Zelensky il coreano
Ora il presidente ucraino, in forte difficoltà sul piano politico interno e sul fronte di battaglia, sostiene che la pace con la Russia può arrivare l’anno prossimo. Ecco gli scenari possibili
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Ora il presidente ucraino, in forte difficoltà sul piano politico interno e sul fronte di battaglia, sostiene che la pace con la Russia può arrivare l’anno prossimo. Ecco gli scenari possibili
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Ora il presidente ucraino, in forte difficoltà sul piano politico interno e sul fronte di battaglia, sostiene che la pace con la Russia può arrivare l’anno prossimo. Ecco gli scenari possibili
Il tour europeo di Volodomyr Zelensky rappresenta un passaggio, probabilmente decisivo, nella politica estera ucraina più recente. Venerdì il Presidente ucraino è sbarcato a Roma per un incontro a quattr’occhi con Giorgia Meloni. Veniva da Parigi e Londra per poi recarsi a Berlino e concludere la sua mission a colloquio con Olaf Scholz.
Ufficialmente Zelensky intendeva presentare agli alleati europei il suo fumoso “Piano per la vittoria”; in realtà ha iniziato a ripetere come un mantra “che la pace sta diventando possibile già nel 2025”. Si tratta di una svolta nella comunicazione del governo ucraino, non solo dettata dalla contingenza politica, ma soprattutto da una situazione nel Paese e sui fronti di guerra che non promette nulla di buono.
L’istituto tedesco “Kiel” ha avvertito qualche giorno fa che gli aiuti militari e finanziari Usa a Kiev potrebbero dimezzarsi a circa 29 miliardi di euro (31 miliardi di dollari) nel 2025 se Trump dovesse vincere la corsa presidenziale americana. Kamala Harris ha promesso di essere più generosa ma anche nello studio ovale si inizia a pensare di tirare i remi in barca sul fronte dell’Europa orientale. Dal canto suo l’UE ha stanziato ancora 35 miliardi di euro per il paese slavo, ma saranno a questo punto basati su prestiti garantiti dai beni russi congelati nel Vecchio Continente nel 2022.
A ciò si aggiunge l’ormai cronico problema della mobilitazione. Secondo testimonianze riportate dal Corriere della Sera un ufficiale ucraino ha ammesso: “Due anni fa noi reclutavamo oltre 200 uomini al mese, oggi non ne arrivano neppure a 30 . Cresce oltretutto il numero dei disertori, in particolare di coloro che alla fine delle licenze premio, o per curare le ferite di guerra, decidono di non tornare al fronte. La cifra ufficiosa è di circa 80.000 tra disertori e «sezeche», come vengono chiamati coloro che hanno tolto l’uniforme senza permesso (un numero enorme, si stima che oggi sulle prime linee ci siano meno di 400.000 soldati).
Una Caporetto ucraina forse non è ancora all’ordine del giorno ma ogni giorno che passa diventa un’ipotesi sempre meno fantascientifica. Zelensky, dopo aver discusso con la premier italiana ha voluto mettere in chiaro che il “cessate il fuoco non è in agenda”, ma le voci che sono girate in questi giorni su una sua disponibilità a chiudere la partita con Vladimir Putin sono tutt’altro che spente. I cremlinologi affermano che il leader russo non sarebbe disposto a uno scambio di “territori del Donbas” contro l’“adesione alla Nato di Kiev”; malgrado ciò, ha lasciato la porta aperta a un’ipotesi “coreana”. Infatti, sia i rappresentanti dei paesi occidentali che un numero crescente di esponenti della leadership ucraina sono pronti ad ammettere che “significative garanzie di sicurezza” all’Ucraina da parte dell’Occidente potrebbero essere la base di un accordo che porterebbe Mosca a mantenere il controllo, almeno per ora, sui territori occupati. Non ci sarebbe cioè un riconoscimento formale della sovranità russa sulle zone conquistate dal 2022 ad oggi (la perdita della Crimea è data per scontata), e si vorrebbe giungere un “tacito accordo” sul fatto che queste terre dovrebbero essere restituite diplomaticamente in un futuro non ben definito. Per ora su questo aspetto Putin starebbe nicchiando, volendo capire se ciò possa prevedere anche garanzie formali: per esempio che altri Paesi dell’ex Urss nel futuro non entrino a far parte della Nato o della sua orbita (Armenia, Crimea e Moldavia ma anche i Paesi centroasiatici ex-URSS).
