DITH, la casa madre lussemburghese di Duferco, ha registrato nel 2021 un utile netto di 255 milioni di dollari, buona parte realizzati proprio dal Ticino. Una cifra record, sedici volte più grande quella del 2020, che in parte – 36,2 milioni – sono finiti nella BB Holding Investment, la cassaforte privata di Bolfo in Lussemburgo (a sua volta controllata da un trust del Lichtenstein).
Altri milioni sono arrivati dalla DTX Commodities di Lugano. Il nome forse vi dirà poco, ma la DXT è da qualche anno la prima ticinese nella lista delle società svizzere stilata dal giornale economico Handelszeitung. Fondata nel 1999 da alcuni manager di Duferco, la DXT è attiva soprattutto nel commercio di gas naturale ed è controllata da una catena di società del Gran Ducato in mano a Bolfo e al suo fido genero Antonio Gozzi. Da Lugano, DXT Commodities nel 2021 ha registrato 43,5 milioni di euro di utile netto.
Altri 20,4 milioni di dollari (sei volte rispetto al 2020) sono invece finiti nelle casse del manager tramite la Nova Marine Holding, attiva nel commercio marittimo e detenuta fifty-fifty con la famiglia dei Romero, armatori napoletani. La holding è lussemburghese, ma il gruppo è attivo soprattutto da Lugano dove controlla alcune società di shipping*.
Il 2021, insomma, per Bolfo & Co è stato un anno di record. Alla faccia della pandemia. Oggi, la piazza delle materie prime di Lugano è però preoccupata dagli effetti della guerra in Ucraina e dalle sanzioni alla Russia. Diverse società attive nel commercio di acciaio e di carbone sono particolarmente esposte, dato che operano principalmente con controparti russe o ucraine. Due società – la MMK Steel Trading e la Severstal Export – sono controllate da due oligarchi finiti sotto sanzione, Viktor Rashnikov e Alexej Mordashov. Per queste aziende, ma anche per altre legate in un modo o nell’altro alla Russia, il rischio è la paralisi. Tra gli addetti la preoccupazione è molta anche se c’è chi, attivo su altri mercati, potrebbe paradossalmente guadagnare da questa situazione. È spesso grazie a crisi e instabilità che i giganti delle materie prime hanno costruito le principali ricchezze. Abbiamo visto i risultati fuori norma della galassia di Bolfo in un anno, il 2021, caratterizzato dalla crisi pandemica e dall’aumento dei prezzi delle materie prime. In Ticino difficilmente troviamo altre società che hanno raccolto così tanto lo scorso anno.
Nel resto della Svizzera i guadagni salgono in un’altra dimensione. I colossi elvetici del trading hanno registrato, proprio nel 2021, utili mai visti prima: 5 miliardi di dollari per Glencore, 4 miliardi per Vitol, 3,1 miliardi per Trafigura (+ 94% rispetto al 2020), 1,25 miliardi per Mercuria (+ 59%).
Come spiegato da Le Temps, i trader spesso fanno grandi profitti quando i mercati sono volatili. È stato il caso durante la crisi finanziaria del 2008, della primavera araba nel 2011 o del crollo dei prezzi delle materie prime nel 2014. Durante la pandemia sono stati in grado di comprare enormi carichi di petrolio quando i prezzi erano bassi e immagazzinarli per poi venderli a un prezzo più alto.
Glencore, Trafigura e Vitol sono anche molto attive nel commercio di petrolio russo grazie ai contratti a lungo termine stabiliti con la società statale russa Rosneft. Una società, quest’ultima, che assieme a Gazprom è una sorta di salvadanaio del Cremlino. Gli autori di The World for Sale, pubblicato nel 2021, si spingono a dire che queste tre aziende potrebbero aver contribuito più di qualsiasi altra entità commerciale a mantenere Vladimir Putin al potere.
Oggi, nonostante la guerra in Ucraina, i commercianti elvetici continuano ad essere i principali compratori mondiali del petrolio russo. Secondo le informazioni provenienti dall’analisi dei dati marittimi la ginevrina Litasco – antenna commerciale del gruppo russo Lukoil – è stata la più grande acquirente mondiale di greggio russo da gennaio a marzo. Litasco è seguita a ruota da Vitol e Trafigura. «Se questo commercio non è per ora illegale, ci sembra illegittimo e pericoloso poiché le vendite di petrolio e gas hanno permesso la modernizzazione dell’esercito russo, continuando così ad alimentare il tesoro di guerra di Vladimir Putin», ci spiega Adrià Budry Carbò, autore di un’inchiesta sul tema per l’ONG Public Eye.
A fianco di questi giganti mondiali troviamo anche un nome ticinese. Secondo dati che abbiamo potuto consultare, la Petraco di Lugano ha acquisito da febbraio a marzo 2022 un milione di tonnellate di petrolio (circa 7,3 milioni di barili) dai porti russi di Ust-Luga e di Primorsk. La società ticinese si troverebbe al quinto posto a livello mondiale tra gli acquirenti di greggio russo per questo periodo. Petraco ha riferito alla Reuters che il petrolio russo che ha caricato, o che doveva caricare, è stato contrattato con le società russe Neftisa Zarubezhneft (società pubblica) prima dell’invasione dell’Ucraina e che la società rispetta rigorosamente le politiche del governo.
Anche il nome di Petraco forse non vi dirà nulla. Eppure questa società – operativa da Lugano e controllata da un’entità basata sull’isola anglo-normanna di Guernsey – è un attore di primo piano nel commercio mondiale di petrolio. Presente in Ticino sin dagli anni Settanta, Petraco è storicamente focalizzata sul petrolio russo e dispone di un ufficio anche a Mosca. Da sempre discreta, la società ticinese ha fatto di recente parlare di sé per un’inchiesta della Procura di Cagliari, che ha rinviato a giudizio la società e alcuni suoi manager. In causa: del petrolio acquistato nel Kurdistan iracheno e venduto a basso costo, tramite una società offshore alla Saras, l’azienda petrolifera della famiglia Moratti. Il sospetto – respinto con fermezza da Petraco – è che parte di queste operazioni possa aver finanziato le milizie dello Stato islamico. Accuse certo da provare, ma che mettono in luce tutti i rischi di chi si avventura nel favoloso mondo delle materie prime.
*Tutti i dati economici citati sono stati estrapolati dai rapporti annuali pubblicati nel registro di commercio del Lussemburgo