Il fondo di un sacco tra fiction e realtà

Il fondo di un sacco tra fiction e realtà

Tornando sull’opera più nota di Plinio Martini e su certe sue affermazioni, più romanzesche che documentarie, propense alla vittimizzazione della “pora gent” - Di Giorgio Cheda


Redazione
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Il fondo di un sacco tra fiction e realtà

Quest’anno tutti hanno belle raccolte. I Binsacca circa 10’000 sacchi cadauno. Fulgente 9’000 sacchi e quelli del Flat da 8 a 10 mille cada farmer. Io ho fatto quasi 9’000 sacchi. Da ciò vedi che tutti pagheranno dei bei debiti e resteranno in buono stato per la prossima stagione. (…) Le macchine non termineranno di battere per due mesi ancora.

Con il pallottoliere dello zio d’America, così Virgilio Franscioni ha scritto, da Soledad, il primo settembre 1901 ai famigliari a Moghegno. Non già una brancata di farina in fondo a un sacco, come afferma Plinio Martini (p. 82 dell’edizione citata alla nota 3) alludendo al fagotto dell’emigrante e alla sua valle, pure rinchiusa in un sacco. La stessa condizione del Ticino, bloccato a nord dalle Alpi e a sud dal confine: una forma di formaggio che non prende aria e fa i vermi; i vermi sono gli avvocati, i consiglieri, i galoppini dei consiglieri, i galoppini dei galoppini, e dietro i capimafia; (p. 142). Peggio: un Cantone protetto da un muro di cemento – come avrebbe voluto Giuliano Bignasca – simile a quelli di Berlino e fra Israele e la Palestina; rinchiudere poi gli indesiderati nuovi immigrati in campi di lavoro cintati e sorvegliati. (1)

Più documentario che romanzo?

Il fondo del sacco è sì un’opera letteraria di valore, ma l’autore l’ha definito più documentario che romanzo sull’emigrazione valmaggese in California(2). E i curatori dell’edizione critica affermano nel risvolto di copertina che esso racconta il fallimento di un’illusione collettiva: l’illusione, nutrita sin dall’Ottocento da migliaia di emigranti ticinesi, di trovare fortuna oltreoceano. Precisano inoltre: dei tre filoni che compongono l’opera (narrativo, storico-descrittivo e polemico-rivendicativo), quello storico è infatti preponderante(3). Michele Fazioli ha scritto che Plinio Martini, con “Il fondo del sacco”, ha compiuto in forma letteraria quello che Giorgio Cheda ha fatto con il suo poderoso lavoro di storico(4). Un’opinione che non condivido. 

Anche Piero Bianconi era convinto che l’emigrazione in California conserva un carattere generalmente più anonimo e servile, di bracciantato insomma, senza nessun beneficio fuori del guadagno materiale(5). E ancora: ben poco quell’emigrazione ha giovato al Ticino; o addirittura che spiritualmente gli ha nociuto(6). Questa errata lettura di uno dei più importanti capitoli del nostro recente passato ha avuto un’incidenza molto negativa divulgando pregiudizi riguardanti quello che è stato definito il paradiso dei sogni e l’inferno della realtà.

“Les drames de l’émigration dans le Tessin” figura quale sottotitolo della traduzione francese. È il dramma che mi ha costretto a scrivere Il fondo del sacco(7). Inciampando nell’ideologia in cui credeva, l’autore non si è eccessivamente preoccupato della realtà, pur avendo affermato nell’avvertenza che i fatti qui raccontati sono quasi tutti realmente accaduti.

Componendo il documentario si è però preso troppe libertà. Non si è accorto, ad esempio, dei numerosi sacchi di grano spediti al mercato dai convallerani non solo a Soledad. Non ha paragonato le 3’380 minuscole proprietà, parzialmente sostenute da 22 km di muri a secco e polverizzate nel registro fondiario di Brontallo, con le estensioni di buona terra acquistata e fatta fruttificare da generazioni di ranceri, parecchi autopromossi agribusiness men. Qualche esempio. Nella contea di Marin 35 famiglie valmaggesi possedevano quasi 140 chilometri quadrati di terra: un quarto della superficie della loro valle che ne misura 568, di cui la metà improduttivi. Le proprietà di quattro famiglie di Maggia corrispondevano alla metà dell’area del loro comune; i nove ranch dei Dolcini si dispiegavano su una superficie doppia di quella di Cevio. Carlo Martinoia, Giuliano Moretti, Giuseppe Traversi, Geremia Respini, tutti di Cevio, e i fratelli Fiori di Brontallo ne possedevano 187, singolarmente o in comunione fra loro. Alla fine dell’Ottocento, 17 famiglie di Moghegno si erano accaparrate 53 chilometri quadrati di piano, corrispondenti alla superficie di Maggia (24), Moghegno (7), Lodano (14) e Aurigeno (11). Togliete Aurigeno e avete il totale dei ranch di 17 giumagliesi, a cui bisogna ancora aggiungere quelli degli Adami, diventati Adams, quindi difficili da individuare nelle mappe catastali, come i Bloom (Fiori), ecc. Nella piana di Santa Maria in una quindicina di ranch valmaggesi si mungevano 4’000 mucche, più del doppio di quelle allevate nel 1906 in tutto il loro distretto d’origine. Qualcuno, sotto l’alfalfa, aveva trovato il petrolio. 