Che sia in corso la discussione lo confermano anche fonti statunitensi raccolte dal “Financial Times”. In tal caso un’opzione potrebbe essere l’esempio della Germania Ovest, che nel 1955 entrò nella NATO senza il territorio della Repubblica Democratica Tedesca.
A Downing Street, Zelensky ha illustrato in modo riservato il suo piano al premier britannico Keir Starmer e al segretario della Nato Mark Rutte. “Gli argomenti chiave delle nostre discussioni sono stati l’integrazione euro-atlantica e il rafforzamento militare dell’Ucraina. Questi sono i passi che creeranno le migliori condizioni per ripristinare una pace giusta”, ha sottolineato il leader ucraino. Da parte sua, Starmer ha insistito sull’importanza di “continuare a mostrare l’impegno di sostenere l’Ucraina” sino in fondo dal punto di vista politico, finanziario e militare. “Non si tratta solo dell’Ucraina – ha fatto eco Rutte -, ma anche di difendere l’Occidente” e il modello “di sicurezza” rappresentato dalla Nato. Parole significative se dette in una capitale che negli ultimi decenni si è trovata spesso ad aderire plasticamente alle posizioni americane”.
Sotto traccia la questione resta, per ora, quello dell’autorizzazione all’uso dei missili a lunga gettata, in grando di colpire in profondità la Russia. Roma e alla fine anche Berlino restano contrarie mentre a Londra e Parigi sono più propense per il “sì”; con Biden, ormai a un passo dal pensionamento, che continua a pencolare. Il ministro degli esteri ungherese Peter Szijjarto, in visita a San Pietroburgo, ha ripetuto ancora una volta che “nelle attuali circostanze”, una tale decisione, provocherebbe la “Terza guerra mondiale”. È vero che Viktor Orban non conta molto in questa partita e a Bruxelles è visto sempre di più come una vera e propria “quinta colonna” del Cremlino, ma il leader ungherese sa di rappresentare dei mal di pancia che attraversano in lungo e in largo le opinioni pubbliche europee.
In tutto questo vortice di dichiarazioni non si tiene conto però fino in fondo di quale voglia essere il punto di caduta accettabile per la dirigenza russa. Ancora oggi oltre un milione di lavoratori russi sono impegnati a ciclo continuo, 24 ore su 24 ore, per garantire lo sforzo bellico. Putin, in questo senso è in vantaggio tatticamente e potrebbe permettersi anche di attendere ancora.
Non che in Russia siano tutte rose e fiori. Il cambio del dollaro malgrado la Banca Centrale russa abbia aumentato costantemente i tassi d’interesse (oggi al 19% contro l’8,5% del maggio 2023) è ormai tornato a 100 a 1 contro il rublo, i prezzi al dettaglio continuano a crescere senza soluzione di continuità e la stanchezza per la “guerra infinita” tra la gente si fa sentire. Il giornale moscovita Kommersant ha rivelato che “le regioni aumentano nuovamente i pagamenti forfettari per le nuove reclute al fronte. Non si trova insomma gente da spedire in Ucraina, e l’unica leva per trovare nuovi soldati non è più da tempo l’amor patrio.
Le autorità di Belgorod – ha segnalato Kommersant – hanno triplicato il pagamento forfettario regionale per le nuove reclute a contratto del ministero della difesa russo fino a 2,6 milioni di rubli (circa 2.500 euro al cambio attuale). In precedenza, pagamenti record per le reclute erano stati proposti nella provincia autonoma di Khanty-Mansi e a Mosca: rispettivamente 2,3 milioni, e 1,9 milioni di rubli”.
Nell’immagine: il presidente abbraccia il presidente (del Consiglio)
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