Pierre Casè e i miracoli dell’arte

Pierre Casè e i miracoli dell’arte

Memorie, luoghi e radici per non soccombere ai diktat della società


Redazione
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Pierre Casè e i miracoli dell’arte

Con la scomparsa di Pierre Casè se ne è andato un grande protagonista della scena artistica non solo svizzero-italiana degli ultimi decenni, un punto di riferimento, misurato e sempre autocritico,  per l’attività pittorica nel nostro Paese. Un artista ed un testimone che proprio nei mesi scorsi era stato al centro di un nuovo volume di Martino Giovanettina, “Pierre Casè. Cronache da una vita” e che più recentemente era stato intervistato per La Regione da Keri Gonzato per parlare del proprio mondo e dei suoi “lavori in corso”, che certamente non si esauriranno con la sua scomparsa, ma resteranno ad indicare una possibile via di rappresentazione del mondo e della natura ad artisti delle nuove generazioni.

In omaggio a Pierre Casè proporremo sabato prossimo un contributo originale di Martino Giovanettina, mentre in questa sede ripubblichiamo oggi l’incontro con Casè di Keri Gonzato, che ringraziamo. (red.)

                                   Foto Marco D’Anna 

Di Keri Gonzato, Ticino 7 – La Regione

Pierre Casè è nato 77 anni fa a Locarno. La moglie Sandra è levatrice, lui è artista, entrambi si occupano di creatività. Vivono a Maggia, terra delle radici dove si trova l’atelier, ‘locus amoenus’ che protegge le viscere della sua creatività. È stato presidente della Società pittori scultori e architetti svizzeri e Direttore artistico della Pinacoteca Casa Rusca a Locarno, membro della Commissione federale della Fondazione Gottfried Keller e del Consiglio della Fondazione Giovanni Segantini. Da 20 anni la sua attività è tutta rivolta alla produzione artistica. La fascinazione per Venezia lo ha portato a esporre diverse volte nella città lagunare. Da settembre sarà alla Fondazione Ghisla Art Collection a Locarno. In continua evoluzione, non ha mai smesso di guardare e scoprire.

“L’artista è l’uomo che vive nel quotidiano, ma ha la fortuna di poter esprimere quello che ha dentro di sé”, un processo intimo che spesso avviene in atelier. Dopo 15 cambiamenti, nel 1989, Pierre Casè decide di costruire il suo spazio di lavoro a Maggia ed è qui che lo incontro oggi… “Ero presidente della Società pittori, scultori e architetti svizzeri [oggi Visarte, nda] e per semplificarmi la vita chiesi a ben due amici di fare il progetto: un’odissea, lunga, complessa e molto divertente”. Nasce così il tempio agnostico, silenzioso, verticale ma anche tondo, dove da oltre 30 anni evolve la sua arte.

“Penso alle case dove sono nati i miei ultimi figli, dove ritrovo memorie cariche di emozioni”, racconta Casè. I luoghi guidano anche la ricerca artistica. Il movimento da Locarno a Maggia è un ritorno alle radici. Qui si immerge nel territorio che sonda, scortica, odora e traspone in grandi opere materiche. “Cosa c’è di bello qua? Roccia, fronde, acqua che scorre da cui è nata la serie delle Atmosfere arcaiche create con i materiali che vivo sin da bambino”. Spessi e freddi muri in sasso, muschi, filo spinato, fuliggine, barriere e portali verso le origini di sé e il fondo del mondo. “In autunno, esco dall’atelier, guardo la montagna sopra Moghegno ed entro in crisi: cosa dipingo a fare se la natura ha già fatto tutto? Allora vado nel bosco, calpesto la foglia, la sento scricchiolare. Poi in atelier prendo il colore, mescolo le terre, aggiungo i materiali e tento di raccontare”. Il passato nel presente, tra continuità e interruzione. Fasi nette, scavi lunghi e profondi nei tessuti dello spazio e del tempo, cadenzano il suo viaggio creativo. Nel 1999 un ictus lo porta a esplorare in modo ossessivo, catartico e terapeutico il cranio. Agnostico irriverente, nel 2007 espone 1’040 teste nella chiesa di San Stae a Venezia, città dove tornerà per altre esposizioni importanti.

