Ticinesi a Parigi: luci e ombre di un’emigrazione
Un nuovo saggio di Lorenzo Planzi supera qualche stereotipo, allarga i punti di vista e poggia su una grande varietà di fonti orali e scritte, oltre che su una bibliografia vasta e aggiornatissima
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Un nuovo saggio di Lorenzo Planzi supera qualche stereotipo, allarga i punti di vista e poggia su una grande varietà di fonti orali e scritte, oltre che su una bibliografia vasta e aggiornatissima
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Un nuovo saggio di Lorenzo Planzi supera qualche stereotipo, allarga i punti di vista e poggia su una grande varietà di fonti orali e scritte, oltre che su una bibliografia vasta e aggiornatissima
Oggi l’attenzione va a un saggio appena uscito che ripercorre la storia dell’emigrazione ticinese a Parigi tra il 1800 e il 1945. Il suo autore, Lorenzo Planzi (1984), è tra i più produttivi: in pochi anni ha dato alle stampe – nella collana L’Officina delle Edizioni Armando Dadò in cui appare anche questo volume – Luigi Sturzo e il Cantone Ticino (2017) e Il Collegio Papio di Ascona. Da Carlo Borromeo alla Diocesi di Lugano (2018); sempre per Dadò ha pubblicato anche Il Papa e il Consiglio federale (2020), in cui indaga, alla luce dei documenti storici e diplomatici, i rapporti tra la Svizzera e Città del Vaticano, di fatto quasi del tutto assenti, se non cancellati, tra il 1873 e il 1920.
Questa volta Planzi sposta la propria lente dal mondo cattolico ad un capitolo più ampio della storia ticinese o, meglio, a una realtà socio-economica – quella, appunto, migratoria – che ha caratterizzato trasversalmente l’intera Svizzera italiana anche ben prima del periodo che il ricercatore prende in considerazione nel libro.
Tra gli emigrati “di lusso” dei secoli più lontani, dalla seconda metà del Cinquecento a tutto il Seicento – sono state prese in esame le esperienze di alcuni grandi architetti – Francesco Borromini, Carlo Maderno, Domenico Fontana, Domenico Trezzini, Domenico Adamini – che, sostenuti e accompagnati dalle loro maestranze (stuccatori, gessatori e decoratori spesso rimasti senza nome), hanno letteralmente ridisegnato Roma e altre capitali in Italia e in altre corti del Vecchio Continente. A loro – questa la tesi di Renato Martinoni, che del libro di Planzi cura la bella Prefazione – è stata dedicata grandissima attenzione, mentre altre ondate migratorie, legate a mestieri molto più umili, restano in buona parte inesplorate. “La storia del Cantone Ticino, e più in generale della Svizzera italiana” afferma Martinoni “è segnata in lungo e in largo dall’emigrazione. Per molto tempo questo fenomeno davvero importante sul piano economico, sociale e umano, è stato celebrato unicamente nei suoi risvolti più gloriosi. Per la volontà provincialmente narcisistica di esibire un pedigree di inarrivabile prestigio, ma anche in ossequio ai dettami della pedagogia della nazione, trattandosi di edificare a ritroso i valori fondanti della patria”.
Influenzata dalla rivista Annales d’histoire économique et sociale, fondata nel 1929 da Marc Bloch e Lucien Febvre, solo a partire dagli anni ’70-’80 del secolo scorso anche da noi la storiografia ha affrontato le emigrazioni intercontinentali in alcune opere diventate a loro volta storiche: penso ai due volumi di Giorgio Cheda dedicati all’Australia (una nuova edizione aggiornata sta per uscire, sempre da Dadò) e alle pubblicazioni dello stesso Cheda, ma anche di Martinoni, sull’emigrazione dal nostro Cantone verso la California.
