Sulle tracce dei grandi interpreti della musica africana – 6
Il blues che viene dal Mali: Ali Farka Touré e quel disco dirompente con Ry Cooder
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Il blues che viene dal Mali: Ali Farka Touré e quel disco dirompente con Ry Cooder
Ali Farka Touré e Ry Cooder, Gomni, da “Talking Timbuktu”
Nella vicenda della circolazione della musica africana a livello internazionale a cui abbiamo assistito da alcuni decenni a questa parte, il Mali occupa senza dubbio una posizione tutta particolare.
La musica maliana è presente già nell’onda della “nuova musica africana” degli anni Ottanta: in particolare con il successo del cantante Salif Keita, che si afferma tra le star africane di caratura internazionale, e che diventa uno degli emblemi della world music. Ma Keita è portatore di un ibrido in cui la tradizione maliana, con l’intervento di spregiudicati produttori occidentali, è abbondantemente miscelata con rock ed elettronica, e proiettata in una modernità certo di grande effetto ma persino forzata.
Quella che sarà la peculiarità della presenza maliana nella world music emerge invece nel decennio successivo. Quasi trent’anni fa, nel 1994, esce Talking Timbuktu di Ry Cooder e Ali Farka Touré, un musicista statunitense già di culto e uno maliano: l’album ha un successo clamoroso.
Per quanto riguarda la musica africana l’exploit di Talking Timbuktu rappresenta una conferma ulteriore, dopo il decollo internazionale della carriera di Cesaria Evora, della possibilità di fare breccia nel consumo europeo e americano senza bisogno di compiacere a tutti i costi il pubblico del “nord” del mondo ricorrendo a pesanti maquillages: come già Cesaria Evora, l’album va cioè esattamente in controtendenza rispetto appunto al tipo di musica proposta da Salif Keita (e da altri artisti africani dell’epoca, fra cui Mory Kanté).
Non è questa la sede per chiedersi – vecchia questione – se il blues affondi le sue radici nella musica dell’Africa occidentale, e quanto certa musica maliana sia stata influenzata dal blues d’oltre Atlantico e se sì perché: fatto sta che la forte affinità col blues della musica di Ali Farka Touré negli anni novanta richiama l’attenzione di un pubblico internazionale che va ben al di là di quello specificamente motivato sulla musica africana o che ha seguito con passione l’emergere della world music negli anni Ottanta. Ci sono i fan di Ry Cooder, i cultori di blues, ma più in generale c’è tutto un pubblico che cerca degli ascolti diversi dal solito e nemmeno necessariamente esotici, ma di qualità e “autentici”. In questo senso l’album di Ry Cooder e Ali Farka Touré diventa, dopo Cesaria Evora, il secondo momento di un trittico che pochi anni dopo sarà completato da Buena Vista Social Club, di nuovo con di mezzo Ry Cooder: un album fra l’altro nato – guarda caso – come ripiego di un incontro fra musicisti cubani e maliani, saltato perché questi ultimi non avevano ottenuto il visto per il viaggio.
Con Talking Timbuktu la musica del Mali fa un salto nella sua proiezione internazionale, diventando una protagonista di rilievo della world music. Dopo il fortunato incontro discografico tra Ry Cooder e Ali Farka Touré, musicisti di ogni ambito musicale fanno a gara a suonare con musicisti del Mali, e alla musica del grande paese dell’Africa occidentale si dimostrano molto sensibili produttori ed etichette discografiche. A cavallo fra anni Novanta e nuovo millennio raggiunge una ampia notorietà internazionale Toumani Diabaté, che assurge ad ambasciatore della kora, strumento a corde simbolo dell’identità maliana. Nello stesso periodo ha successo in Francia e viene poi scoperta da Manu Chao, con ulteriore impulso alla loro carriera, la coppia di non vedenti Amadou e Mariam: la loro musica candida e piena di contagioso vitalismo è inconfondibilmente maliana, ma Amadou non nasconde certo le passioni che ha nutrito fin dalla gioventù per Hendrix, Clapton, John Lee Hooker, Ten Years After, Deep Purple e Led Zeppelin.
Nel nuovo millennio il Mali si consolida come il paese del continente nero che sul piano musicale gode della maggiore esposizione internazionale. La sua visibilità sulla scena musicale globale si rafforza poi col successo del filone del blues-rock touareg, uno dei fenomeni più consistenti degli ultimi lustri della world music, nel quale la maggior parte dei gruppi, a cominciare dal più importante, i Tinariwen, è maliana.
Il successo della musica del Mali ha contribuito a ridimensionare certi cliché: una musica in cui abbondano strumenti a corde e ha ampio spazio la melodia ha messo in discussione il luogo comune di una musica africana nient’altro che ritmo e percussioni; e con lo scenario estremamente articolato della sua magnifica musica il Mali è già da solo la prova che la musica del continente non è la notte dove tutte le vacche sono nere.
Tuttavia, nella grande diffusione della musica maliana c’è qualcosa di paradossale: il Mali è un paese che è arrivato all’indipendenza senza un’industria discografica, che anche oggi è molto modesta; ha venti milioni di abitanti e continua ad essere un paese molto povero. Pensiamo alla Nigeria: ha duecento milioni di abitanti, grandi risorse, una industria discografica poderosa (e anche cinematografica: la musica oggi è fatta anche di videoclip). Eppure, della musica nigeriana la world music non ci fa sapere praticamente niente.
Possiamo lasciare in sospeso la nostra spiegazione di questo paradosso fino alla prossima (e ultima) puntata di questa serie. Intanto possiamo però constatare che c’è un aspetto della musica del Mali che è rimasto in ombra nella world music, e non è un aspetto da poco: l’hip hop. In Mali il rap aveva cominciato a diffondersi ampiamente fin dai primi anni Novanta, diventando la musica dominante fra i più giovani, per lo meno nei centri urbani, e mostrando anche una significativa originalità, per esempio con un gruppo pionieristico come Tata Pound. Nel nuovo millennio, a Bamako, la capitale, i rapper con un seguito enorme tra i giovani e giovanissimi sono diventati decine, e alcuni in Mali sono delle star. Ma è una scena di cui chi si è fatto in questi decenni un’idea della musica maliana attraverso i dischi di Ali Farka Touré, Toumani Diabaté, Amadou e Mariam non ha in generale avuto alcuna percezione.
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