Grazie all’analisi seriale dell’abbondante documentazione (che non si può ignorare per divulgare – con la nostalgia o l’ideologia – una smorfia della realtà) ho dimostrato che l’emigrazione nel Golden State non è stata la più disastrosa(8), bensì la più bella avventura dei contadini del Sopraceneri. Una collettiva prova di coraggio, solidarietà, iniziativa, sacrificio, apertura culturale e fortunati investimenti. Lo storico M. E. Perret aveva così concluso un’importante ricerca sul tema: On peut considérer les colonies tessinoises en Californie comme l’un des exemples les plus heureux de colonies suisses à l’étranger.(9)

Senza alcuna prospettiva di carriera restando sulle montagne d’origine, invece di farsi assumere quali manovali dalle imprese della Gottardbahn, quasi mille fra loro sono diventati, down there, proprietari di 1’800 chilometri quadrati di terra. Una superficie rigorosamente quantificata con lo spoglio sistematico delle mappe catastali, delle biografie dei ranceri e di parecchi atti di compra-vendita. Essa corrisponde a quella dei quattro distretti di provenienza della maggior parte degli emigrati: Valle Maggia, Locarno, Leventina e Bellinzona; due terzi del territorio cantonale. Una fortuna, durata un secolo, documentata nei due volumi L’emigrazione ticinese in California. I ranceri, (Pregassona-Lugano 2005). Altri hanno animato commerci anche importanti inserendosi, con successo, nell’economia del West. La carriera di professionisti e intellettuali, discendenti dei pionieri, meriterebbe più di una segnalazione che qui non si può fare.

Molte cambiali ma nessun gangster e becchi da castrare

Il sostanzioso capitolo dei dollari risparmiati smentisce pure la visione negativa trasmessa dalle pagine de Il fondo del sacco. Proprio a Cavergno erano state aperte ben quattro succursali dei principali istituti finanziari cantonali per cambiare gli assegni compiegati nelle lettere e depositarvi i risparmi: la Banca Svizzera Americana, la Banca Popolare di Lugano, la Bancaria Ticinese e il Credito Ticinese. Ce n’erano 15 in tutta la Valle(10). Ma per Martini i dollari non sono mai venuti (p. 146). Un buon terzo delle oltre 900 lettere pubblicate documentano l’invio di soldi ai parenti. Non è necessario essere stati direttori generali del Credito Svizzero – come Brady Dougan, Tidjane Thiam e Urs Rohner, beneficiati con bonus milionari per la loro gestione fallimentare! – per immaginare la funzione delle banche in una regione di fortunata emigrazione. Commoventi sono invece le considerazioni dei genitori beneficiati. Scrive Giacomo Rianda di Moghegno ai figli a Placerville. Il giorno 5 di 7bre (1867) e venuto il mercato io e vostra Madre siamo andati tutti due nel mercato e poi siamo andati sulla banca a prendere i denari quando il banchere fu fatto il conto giusto li a metuto nel scosale di vostra madre gli pareva che gli avesse un scosale di castagne ma però venendo le lagrime agli occhi il pensare a mettere in sieme tutto questo mucchio di denari in sieme avete voi asciugato molte volte il sudore alla fronte. 

La triste storia di Rocco Valdi, trasformato nel criminale Rock Walt (pp. 234-243) è completamente inventata, ma serve alla tesi di chi desiderava pubblicare il romanzo-documentario da Feltrinelli(11). Nella traduzione inglese il nome del gangster (inchiodato a vivere in una carrozzella che spara da quattro canne) assurge persino a titolo del libro: Rock Bottom! In inglese bottom vuol dire fondo. Un’accattivante trovata di antiamericanismo, ma che offende la verità. Dei circa 30 mila ticinesi emigrati negli Stati Uniti nessuno ha seguito le orme di Al Capone.

