La Meloni ridimensionata, la Schlein rafforzata e la Bocca della verità

La Meloni ridimensionata, la Schlein rafforzata e la Bocca della verità

Le elezioni regionali in Sardegna, vissute come una gara nazionale, segnano a sorpresa la prima sconfitta della destra di fronte all’improvvisato “campo largo” della coalizione di sinistra


Aldo Sofia
Aldo Sofia
La Meloni ridimensionata, la Schlein...

Nella storia della Repubblica italiana, la Sardegna orgogliosa e taciturna, è stata spesso culla di vittorie impreviste o sconfitte inattese poi regolarmente confermate a livello nazionale. Meglio comunque non abbandonarsi a speranze contabili così fragili.

Anche se il voto regionale di ieri nella seconda isola mediterranea per grandezza e popolazione segna la prima sconfitta l’ex imbattibile ‘sorella d’Italia’ e premier Giorgia Meloni, destra dura e manganellara (vizietto antico). Lei ha voluto nazionalizzare la consultazione locale, lei ha scelto un suo candidato di esemplare impopolarità come sindaco di Cagliari, lei lo ha imposto agli alleati più che riottosi, lei ci ha messo la faccia in un comizio dei più riusciti in fatto di slogan pallonari sul felice stato socio-economico della patria: somma di quella “capo-crazia” che nei suoi piani prevede anche l’elezione diretta del capo del governo, la marginalizzazione di un capo dello Stato ridotto a passacarte, i partner di coalizione in sudditanza e ai suoi ordini.

Meloni populista che ha perso un pezzo di popolo. Il sonoro ceffone di ieri da “sinistra” (che in realtà poco sinistra è) rende il disegno privatistico e “orbanista” (da Orbán, il semi-autocrate ungherese) un tantino più difficile alla capessa della destra-destra italiana. Proprio a cominciare dal mortificato eppur vociante condominio: che si tratti di Matteo Salvini – che a sua volta aveva invocato i ‘pieni poteri’ sulla spiaggia del Papeete, fra pop-music, cocktail, tanga e sculettamenti –, il quale magari gode per la sconfitta dell‘amica-rivale interna’ (che bocciò il suo, di candidato, l’impresentabile Solinas, governatore più impopolare d’Italia), anche se deve leccarsi le ferite di una percentuale di voti della Lega scesa al minimo in questa consultazione; o del miracolato Antonio Tajani, che sull’isola supera i finti amici padani e finalmente, dopo infinita penosa irrilevanza, un po’ se la può tirare e soprattutto sottrarsi al fantasma dello scomparso ma sempre incombente nonno Silvio. Lamentosi under-dog e impreparata classe dirigente. Simpatica compagnia di giro. Che complessivamente raccoglie più voti, ma consegna la guida della Regione al nemico descritto come salottiero, culo-divanista, ignaro dell’odore di vacche e stalle, responsabile assoluto dello sfascio economico-culturale-morale ereditato entrando a Palazzo Chigi.

Presidente sarda al foto-finish sarà, per una manciatina di voti, come in degna sfida all’Ok Corral, la pentastellata Alessandra Todde, plurilaureata di calma assai poco grillina, signora perbene, che va a votare accompagnando e sostenendo l’anziana e zoppicante madre; già sottosegretaria la Todde, il meglio che potesse offrire il mercatino politico del centro-sinistra vista anche la sua assoluta mancanza di vis polemica nei confronti del partner dem. Gongola il cangiante e primatista dei volta-marsina Giuseppe Conte, che ora dovrà finalmente dirne una seria e definitiva sulla voglia o meno di entrare nel cosiddetto “campo largo” (copyright Enrico Letta), oppure se tornare ai capricci, agli orpelli, ai pretesti, e al sinuoso linguaggio meridionale dell’ “avvocato del popolo”. Insomma, decidere se, obiettivo le elezioni europee fra poco più di tre mesi, fare davvero affari con Elly Schlein. La vera vincitrice di questa mano. Ottenuta proprio nel momento di apparente maggiore difficoltà della sua ancora breve segreteria. Accentratrice, insensibile alle istanze interne socialdemocratiche, offensiva verso la minoranza cristiana sui temi etico-sessuali, addirittura aspirante a capolista per il voto all’europarlamento (anche se è probabilmente l’unica fra i possibili candidati che qualcosa di Europa sa e ha masticato).

Insomma, la “svizzera” accusata di tutto e di più. E che oggi si toglie qualche macigno dalle scarpe. Soprattutto di chi internamente voleva (e vuole) impedirle accordi elettorali con i Cinque Stelle (che definivano con disprezzo i dem “quelli di Bibbiano”, il pruriginoso scandalo dei bambini in affidamento, finito nel nulla), il movimento che voleva aprire il parlamento “come una scatoletta di tonno” e che invece ha aperto sé stesso al parlamentarismo meno nobile e meno combattivo. In sostanza, un pareggio fra 5S e PD. A entrambi benefico: Conte porta al governatorato di una Regione italiana per la prima volta una cinque-stelle; la Schlein consolida posizione politica e personale tra gli ‘elefanti del PD’, mettendo in riga anche l’amico-rivale Bonaccini, leale giusto quel che basta, e che ieri notte lanciava sonori “applausi” all’ex vice-presidente della sua Emilia Romagna.

Ma davvero l’isola grande segna uno spartiacque nei contraddittori e contrastanti tormenti dell’italica vicenda politica? Una Meloni meno proterva, una Elly più robusta, un Conte meno evanescente e tentato sempre di auto-negarsi, centristi meno farfalloni vista la figuraccia sarda con la candidatura Soru?

Risposte che non avrete nemmeno infilando la mano nella Bocca della Verità a Roma, statua antica e tappa obbligata per tanti visitatori della capitale, che un po’ impacciati effettuano l’operazione sperando in segnali ultraterreni. Mai una volta che quella boccaccia abbia sputato una sentenza.

Nell’immagine: Alessandra Todde (M5S)

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