Un campione e un uomo d’altra epoca, d’un Paese e d’uno sport diverso
Addio “Rombo di Tuono”: l’eco del cielo ricorderà Gigi Riva che preferì Cagliari a Leggiuno, la Sardegna al Lago Maggiore
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Addio “Rombo di Tuono”: l’eco del cielo ricorderà Gigi Riva che preferì Cagliari a Leggiuno, la Sardegna al Lago Maggiore
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Addio “Rombo di Tuono”: l’eco del cielo ricorderà Gigi Riva che preferì Cagliari a Leggiuno, la Sardegna al Lago Maggiore
A Riad, in Arabia Saudita dove si disputava la Supercoppa Italiana fra Inter e Napoli la notizia è arrivata a partita in corso. All’inizio della ripresa è stato osservato 1’ di silenzio. Il pubblico, ignorante e rozzo, tutto preso dai vari Ronaldo, Neymar e Co. importati a suon di milioni, ha rumoreggiato e anche fischiato tutto il tempo. Il calcio moderno usa e getta, senza cultura e senza memoria, non ha fatto un attimo di silenzio. Lautaro Martinez si è esibito in un copioso sputo, secondo la nuova, indecente prassi nel gioco del calcio: sputo ergo sum. Sono un calciatore, il mio status mi permette di essere sopra le regole della gente comune.
Quanta differenza fra il nostro mondo e quello di Riva. Sono passati 50 anni, sembrano 100 e più. Quei campioni erano nati negli ultimi anni o subito dopo la guerra, di cui portavano il retaggio, le ferite mai rimarginate della gioventù più forte mandata al macello da Mussolini sul Don e nella sacca di Nikolajevka. Riva, il friulano Zoff e gli altri sono fratelli. Hanno conosciuto la povertà, hanno fatto in tempo a vedere le macerie, hanno vissuto il dolore dei compaesani che piangevano quelli che dopo il 1945 non sarebbero mai tornati.
Tutto questo li segna, ma per certi versi segna anche il loro capitale umano: sono di poche parole, grandi lavoratori, leali, onesti. Rispettano l’avversario, le regole, gli arbitri. Riva non si è mai espresso pubblicamente sui mutamenti del gioco da lui praticato, ma i suoi figli hanno raccontato di un uomo che non avrebbe mai usato i ‘social’ per le comunicazioni estremamente banali, ruffiane (‘abbiamo seguito le indicazioni del Mister’) che si leggono il lunedì. Avesse commesso un fallo non avrebbe mai aggredito l’arbitro che osava punirlo (‘Lei non sa chi sono io, come osa?). Non avrebbe fatto finta di volere una nuova esperienza all’estero, venduto dal suo agente per avere la commissione del 10%.
Riva è passato dai campetti dell’oratorio al Legnano in serie C a 18 anni. A 19 lo vogliono due squadre di A, il Bologna, allora molto forte, e il Cagliari. Riva sceglie i sardi, dove sa che non dovrà fare gavetta. Quando la società per far cassa lo vuole vendere alla Juventus, Riva si presenta in sede e dice che smetterà di giocare. In Sardegna ha trovato il grande amore, una donna sposata che per lui si separerà. Ma non basta. Il caso della ‘Dama Bianca’ di Coppi si ripete, anche se su scala minore. L’Italia cattolica e bigotta, se Riva non segna, incolpa la signora Gianna Tofanari.
A un certo punto però anche la critica s’interroga: ma come, un postino svizzero ferma il tripallico Rombo di Tuono? Accade il 21 ottobre 1972. Si gioca al Wankdorf di Berna davanti a 54’000 spettatori, domenica sera. Tale Boffi lo marca in modo strano. Riva gli sfugge una sola volta, nella ripresa. Venerdì sera a fine giornata, all’uscita dalla posta Centrale di Lugano, il postino ha un appuntamento speciale. L’allenatore dei giovani del Lugano di Maurer, Lombardi (papà del giornalista Enrico) gli fa una testa come un pallone spiegandogli che deve guardare unicamente il piede sinistro, sulla destra gli deve lasciar fare ciò che vuole, il destro lo usa solo per camminare, a un certo punto si girerà per forza. Riva lo sorprende una sola volta, nella ripresa. Parte dal centro, prende mezzo metro a Boffi, si ferma improvvisamente, cambia direzione, libera il sinistro ma Prosperi in grande forma para, come aveva parato in modo impossibile una sua punizione deviata nel primo tempo: era scattato sulla sua sinistra intercettando il pallone in volo con il piede destro.