L’episodio della castrazione dei becchi fatta in un ranch a Petaluma (pp. 182-183) è pure frutto della fantasia. I valmaggesi hanno munto tante mucche Holstein, Guernsey e alcune Brown Swiss comperate a New Glarus nel Wisconsin da Mattia Pedrotti, diventato poi direttore e presidente della Swiss American Bank di San Rafael. Ma nei ranch non c’era neppure l’ombra di una delle 13’046 capre (becchi compresi) censite nel loro distretto nel 1866. La scena di inaudita violenza, con i due cow-boys di Val Bavona impegnati a tirare la corda per strappare i testicoli ai caproni, è così commentata: L’hai già capito che siamo in California? Altrove si legge che l’America non era un paese civile (…) I vostri figli teneteli qui a pane e cipolle piuttosto che spedirli nei ranch; l’America è un sedici (…) Che porco paese (pp. 146, 227-229). Quella brutale ferocia può però richiamare il Vietnam, Guantanamo, Abu Ghraib, includendo le prigioni segrete della CIA (grazie, caro Dick Marty!) e… Donald Trump. 

Tante opere sostenute dai “mericani”

Leggendo Il fondo del sacco s’intuisce che da oltre Atlantico non sono arrivati contributi finanziari per opere a favore della comunità. È questo il senso delle date e dei luoghi citati dal giudice Venanzio a p. 139; le date si riferiscono al momento in cui quelle donazioni sono state offerte da chi rientrava dopo un soggiorno a Roma, Firenze, Parigi… Da numerose città europee gli emigranti hanno fatto pervenire soldi e oggetti artistici per abbellire chiese e cappelle; gli americani fino a oggi non hanno piantato un chiodo per appendervi i quadri degli altri. Una pura fiction letteraria. Molti edifici religiosi sono stati restaurati con i dollari; parecchi concerti di campane e organi ricordano i nomi dei generosi donatori mericani. La chiesa di Cevio è stata ampliata e restaurata grazie a loro; l’organo di Broglio è il frutto di una sottoscrizione dei compaesani nella contea di Marin; così l’orologio dei campanili di Cavergno e Giumaglio. L’ospedale di Cevio e la ferrovia sono stati realizzati con il sostegno dei ranceri: e maledico ancora oggi il trenino che mi ha portato via (p. 49). Nella chiesa di Brontallo fino al restauro del 1972 stava scritto: Templum hoc a benefactoribus Brontalli Romae degentibus antea depictum. A Californiensibus lucris anno MDCCCLXV Renovatum. Ora c’è solo un telo con la traduzione in italiano e con l’errore della data 1765. L’invenzione del chiodo è però servita a Roberto Buffi per immaginare L’anima del Ticino. Commento al Fondo del sacco di Plinio Martini (Locarno 2018, p. 192). L’anima rurale del Ticino – non già quella junghiana – comprende invece anche la California. I proficui incontri fra ticinesi e discendenti dei ranceri contraddicono l’incipit del romanzo, Non tornerò in America e l’affermazione conclusiva di Rock Walt (Bottom) a p. 204: Non tornerò d’America.

Sarebbe oltremodo utile poter disporre dell’elenco completo dei “palazzi” costruiti tra fine Otto e inizio Novecento, da Avegno a Fusio, con i dollari che valevano cinque franchi l’uno. Alcuni erano decorati con la bandiera a stelle e a strisce e attestano, come a Someo, la moderna concezione urbanistica di quegli ex contadini diventati benestanti rentier(12). I soldi mandati a casa sono serviti anche per far studiare i figli. Lo documenta, tra altri, Roberto Righetti scrivendo (25 ottobre 1891) all’amministratore del suo ranch: La più bella notizia però e che torna a tutto onore del nostro Comune, si è che vi sono al presente fra maschi e femmine, ben 21 studenti sparsi in diversi istituti nel Cantone e nella Svizzera tedesca; questa è una bella prospettiva per l’avvenire del nostro paese. Da una statistica (compilata tanti anni fa, ma rimasta incompleta per evitare un burn-out) si deduce che quasi tutti i giovani valmaggesi beneficiari di studi superiori, tra la fine dell’Ottocento e la Seconda guerra mondiale, appartenevano a famiglie di mericani.

