I bancomat russi e l’atomica di Putin

I bancomat russi e l’atomica di Putin

La resistenza degli ucraini, le proteste contro la guerra nelle città russe, e la Russia che ricorda di essere potenza nucleare


Aldo Sofia
Aldo Sofia
I bancomat russi e l’atomica di Putin

Kiev non cade alla prima violenta spallata russa. Come, ovviamente, avrebbe preferito l’uomo del Cremlino. E come pronosticavano gli esperti di faccende militari. Invece, almeno per ora, gli ucraini reggono più del previsto. E qualche grattacapo cominciano a procurarlo a Vladimir Putin, il ‘geniale’ stratega insistentemente celebrato oltre Atlantico dall’ irrecuperabile Trump. In soli dieci giorni (mentre nelle città russe si formano lunghe code ai distributori bancomat, e finiscono in galera non pochi oppositori alla guerra) al Cremlino si è passati dal riconoscimento delle Repubbliche auto-proclamate indipendenti delle regioni russofone ribelli, all’entrata nel Donbass orientale dei primi reparti di Mosca, all’assedio non risolutivo della capitale, all’ordine di ‘offensiva generale’, alla decisione di allertare addirittura il dispositivo di sicurezza atomica. Non significa certo che la Russia rischi di perdere la guerra scatenata contro il Davide ucraino: non soltanto perché intatto rimane lo squilibrato rapporto fra le forze militari in campo, ma anche per la continuità territoriale su cui ora può contare l’esercito d’invasione.

Eppure qualche fessura si intravvede nella sicumera che veste la postura, le analisi, gli annunci dell’autocrate. Che non ha convinto i “fratelli” al di là del mitico fiume Dnepr a rigettarsi spontaneamente nelle braccia di Madre Russia; che ha definito il presidente Zelen’sky il capo di una banda di ‘drogati e neo-nazisti’; che ha inutilmente chiesto ai generali nemici di liberarsene con un colpo di Stato. E che ora accetta una trattativa senza precondizioni, naturalmente da tenersi in terra amica, quella del suo alleato e dittatore bielorusso Lukashenko. Che se ne è uscito con il più inverosimile ma minaccioso dei moniti: “le sanzioni occidentali spingono verso la guerra nucleare”. Ma come?, il ‘geniale’ non le aveva messe in conto? Non aveva tutto previsto? Non ha predisposto contromisure adeguate (magari attraverso ospitali canali finanziari alternativi cinesi) per neutralizzare l’esclusione (parziale) di banche russe dal circuito finanziario internazionale? E non dovrebbero essere un boomerang anche per le nostre economie?

Sta di fatto che quelle sanzioni – pur producendo i loro effetti solo tra settimane o mesi – potrebbero avere conseguenze molto pesanti sulla situazione di un paese, la Russia, che ha la sua ricchezza principale e quasi esclusiva nell’esportazione di gas e petrolio, che ha investito molto del suo budget nelle spese militari, che ha una società fra le più diseguali fra i paesi industrializzati, e il cui rapporto Pil pro-capite, a parità di potere d’acquisto, nell’anno pre-pandemico 2019 era appena al di sopra di quello della Bulgaria. E adesso c’è da sommare la fattura della guerra. Fattura salata. Nano economico ma potenza militare, si continua a ripetere della Russia. Ma anche questo è solo in parte vero. Mosca destina alla difesa 60 miliardi di dollari, gli Stati Uniti sono vicini agli 800 miliardi, la Cina è a 252, Germania Francia Italia insieme 134 miliardi. Ma certo, la differenza la fa l’arsenale atomico. No, non è assolutamente un caso se a Mosca e a Kiev se ne parla apertamente. E minacciosamente. Al tavolo delle annunciate trattative (si dice insistentemente chieste a Mosca da Pechino), che si terrebbero al posto doganale bielorusso di Aleksandrovka-Vilcha, le parti vogliono presentarsi ciascuno col massimo del loro peso negoziale. Gli ucraini con i risultati di una resistenza imprevista e con alle spalle le sanzioni occidentali. I russi anche col richiamo alla loro potenza nucleare. E non è un bel viatico.

Pubblicato oggi da ‘laRegione Ticino
Nell’immagine: pannello sulla strada per il posto doganale fra Aleksandrovka (Bielorussia) e Vilcha (Ucraina), da Google Maps

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