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Redazione
Redazione
Un dramma americano
• 8 Giugno 2022 – Redazione

Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

Di Maurizio Vaudagna, rivistailmulino.it

Chattanooga, Phoenix e Philadelphia sono i luoghi delle ultime sparatorie avvenute negli Stati Uniti, con diversi morti e feriti, mentre a Uvalde sono stati colpiti a morte 19 bambini e due insegnanti: un dramma atteso e ripetuto che arriva dopo che nelle prime 21 settimane del 2022 si sono registrate 213 stragi (ma il numero cresce appunto ogni giorno), di cui 27 in ambito scolastico.

Per una volta il tanto criticato «eccezionalismo americano» si traduce nell’identificare gli Stati Uniti come patria delle stragi di giovani e bambini da parte di individui bene armati, perché «ci sono troppe armi da fuoco disponibili negli Stati Uniti», che stime imprecise fanno ammontare a circa 400 milioni. Il tasso annuale di decessi causati da sparatorie è il più alto tra i Paesi sviluppati. Secondo il «New York Times», in Germania ci sono due vittime su un milione, un dato che negli Usa sale a 31. Mentre le informazioni disponibili relative al 2020 ci dicono che negli Stati Uniti i morti da armi da fuoco hanno superato gli incidenti automobilistici come causa di decesso di bambini e adolescenti.

La critica alle leggi liberiste e criminogene del possesso individuale di armi ha recentemente coinvolto Paesi come la Nuova Zelanda, l’Australia e il Canada. Biden si è congratulato con Jacinda Ardern, primo ministro neozelandese, il cui Paese ha rapidamente approvato, un mese dopo il massacro di Christchurch (15 marzo 2019, 51 vittime), il bando delle armi semi-automatiche e dei fucili d’assalto. L’Australia ha attivato una legge per la vendita forzosa al governo di pistole e fucili privati, acquistandone circa 650.000 dopo la strage di Port Arthur del 28 aprile 1996 con 35 morti. In Canada, dopo l’ultima strage nell’aprile 2020 con 23 morti nella Nuova Scozia, il premier Justin Trudeau ha annunciato una legge in base alla quale «dal giorno in cui entrerà in vigore, non sarà più possibile acquistare, vendere, trasferire o importare armi in Canada».

La maggior parte dell’opinione pubblica americana è favorevole a limitazioni al diritto individuale a possedere e portare armi garantito dal Secondo emendamento alla Costituzione promulgato nel 1791, consistenti nell’esclusione delle armi più letali come fucili automatici, nei controlli sui curricula degli acquirenti, nella riduzione della capacità dei caricatori e nelle autorizzazioni obbligatorie. Una nuova rilevazione pubblica del sito YouGov ha constatato che il 55% degli americani (compreso il 33% dei repubblicani) ritiene che il solo modo per evitare le stragi nelle scuole sia «un drastico cambiamento delle leggi». Un’altra di Reuters/Ipsos condotta dopo la strage di Uvalde registra che l’84% degli americani è favorevole a controlli della biografia degli acquirenti e il 70% appoggia leggi preventive.

Ma è un appoggio che fluttua molto a seconda della distanza nel tempo dei casi di strage. È sorprendente constatare che una rilevazione Gallup dei primi anni Novanta sottolineava che il 40% degli americani voleva vietare fucili e pistole, una percentuale che si era però ridotta al 19% nell’ottobre 2021. Come ha ricordato il regista Michael Moore, l’abrogazione del Secondo emendamento richiederebbe il favore di due terzi del Congresso e la ratifica da parte di 38 Stati, il che è assolutamente fuori discussione.