La fiamma si accende

“In Svizzera (da sempre) manca un’Accademia di Belle Arti…”. Pierre Casè parla con voce pacata ma seria. A 18 anni non può frequentare l’Accademia di Brera a Milano per motivi finanziari, essendo la madre rimasta vedova nel 1952. Come autodidatta ci mette il doppio del tempo ma quello che sperimenta penetra più profondamente in lui. Suo fratello maggiore, insegnante, poeta e scrittore, ha un ruolo importante. “Con lui accedevo a fonti di sapere preziose come il deposito di libri della Vallecchi, gestito dal signor Carrara, uomo simbolo di cultura e conoscenza, coi suoi capelli un po’ lunghi e lavallière [una cravatta a fiocco, nda]”. Lì vede i primi libri d’arte dell’editore Skira, con le riproduzioni a colori, ogni scoperta è una forte emozione.

Casè visita quotidianamente l’artista locarnese Bruno Nizzola, che accoglieva in atelier i giovani per passare il messaggio dell’arte. “Grazie a lui non ho mai comprato un tubetto di pittura, mi ha insegnato a miscelare pigmenti e colle, a naso, senza bilancina”. Dallo scultore Max Uehlinger, che aiuta nel fare i calchi in gesso, assorbe i misteri della materia che oggi usa e potenzia. Con il pittore e restauratore Carlo Mazzi, impara a recuperare colori e dipinti antichi. “Questi artisti sono stati la mia scuola, unica e intensa”. Nel 1952 Gisèle Réal apre la prima galleria a Locarno. “Per la prima volta vedevamo opere d’arte non figurativa della scuola parigina. Sbirciavo dalla vetrina e quello che vedevo accendeva una fiamma in me”. La scena artistica locarnese, sentendosi minacciata da quell’arte così diversa, fa però opposizione. La Galleria Cittadella si trasferisce ad Ascona dove Casè, a soli 20 anni, fa la sua prima mostra. Alcuni dei più grandi artisti svizzeri sono stati scovati da Réal che per lui diventa una mentore.

Un percorso laterale

“Mi sono sempre definito un artigiano che lavora con la creatività. L’artista viene spesso messo sul piedistallo ma prima di tutto è un uomo, con il privilegio di far galoppare la fantasia e sperimentare”. Quello che pensa e sente viene espresso, nel suo caso con la pittura e la materia, per essere carpito e discusso dall’altro. La mente indipendente di Casè ricorda di stare accesi e di osare dire la propria opinione anche a costo di andare contro lo statu quo. “Il lavoro artistico non è partitico ma è politico. Avere un pensiero critico e non soccombere ai diktat della società è un’urgenza reale”. Pochi in Svizzera possono vivere della propria arte. Da ragazzo Casè fa il gelataio d’estate e il maronatt d’inverno con il nonno e lo zio. Successivamente diventa decoratore di vetrine per Innovazione e Jelmoli. A lato continua a dedicarsi sempre all’arte.

Nel 1968, superato l’esame federale della Commissione d’Arte svizzera, entra a far parte del comitato. “Nel comitato c’era Pietro Salati, fondatore dello Csia, un tipo vivo e pieno di iniziativa che, per un incidente dell’ultimo secondo, mi permise di insegnare nella scuola”. Una semplice sostituzione si trasmuta in un lavoro continuativo che Casè scopre di amare. Dopo il decennio come direttore artistico della Pinacoteca Casa Rusca, dal 2001 si dedica interamente al fare arte. Sta creando 30 quadretti intitolati Ex Voto, 14 i temi, ciascuno appeso a un chiodo antico recuperato. “Opere che nascono per ringraziare i nostri vecchi e che dedico ai nipoti, per ricordare alle nuove generazioni di vedere oltre allo schermo del telefonino”. Composizioni ludiche dal sapore ancestrale, un tributo alla saggezza popolare, alla memoria collettiva, al sapere che viene dalla realtà e che va tramandato.

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