È tutto un bitcoin!
Dai sottosviluppati o emergenti alle “cryptoputes”. al Gran Consiglio e alla Lugano “crypto-friendly city”
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Dai sottosviluppati o emergenti alle “cryptoputes”. al Gran Consiglio e alla Lugano “crypto-friendly city”
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Dai sottosviluppati o emergenti alle “cryptoputes”. al Gran Consiglio e alla Lugano “crypto-friendly city”
C’è una sorta di corsa salvifica nel bitcoin in paesi sottosviluppati o con economie disastrate, dove spesso impera l’inflazione o la sfiducia nella moneta nazionale (come il Salvador, primo paese ad adottare il bitcoin come moneta nazionale, oppure il Venezuela, la Colombia, l’Argentina o ancora il Vietnam, il Pakistan, l’India, Kenya, Nigeria, Togo).
A Parigi (stando a quanto riferisce ampiamente “Le Monde”) prosperano quelle che sono ormai definite “cryptoputes”, cioè le lavoratrici del sesso che preferiscono farsi pagare in criptovalute, in bitcoin, con scambi che avvengono su reti informatiche decentralizzate. Sembra che con le criptomonete le prostitute riescano a mettere al sicuro i loro redditi, a fare a meno del sistema bancario tradizionale e, quindi, a sfuggire ai controlli e a dar fiducia ai clienti. C’è comunque sempre il problema di cambiare la moneta virtuale in moneta corrente e qui si può anche incappare nel fisco.
Lugano vuol essere una “crypto-friendly city” (in inglese, tanto per salvaguardare l’italianità e poi si protesta con l’università di Basilea!), con da una parte la città concreta (!), dall’altra il mondo delle criptovalute… ovviamente a favore dell’economia del territorio.
Il Ticino, il nostro piccolo mondo, è spesso rimproverato di mancanza di imprenditorialità. Un tempo incantato in sedute granconsiliari in cui gli si prospettava che sarebbe diventato la Silicon Valley della Svizzera, da anni sembra alla ricerca di quel mitico “valore aggiunto” (espressione diventata una sorta di nebuloso mantra cantonale) che dovrebbe fare la differenza e gli consentirebbe finalmente di mettersi perlomeno alla pari con le medie svizzere (qualità degli investimenti e dell’occupazione, produttività, rimunerazioni e salari all’altezza di un’economia sviluppata, reddito pro capite, cervelli formati e trattenuti, evitando di diventare i frontalieri dell’aldiqua, di Zurigo o Argovia ecc.).
Il Ticino, o in modo particolare il suo Legislativo, sotto la spinta di novelli Tavanarai, ha di quando in quando dei colpi d’ala, interpretando a suo modo spirito imprenditoriale, rischio, innovazione, creazione di valore aggiunto, anticipando altri Cantoni o l’intera Svizzera o, tutt’al più, imitando il paradiso delle multinazionali estrattive e del fisco, Zugo. Nell’aprile scorso, in barba anche alla pandemia, il Gran Consiglio decideva di permettere ai cittadini di pagare i servizi dello Stato in bitcoin. Sa di paese emergente, ma si disse ch’era un segnale di fiducia al fintech; e si sono minimizzati i rischi. Forse, considerati i proponenti, anche per… risparmiare, benché lo Stato dovrà incaricare una società esterna, intermediaria, per poi cambiare la criptovaluta in sonanti e comunque più stabili franchi svizzeri.
La nota e finanziariamente attenta agenzia americana Bloomberg, che sbandiera tra i suoi principi conoscenza e trasparenza (e pubblica ogni mese un “Bloomberg Crypto Outlook”, seguito mondialmente) ammetteva qualche tempo fa che nel mondo ci saranno si e no mille persone che capiscono, sanno che cos’è un blockchain, cosa sono le operazioni di mineraggio e che cosa può comportare il bitcoin o una criptovaluta. Siamo quindi meravigliati, non senza qualche orgoglio, di averne trovati 48 nel Gran Consiglio ticinese (può anche darsi che i veri conoscitori si nascondano in quegli altri 36 o 3 astenuti che non l’hanno voluto).
A buon conto, sembra che anche tra gli addetti ci sia un’ammissione: la valutazione del bitcoin e delle altre criptovalute è uno degli aspetti più controversi e più complessi. Due che se ne intendono (tale Chris Burniske, ricercatore in crittografia e membro della società di capitale-rischio Placeholder Ventures e Jack Tatar, direttore di Doyle Capital, che hanno scritto anche un libro intitolato “Criptoassets” che dovrebbe diventare lettura obbligatoria nell’amministrazione cantonale o in quella comunale di Lugano o forse persino nei postriboli) hanno così escogitato, per risolvere il problema, una equazione, fondata sulla teoria quantitativa della moneta.
L’equazione è la seguente: MxV=PxQ (M capitalizzazione di mercato di un bitcoin, V velocità di circolazione o frequenza media con cui una unità di bitcoin è spesa, P livello generale dei prezzi, Q numero di transazioni nel periodo considerato). Non è necessario che chi legge capisca qualcosa. Dovrà capirne qualche luminare del Dipartimento delle Finanze. Il nostro problema è che quell’equazione racchiude il nostro futuro, sarà o non sarà il nostro valore aggiunto, renderà gioiosamente ballerine le nostre finanze, moltiplicherà o azzererà il nostro debito a dipendenza delle capitalizzazioni borsistiche del bitcoin.
Può esserci una bella sorpresa. Se, putacaso, ingolfiamo di bitcoin le casse cantonali con il pagamento delle multe per eccesso di velocità e il bitcoin raggiunge di qui alla fine dell’anno, come si prevede, il prezzo di 130 mila dollari e forse anche di più, forse finiamo per risolvere dopo quasi un secolo ogni problema ticinese.
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