Gli sforzi dei riformatori sono contrastati con successo da una coalizione fortissima che sostiene senza esitazione alcuna il possesso di armi individuali, in base all’interpretazione costituzionale liberista del Secondo emendamento. Potenti gruppi di pressione ricchi di membri, fondi e contatti, una classe politica repubblicana a difesa dell’interpretazione privatistica, un segmento minoritario ma molto mobilitato a livello di opinione, simile a gruppi monotematici, che vede nel diritto alle armi una caratteristica identitaria fondamentale e irrinunciabile.

Il Secondo emendamento («Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto») si rifà a precedenti inglesi che legano i diritti di cittadinanza al dovere di difesa in ordini politici comunitari e decentrati, che in diversi Paesi non vennero svuotati dall’emergere dello Stato centrale e dell’esercito nazionale che rivendicava, come nel caso francese, il monopolio statale della violenza.

L’interpretazione individualista non è sempre stata prevalente né l’unica. L’alternativa pubblicistica e comunitaria, che ancora emergeva nella sentenza del 1939, United States vs. Miller, sottolineava l’importanza della milizia e il concetto comunitario di «the people», per cui il diritto alle armi riguardava esclusivamente il cittadino nello svolgimento dei suoi doveri militari e difensivi all’interno di una forza armata statale. Sono le sentenze della Corte Suprema, a partire da quella dal luglio 2008, che hanno sancito l’interpretazione individualistica del Secondo emendamento come diritto fondamentale non diverso da quello di voto o di parola e che hanno limitato drasticamente vincoli e controlli.

L’altro tassello del partito dei detentori privati di armi è la potente associazione National rifle association (Nra), che al 2013 poteva contare su 5 milioni di iscritti, con un attivo ufficio legislativo, corsi e pubblicazioni sul diritto e l’uso delle armi, il sostegno dell’industria degli armamenti individuali legalmente protetta da responsabilità sull’uso dei suoi prodotti, uno stretto contatto con i media conservatori, un nesso neanche troppo sotterraneo con «milizie» private armate di estrema destra. Distribuendo voti e finanziamenti elettorali soprattutto all’élite congressuale del Partito repubblicano, la Nra ha avuto molto successo nel bloccare molte delle proposte legislative di controllo del possesso delle armi.

Una tragica coincidenza ha voluto che la sua assemblea nazionale si svolgesse proprio a Houston, in Texas, pochi giorni dopo la strage di Uvalde, dove dirigenti associativi e politici repubblicani hanno ribadito il tragico paradosso che da una parte esprime dolore per il massacro, dall’altra ripete il mantra dell’associazione: «La libertà di armarsi è sacra» e i drammi da armi da fuoco si curano con più armi da fuoco. Come ha detto il potente senatore del Texas Ted Cruz, bisogna armare gli insegnanti (il Texas ha già istituito corsi di addestramento per docenti armati), moltiplicare le guardie armate nelle scuole e aumentare la loro «fortificazione», con porte e finestre blindate che impediscano l’accesso.

Secondo altri, il potere della Nra «deriva invece dalla passione di votanti monotematici». La radicalizzazione della politica americana e la polarizzazione dei partiti dagli anni reaganiani ha aumentato l’importanza del diritto alle armi per il seguito repubblicano, mentre la grande maggioranza dei democratici e degli indipendenti, tra cui vi sono comunque numerosi detentori di armi, si schierava coi riformatori. Si è così creato un blocco minoritario, ma attivissimo, di aderenti alla Nra e all’estremismo repubblicano che ritiene il diritto alla detenzione di armi il centro della propria identità pubblica.

Al contrario, un’ampia fascia di opinione civile e politica vuole nuovi controlli sulle armi. Il sindacato degli insegnanti ha dichiarato che «far entrare più armi nelle scuole le rende più pericolose […]. Gli insegnanti dovrebbero insegnare e non agire come guardie armate»: un’opinione condivisa dalle associazioni favorevoli ai controlli quali Moms Demand Action o Everytown for Gun Safety.

