Così la guerra torna in Europa

Così la guerra torna in Europa

Il riflesso bolscevico-brezneviano di Putin, che se la prende anche con Lenin, ma applica la dottrina e la violenza della ‘sovranità limitata’ in quello che considera il proprio cortile di casa


Aldo Sofia
Aldo Sofia
Così la guerra torna in Europa

Patriottico, certo. Diciamo pure, nazionalista. Visionario, spinto com’è dall’ossessione di recuperare l’antica (e presunta) grandezza. Oggi auto-dichiarato anticomunista, in passato ex ufficiale del KGB, ora anti-Lenin addirittura “colpevole” di aver messo l’Ucraina sui binari dell’indipendenza. Prendetelo dal lato (ve ne sono altri) che più vi convince. Ma una cosa è certa: Vladimir Putin ha riflessi da bolscevico brezneviani. Che significa dottrina della ‘sovranità limitata. Di più: spezzata, sbriciolata, se la sovranità conquistata da altri nel proprio ‘cortile di casa’ contrasta con le proprie convinzioni e i propri interessi nazionali. L’ha sempre fatto l’America, e oggi reitera la Russia.

Bersaglio, quindi, l’Ucraina da appena un trentennio indipendente. Non che l’Occidente (Usa, Nato, Europa) non abbia offerto al neo-zar qualche ragionevole pretesto. Nemmeno negli Stati Uniti sono mancate, oggi come ieri, voci critiche sulla ottusa strategia americana (supinamente accettata dalle cancellerie del Vecchio continente) di un continuo allargamento a Est dell’Alleanza Atlantica. Già di per sé umiliante e provocatoria per il Cremlino. Assolutamente intollerabile, poi, anche solo l’ipotesi dell’adesione alla Nato di un’Ucraina che per l’autocrate di Mosca è ‘storicamente russa’, carne della sua carne, e che tale deve ridiventare, anche per i precisi interessi geostrategici del Cremlino lungo l’asse su cui rifondare una nuova alleanza a trazione russa.

Ucraina smilitarizzata, promette Putin. Addirittura ‘denazificata’: perché una parte del paese accolse favorevolmente gli invasori di Hitler creando addirittura una SS ucraina; e perché ancora oggi vi sono milizie con svastica che condizionerebbero le scelte del governo di Kiev. Una evidente forzatura, quest’ultima, che però fa comodo a Putin, per la mobilitazione della sua opinione pubblica, sensibilissima a quel richiamo storico, autentica benzina sul grande incendio che il presidente russo ha deciso di appiccare, lanciandosi all’invasione della sua ex Repubblica. Si vedrà con quali esiti.

Così, l’Europa, con già alle spalle l’atroce conflitto nell’ex Jugoslavia (stragi, pulizia etnica, confini cancellati e confini ridisegnati) si ritrova con un’altra guerra, con altri morti, altre distruzioni, altri profughi, altre difficili decisioni nel dover varare sanzioni economiche che “facciano molto male a loro, e poco a noi”. Problematica quadratura del cerchio, forse un’illusione. “Peggio del ’56 e peggio del ’68” (interventi militari sovietici ‘normalizzatori’ in Ungheria e Cecoslovacchia), mi scrive l’amico Willy Baggi, un maestro di conoscenza e competenza sulla politica internazionale del dopoguerra. Allora (1956, 1968), con gli ‘amichevoli interventi’ del Patto di Varsavia ci fu l’inaccettabile repressione in due Stati comunque all’interno dell’impero (destinato al collasso di trent’anni fa). Oggi, se possibile l’offensiva armata sembra ancora più devastante e grave, perché è evidente il proposito di voler smembrare, disarticolare, comunque sottomettere Kiev, ormai già vicina alla resa, sembra, sotto l’urto dei fanti, dei tanks, dell’aviazione russe.

Senza la resa del presidente Volodymyr Zelensky (che ora si lamenta di essere lasciato militarmente dall’Ovest, che non ha mai promesso altro (non si muore per Kiev), nella capitale non sarà difficile trovare un ‘novello Quisling’ (l’ex ministro norvegese del tradimento in favore del Führer) per governare l’Ucraina, che non può rinnovare la storia del Davide vittorioso contro il gigante Golia, tale è la sproporzione di forze in campo, a meno che non si passi a una lunga fase di guerriglia comunque dagli esiti incerti (riuscì ai finlandesi contro l’esercito di Stalin, ma in un altro contesto storico e del territorio). Una sconfitta sconcertante e inquietante dei principi di democrazia e libertà. Che Putin da tempo ha definito ‘obsolete’, magnificando, al pari del suo alleato cinese XI Jinping (ma fino a quando?) il metodo brutalmente spiccio dei regimi autoritari, dittatoriali.

Purtroppo non c’è soltanto il vendicativo e rivoltante Donald Trump a definire ‘geniale’ l’ammirato statista di Mosca. È un giudizio, uno stato d’animo, fin troppo diffusi anche fra persone comuni consapevoli comunque dei rischi che i fatti di queste ore comportano per tutti, oltre a quelli affascinati dal decisionismo violento, che si sbarazza delle fatiche, dei tormenti, delle complessità dei processi democratici.

Nemmeno riuscendo a immaginare cosa sia non una guerra virtuale da grande o piccolo schermo, ma una guerra reale, terribilmente reale, “cadaveri e lacrime, macerie e mutilati, sangue e merda”.

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