Leggendo i giornali capita, in certi giorni, di domandarsi se, saltabeccando da un tema di cosiddetta cronaca all’altro, non vi siano fra essi dei nessi tali da suggerire delle riflessioni più generali, che si potrebbero utilmente collegare fra loro e mettere a fuoco.
Mercoledì scorso “Il Fatto Quotidiano”, giornale diretto da Marco Travaglio, ha mandato un suo inviato a Gstaad, nell’Oberland bernese, per indagare (giornalisticamente, s’intende) sulla misteriosa residenza svizzera di Marella Agnelli, la vedova di cotanto Gianni, “liquidata” con una buona uscita da mezzo milione di Euro al mese a condizione di trasferirsi, appunto, nel nostro paese, e starsene lì buona e tranquilla lasciando gli affari in mano alla figlia Margherita ed ai litigiosi nipoti, un po’ Elkann e un po’ Agnelli (e un po’ lupi, tutti quanti) a contendersi un patrimonio che vale circa 35 miliardi di Euro.
In effetti, Nonna Marella ha preso residenza in Svizzera, in uno châlet neanche tanto bello, ma valutato 97 milioni + classico apparato di servitù, adeguatamente pagato in franchi svizzeri, per passarci, sulla carta, quelli che sarebbero stati i suoi ultimi sette anni di vita, fra il 2012 e il 2019. Per ragioni legate alle infuocate vertenze fra stuoli di inferociti avvocati, si sta però ora indagando se davvero Marella Agnelli trascorresse lì la maggior parte dell’anno, come dev’essere per legge (italiana), in modo da pagare le tasse in Svizzera. Sembrerebbe di no, per ora, visto che nessuno a Gstaad si ricorda di una tale Marella, ad eccezione di chi, in comune, ha incassato le tasse della signora. Tasse concordate, naturalmente, con una forma di “forfait” che ha permesso di far versare a nonna Agnelli il 3,5% del proprio patrimonio dichiarato al comune svizzero, invece del 49% che avrebbe dovuto pagare in Italia. Una differenza non indifferente, anche rispetto alle percentuali, di reddito e sostanza, che finiscono in tasse per un comune cittadino svizzero.
Ma è tutto regolare, per quel che ci riguarda: in Svizzera va così, per legge; semmai, se c’è qualche questione di “evasione”, tocca all’Italia dirimerla. Una vicenda che ha infiniti precedenti, specie nel rapporto con i nostri vicini del Paese dei “nullatenenti alla Fedez”, in un meccanismo che come sappiamo ha fatto i fasti della nostra sacra “piazza finanziaria” e che vale tutt’ora nella diffusa, da noi quasi spasmodica caccia al milionario da beneficiare fiscalmente.
Il “caso Agnelli” vale però, in fondo, più per la rilevanza della famiglia in questione e dei numerosissimi interessi finanziari in cui è implicata che come caso clamoroso particolare. In questa logica di convenienza fiscale che il nostro paese garantisce e persegue pervicacemente, i “casi” non si contano ormai più, se non per constatare che altrettanta attenzione e riguardo non sono certo assicurati dal fisco per chi, in Svizzera, lavora o ha lavorato per una vita, pagando regolarmente le tasse.
Così, in tutt’altra situazione, in tutt’altra realtà, un altro “caso” riguarda in questi giorni l’ex-vice primo ministro albanese Arben Ahmetaj che proprio a Lugano, dopo essere stato al centro di casi di riciclaggio e corruzione e dopo aver depositato, in anni e mesi recenti, ingenti somme su conti del Crédit Suisse – frutto di non chiarissimi affari di inceneritori ed altre faccende più o meno volatili – ora si dichiara perseguitato e chiede asilo politico. Lo ha rivelato un’importante inchiesta di “Area” a firma di Federico Franchini, che ha scoperto, fra l’altro, che l’influente politico albanese (improvvisamente caduto in disgrazia nel suo paese, da cui ha avuto appena il tempo di scappare in tutta fretta), risiede attualmente in un bello stabile, in via Stefano Franscini 11, di proprietà della città.
Un’interpellanza al Municipio è già stata depositata (primo firmatario Raoul Ghisletta) e chiede esplicitamente se corrisponda al vero quanto pubblicato da “Area” e se possa dirsi comprensibile e legittimo che un personaggio di questo tipo viva in una casa di proprietà comunale. Di fatto, un politico ed affarista straniero perlomeno controverso sta occupando (anche se pagando, si spera) uno spazio pubblico, ma qui non arriva la polizia a sgomberare. Ahmetaj è beatamente sistemato a due passi da Villa Saroli e forse diventerà presto un nuovo facoltoso contribuente della città. Strano? Ma no, anche qui è tutto regolare, i problemi ce li hanno gli altri. Che poi anche questo caso metta in questione non tanto la legge, ma la moralità di una logica così scopertamente squilibrata a favore di chi può permettersi depositi milionari ed avvocati d’assalto a scapito di chi si deve arrangiare con il proprio salario è solo un trascurabile dettaglio. Tant’è vero che, interpellate sul caso da “La Regione”, le due municipali di Lugano, hanno entrambe amabilmente scantonato e minimizzato. Non sia mai.
Il “Mattino della domenica” di ieri ha pensato bene, nella paginata che come di consueto ha voluto dedicare al “caos asilo”, di dimenticarsi dell’asilante eccellente di Via Franscini, ma non ha certo voluto trascurare di accanirsi sulla mobilitazione e lo sciopero degli statali in programma giovedì. “Scioperanti di lusso”, li chiama con congenito disprezzo il codino alla vaccinara di via Monte Boglia, che non esita a reiterare il solito ritornello dei privilegi di chi lavora nel settore pubblico (di sinistra) rispetto a chi è attivo in quello privato. E vien proprio voglia di chiedergli se davvero gli pare credibile che vengano trattati meglio gli insegnanti o il personale delle case anziani rispetto a discutibili figuri alloggiati in città con i propri milioni al caldo (che forse sgoccioleranno, chissà, prima o poi).
E in quanto ad occupazione di area pubblica per scopi privati, gli andrebbe anche domandato se sia tutto regolare che lui possa (far) affiggere il suo mega manifesto elettorale in spazi di proprietà comunale e se questa pratica possa valere per tutti in qualsiasi posto (si veda un’interpellanza appena inoltrata da Aurelio Sargenti). A lui non dispiacciono le ramine, comunque, e mentre evoca quelli che le “maiano”, lui ci si attacca.
Sui termini ed i concetti di pubblico e privato andrebbe forse fatto, una volta o l’altra, un utile dibattito. Perché così si continua solo a confondere le acque e a menare il can per l’aia. Per fortuna che, ogni tanto, “Area” pubblica. La zattera dei Naufraghi ringrazia.
Nell’immagine: il manifesto di Lorenzo Quadri in una fotografia di Aurelio Sargenti