Alcuni degli studenti testimoni del massacro del 14 febbraio 2018 alla high school di Parkland, in Florida, che causò 17 morti, che, un mese dopo, portarono a Washington mezzo milione di giovani per la manifestazione March for Our Lives, hanno programmato per le prossime settimane una nuova mobilitazione per il caso di Uvalde.

Tuttavia, subito dopo Uvalde, diversi osservatori hanno denunciato un certo «torpore» nelle reazioni dei critici delle armi individuali, non tanto per indifferenza, ma per una diffusa sfiducia che i legislatori realizzino alcunché. La storia del controllo delle armi è un nulla legislativo fin dal caso di Columbine del 1999, anche se l’efficacia della legislazione limitativa sarebbe fuori di dubbio: «Il bando sulle armi d’assalto del 1994 aveva ridotto parecchio – secondo Biden – le sparatorie di massa che invece triplicarono dopo che la legge non fu rinnovata».

La sfiducia dei riformatori si indirizza non solo contro i politici repubblicani, considerati complici, ma anche contro quelli democratici, considerati timidi e inetti. D’altra parte, vi sono molti detentori di armi nella base democratica e indipendente, e la maggioranza dei favorevoli ai controlli è meno attiva degli oppositori: raramente la legislazione sulle armi è in cima alle loro priorità e la mobilitazione a riguardo si attenua quando la strage si allontana.

Oggi, tuttavia, malgrado le possibilità di innovazioni legislative restino difficilissime anche per le divisioni nel Congresso, il senso tragico tra i riformatori, nutrito dalle notizie quotidiane di nuove stragi, sembra porre la questione dei controlli al centro della lotta politica e civile, come testimoniato dall’importante ed esplicito discorso alla nazione di Biden la sera di giovedì 2 giugno. «Per l’amor di Dio – ha iniziato il presidente sullo sfondo delle immagini delle croci dei bimbi morti a Uvalde – quanti altri massacri siamo disposti ancora ad accettare?». Il presidente ha negato di voler sopprimere il diritto alla detenzione di armi (l’usuale accusa repubblicana), ma ha ricordato che il Secondo emendamento non concede tuttavia una discrezionalità assoluta. Dopo aver descritto il dolore e la rabbia delle famiglie dei bimbi uccisi, Biden ha chiesto l’aumento a 21 anni di età per l’acquisto di fucili semi-automatici, la fine della tutela legale dell’industria degli armamenti, un limite alla capacità dei caricatori e il controllo della storia di vita, anche mentale, dei possibili acquirenti. Intanto la commissione giudiziaria della Camera, a maggioranza democratica, ha approvato la “Legge di protezione dei nostri bambini”, che comprende molte di queste richieste.

Dato l’ostruzionismo della divisione del Senato, la sua approvazione è esclusa e un gruppo bipartitico che cerca un accordo legislativo minimalista non sembra andare lontano. L’inazione dei democratici rischia di essere tacciata di complicità, perciò lo scontro non si attenua e si sposta sul terreno elettorale. «So quanto è difficile ma non mi arrenderò. E se il Congresso fallisce, penso che […] i legislatori ne pagheranno probabilmente il prezzo nel seggio elettorale». Biden proietta la questione del controllo delle armi nello scontro elettorale del prossimo novembre, nella speranza che, insieme alla battaglia sull’aborto e alla politica della guerra, ciò risulti un contraltare al danno elettorale dell’aumento dell’inflazione, evitando un’attesa sconfitta democratica, nel qual caso nuovi controlli sono fuori discussione.

È impossibile prevedere cosa succederà, se non purtroppo l’accadere di altri massacri e altre tragedie, alla normativa sulle armi. La loro moltiplicazione sembra tuttavia aver prodotto nella vita pubblica americana almeno una nuova stabile novità: la fluttuazione delle opinioni critiche si è attenuata, una solida maggioranza favorevole alle riforme si è stabilizzata, e il tema resterà d’ora in poi saldamente rilevante nell’agenda pubblica del Paese.






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