Boffi, contrariamente ai suoi colleghi difensori, è sempre stato corretto. Contrariamente all’austriaco Norbert Hof che nel 1970 al Prater, subito dopo i famosi mondiali messicani (Italia-Germania 4-3, con rete di Riva) entra a forbice da dietro e gli spacca tibia e perone. I compagni di Riva piangono: il piede è rovesciato. L’anno dopo a Roma nella partita di ritorno, Hof è nuovamente in campo: Riva lo saluta con un buffetto e gli stringe la mano.
In Messico, Riva era stato involontario protagonista di un clamoroso incidente diplomatico fra l’Italia e l’ex colonia, l’Etiopia. Si gioca contro un soprendente Israele, e l’Italia non sblocca la partita sino a quando Riva, con un potente colpo di testa, segna al 29’. L’arbitro, il brasiliano De Moraes, convalida, ma sul lato destro del campo si vede un omarino nero che sbandiera. De Moraes s’avvicina, il gurdalinee etiope Seyum Tarekegn annulla per fuorigioco. Telecronista è il mitico Nicolò Carosio, che alla Radio aveva celebrato l’Italia fascista campione del mondo nel 1930 e nel 1934, olimpica nel 1936 a Berlino sotto gli occhi del Führer Carosio non chiama mai il guardalinee per nome, lo definisce ‘l’etiope’; secondo l’ambasciatore con un sottinteso di disprezzo, ma non è vero che gli dà del ‘negro’ come narra la leggenda metropolitana. Ugualmente il direttore della Rai Ettore Bernabei richiama Carosio a Roma, promuove Martellini, manda in Messico il giovane Pizzul come secondo: non lascerà mai più toccare il microfono a Carosio.
Due anni fa Riva assiste alla proiezione di un documentario sulla sua vita. Arrivato in sala fa gli applausi, si siede in prima fila e non trattiene le lacrime. Sa che rivedrà la sua tragica infanzia e adolescenza. A 9 anni il papà, operaio in una fabbrica, viene trapassato da parte a parte da un lastra di ferro. La madre trova lavoro in una filanda e arrotonda lo stipendio come donna delle pulizie. Ma poco dopo muore di cancro. Gigi è affidato alla zia che lo mette in un istituto religioso. Scappa dal primo e anche dal secondo. Regge il terzo. “Ci obbligavano a pregare e solo dopo ci davano il pane. Ci umiliavano perché eravamo poveri”, dirà più tardi.
Riva aveva vinto la povertà con il gioco del calcio, ma guadagnava molto meno di qualsiasi mediocre giocatore moderno nell’epoca dei diritti televisivi venduti per un miliardo di euro a stagione.
Con Riva ospite della TSI e due altri colleghi, ho passato una serata in un ristorante di Cureglia dove una famosa ‘zia pastara’ aveva cucinato apposta per noi in una saletta riservata. Aveva il terrore dell’eccesso, del ‘glamour’ hollywoodiano, dello ‘star-system’ che stava nascendo e che avrebbe imposto un modo di fare innaturale, sopra le righe, artificiale. Non aveva il minimo senso di superiorità, considerava il suo mestiere come quello di suo papà e di sua mamma, aveva la cultura del lavoro,un grande rispetto per i suoi colleghi, persino per i difensori che lo picchiavano e gli sputavano addosso. Capiva che lo facevano per guadagnare la pagnotta, per rimanere in squadra. Capiva la loro fatica, la loro inferiorità professionale. Non ho mai avuto l’impressione di essere a tavole con un mito.
Addio ‘Rombo di Tuono’: quando il cielo si aprirà arrabbiato un’eco ti ricorderà. A lungo.
Nell’immagine: Gigi Riva durante la storica sfida messicana fra Italia e Germania finita 4-3
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