UE, la genesi dello scontento
Dove la destra populista avanza: un terzo dei cittadini dell’Unione vive in zone con crescenti problemi economici e sociali
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Dove la destra populista avanza: un terzo dei cittadini dell’Unione vive in zone con crescenti problemi economici e sociali
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Dove la destra populista avanza: un terzo dei cittadini dell’Unione vive in zone con crescenti problemi economici e sociali
Un terzo della popolazione europea, secondo il Censis, vive in zone dove il reddito disponibile netto pro capite è diminuito negli ultimi quindici anni. Non è poco. Anzi è un dato preoccupante, che non vuol dire che un terzo dei cittadini europei si è “declassato”, ma vive in zone che hanno conosciuto crescenti difficoltà economiche e sociali.
In media la crescita del reddito disponibile netto per abitante nell’Europa a 27 è stata positiva, sì, ma debole, considerando che stiamo parlando di un periodo di quindici anni, il 3,1%. E sono 75 le aree europee in cui questa diminuzione si è evidenziata, in cui non si è riusciti a tornare neanche ai livelli di reddito pro capite precedenti il 2007.
È ancora più interessante sottolineare un dato e cioè che tra i Paesi che più sono toccati da questa situazione non ci sono tanto i “nuovi entrati” nell’Unione Europea, ma soprattutto alcuni “vecchi”, e in particolare i Paesi dell’Europa del Sud, l’Italia in tutte le sue parti, la Grecia, gran parte della Spagna, alcune zone di Francia, Germania, nonché Austria e Ungheria. E questo è un elemento di ulteriore preoccupazione, perché certamente avrà un peso nel risultato elettorale in questi Paesi, anche nel nostro.
D’altro canto, questi quindici anni sono stati particolarmente critici per l’Italia. Abbiamo assistito a tre crisi, 2008-2009, 2013, 2020 con la pandemia, i cui effetti si sono sovrapposti alle precedenti crisi, perché non si riusciva ad affrontare i problemi causati dalla prima crisi che già si presentava quella successiva, fino al prorompere di quella causata dalla pandemia, molto violenta per intensità e rapidità.
Anche gli altri Paesi hanno attraversato queste crisi, ma con effetti sociali meno gravi rispetto ai nostri. Già la prima ha avuto come effetto per l’Italia il raddoppio della povertà assoluta nel 2012, triplicata per bambini e giovani, e ulteriormente cresciuta nel 2020. L’occupazione femminile è cresciuta poco, siamo ormai gli ultimi in Europa, e metà delle donne non lavora.
L’Europa si è molto impegnata in una prima fase per garantire il processo di convergenza europea, redistribuendo aiuti soprattutto verso i “nuovi entrati”, e poi intervenendo a supporto dei Paesi più colpiti dalla pandemia, sulla base del Piano nazionale di ripresa e resilienza che ha fatto sentire i suoi primi effetti, ma che stenta ancora a decollare nel nostro Paese quanto sarebbe necessario, specialmente per ridurre le diseguaglianze, che in questi anni hanno raggiunto il massimo storico.
Lo shock della pandemia è alle spalle, ma ha contribuito a creare malcontento, spaesamento, acuito dalle preoccupazioni per il futuro che si percepisce in tutti i Paesi. Quanto ne risentirà la partecipazione al voto è difficile dirlo, e così anche il voto di protesta.
Pesa l’accumulo di malcontento degli ultimi 15 anni, ma alcuni dati prodotti da Eurobarometro danno qualche segnale di speranza. Il 72% degli europei ritiene che il proprio Paese abbia beneficiato dell’appartenenza alla Ue. Secondo i cittadini le priorità politiche sono la lotta alla povertà (36%), la salute pubblica (34%), il cambiamento climatico e il sostegno all’economia (ambedue al 29%). Sembra evidenziarsi il desiderio di una svolta. Non solo, quasi otto intervistati su dieci sono preoccupati che la disinformazione influenzi le decisioni di voto delle persone.
Circa sette cittadini su dieci temono che le elezioni vengano manipolate attraverso attacchi informatici e che Paesi stranieri possano influenzarle sotto copertura. Un segnale che potrebbe denotare un interesse rinnovato per il voto europeo in alcuni settori della popolazione, segnando, chissà, una ripresa delle aspettative riguardo alla necessità di soluzioni comuni ai comuni problemi degli europei. Anche se forte resta la possibilità che il malcontento sociale si canalizzi in un voto di protesta estrema che, anziché rafforzare l’Unione, rappresenti un fattore disgregante.
Viviamo un momento storico critico paragonabile a quello degli anni ’30 del secolo scorso. Auguriamoci che gli europei abbiano realmente tratto le lezioni della loro Storia e che le forze democratiche si mostrino questa volta all’altezza della sfida.
Nell’immagine: Donaueschingen (Germania), 27 aprile. Manifestazione contro l’AfD
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