Quella che ho tra le mani ripercorre l’emigrazione dal Ticino verso la Capitale francese. A spingere Lorenzo Planzi è stata – lo spiega diffusamente nell’Introduzione – anche un legame familiare: la sua bisnonna materna, Raymonde Angèle, nata a Parigi nel 1914, era una Baggi di Malvaglia che, insieme al marito, Luigi Planzi, aveva un negozio in rue Saint-Antoine. D’inverno vi si vendevano castagne, d’estate gelati. Marroni e gelati sono tra i campi d’attività più praticati da questi bleniesi partiti a cercar fortuna nella Ville Lumière. Altre categorie professionali a cui appartengono i protagonisti noti e ignoti del libro, frutto meticoloso della lettura di migliaia di documenti, lettere, registri e di una serie di interviste agli ultimi discendenti diretti, sono quelle dei pasticceri, dei cioccolatai, dei cuochi, dei camerieri, dei fruttivendoli. Alcuni sono rientrati arricchiti in patria, altri hanno deciso di fermarsi per sempre a Parigi, altri hanno convissuto per decenni con la fatica fisica del lavoro e dei viaggi stagionali o semestrali che seguivano un calendario sempre uguale: i maronàtt, per esempio, terminata la raccolta delle castagne, partivano verso la Francia dove sarebbero rimasti per mesi al freddo delle loro bancarelle lungo la Senna, per fare rientro in Valle e ritrovare finalmente affetti, dialetto natio e un po’ di sole, con l’inizio della primavera. Come non pensare a un’altra pubblicazione importante, Fam, füm, frecc, di Benito Mazzi (Priuli&Verlucca, 2000), che rievoca le vicissitudini, forse più drammatiche ancora, dei piccoli spazzacamini delle Centovalli e della Val Vigezzo diretti verso la Lombardia e il Piemonte?
Qualcuno al di là delle Alpi ha anche fatto fortuna. Penso a Silvio Celeste Righenzi, che si arricchì con il commercio all’ingrosso delle castagne e che, al rientro definitivo in patria, nel 1902, costruì Casa Baggi a Malvaglia; penso, in altre valli superiori, al fumista Paolo Antonio Calzonio, che lasciò Villa Edera ad Auressio, nel 1887. Altri segni edìli tuttora visibili del successo di alcuni Ticinesi in Francia sono Palazzo Gamboni a Comologno (1730) e Casa Forni a Bedretto (1890), voluta da un leventinese arricchitosi facendo il croupier.
Il saggio di Lorenzo Planzi si legge agevolmente e si conclude, in appendice, con una Petite galerie di profili ticinesi a Parigi: tra fatica, lontananza, retours au Pays, affermazioni professionali, gioie e dolori privati, le vite di alcuni dei protagonisti che già s’incontravano nei capitoli precedenti. Troviamo, tra le altre, Victor Baggi (padre di un mio caro ex Collega, Willy Baggi) nominato, nel 1949, Premier Glacier de France: tra clienti della sua gelateria al numero 38 di rue d’Amsterdam – dove oggi si vendono occhiali e lenti a contatto – Josephine Baker e lo scrittore e medico di guerra Georges Duhamel); ma anche figure più lontane dall’emigrazione povera o poverissima degli inizi, come quella della giornalista Elsa Franconi-Poretti, che a Parigi visse per oltre 30 anni fino al 1955, scrisse per il Corriere del Ticino e realizzò memorabili programmi per Radio Monteceneri, stringendo solidi rapporti con Colette e Alberto Giacometti. O, ultimo in ordine di tempo, a Mario Snozzi, di Carasso, che si è fatto strada scalando i vertici di alcune grandi maison che producono Champagne. Senza dimenticare due grandi fotoreporter, Jean-Pierre Pedrazzini (1927-1956), nato a Parigi, ma originario di Campo Vallemaggia, deceduto durante le rivolte di Budapest, e Victor Gianella (1918-2013), gli artisti Emilio Maria Beretta, Niele Toroni, Felice Varini. Ticinese, un po’ a sorpresa, sarebbe il grande attore francese Michel Piccoli, deceduto nel 2020. Sostiene infatti (pp. 117-118) il presidente della Pro Ticino parigina Gérard Solari: «Il paraît qu’il était le fils “naturel” d’une fille non mariée de Piotta, émigrée à Paris (les Piccoli sont l’une des familles les plus anciennes et plus nombreuses du village). Comme alors ce fait représentait une “honte” ou presque, c’est pour ce motif que ses grands-parents n’ont jamais voulu en parler».
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