Un lusinghiero bilancio 

Sulle conseguenze negative dell’emigrazione, sopportate soprattutto dalle donne, rimando ai miei numerosi testi. Tra quelle positive aggiungo gli 88 mila franchi regalati da Carlo Martinoia al comune di Cevio per riparare i danni dell’alluvione del 1868(13). E concludo affermando che, per i contadini delle valli sopracenerine, il sogno californiano è riuscito a spezzare la dinamica della forbice maltusiana, cioè lo squilibrio fra la stagnazione delle risorse e l’aumento demografico. Una gemma nostra innestata nei frutteti unici al mondo della leggendaria Montagna del Paradiso(14). Faccio mia questa indovinata metafora di un verzaschese cresciuto a Soledad, poi ritornato nella patria d’origine: è la civiltà rurale che, invece di restare ingessata in fondo a un sacco tra invalicabili limiti ambientali, si è rinnovata integrandosi nella più dinamica società plurietnica sulle sponde del Pacifico.

Fedele all’insegnamento di Marc Bloch, ho sempre cercato di collegare il passato al presente per meglio comprendere le migrazioni locali nel vasto mondo unitamente alle trasformazioni collegate all’immigrazione. La costruzione del tema attraverso una puntigliosa ricerca archivistica dimostra che i mericani hanno realizzato una riuscita sintesi tra la tradizione e la modernità. Decifrando anche le più esili tracce, ho inoltre imparato presto a non prendere per oro colato dall’American River le rappresentazioni ideologiche e le affabulazioni artistico-narrative di poeti e scrittori; men che meno gli stereotipi di qualche loro vanesio corifeo. Il duplice scopo dello storico (e dell’uomo di cultura) è ricercare la verità e promuovere l’emancipazione delle persone. Rinunciarvi vuol dire fare a meno della razionalità e aprire le porte a qualsiasi possibile manipolazione. Mi spiace quindi per Plinio Martini che non ha certo contribuito a trasmettere una corretta immagine di questa importante pagina del nostro passato come invece ha fatto mettendo in scena le peripezie di chi è rimasto a transumare fino ai piedi dell’allora ghiacciaio del Basodino, o affrontando la crisi strutturale del cattolicesimo in Requiem per zia Domenica (Milano 1976). 

Il positivo bilancio dell’emigrazione di 27 mila ticinesi in California non può essere ignorato. Le loro vaste proprietà e i commerci che hanno sviluppato a San Francisco e altrove, il loro bisettimanale La Colonia Svizzera (1903-1954)(15), gli assegni e le confidenze consegnati negli epistolari, sono un documentato e fascinoso romanzo che non deve venire alterato da nessuno, letterati compresi. I loro scritti non costituiscono il corrispettivo narrativo (…) della ricerca storica, come ha affermato, appunto, Fazioli(16). E la propensione a vittimizzare la nosa gent emigrata ieri, senza una probante dimostrazione, arrischia di offuscare le sofferenze delle vittime delle odierne e future migrazioni causate dall’eccezionale aumento demografico dell’ultimo secolo, dalle guerre e dai regimi autoritari, dalle politiche di rapina di molte multinazionali, dal crescente e pericoloso divario fra ricchi e poveri nonché dall’incapacità di affrontare globalmente l’emergenza ecologica. 

Nell’immagine: una cartolina d’epoca raffigurante la Banca Svizzera Americana di Locarno, testimonianza – secondo l’autore – dei flussi finanziari provenienti dagli emigrati negli Stati Uniti


Note

  1. Così ha urlato il primo d’agosto 2011 a Campo Blenio il presidente a vita della Lega dei Ticinesi davanti a un folto pubblico plaudente.
  2. Archivio Storico Ticinese 152, Bellinzona novembre 2012, p. 285.
  3. Il fondo del sacco. Edizione commentata a cura di Matteo Ferrari e Mattia Pini, Bellinzona 2017, risvolto di copertina e p. 7. 
  4.  “Quel che si trova al fondo del sacco”, in Corriere del Ticino, 25 marzo 2019.
  5.  Svizzera Italiana, Locarno, 30 ottobre 1942, p. 474.
  6.  Croci e rascane, Lugano 1943, p. 82.
  7.  Da una lettera di Plinio Martini del 24 gennaio 1968 a Renata Tietze, redattrice della rivista “Sie+Er”. Cfr. Matteo FERRARI, “Plinio Martini-Enrico Filippini: storia di un incontro impossibile”, in Archivio Storico Ticinese, 152, novembre 2012, p. 285.
  8.  Cfr. Nessuno ha pregato per noi, Locarno 1999, p. 240. Nel suo lavoro di diploma magistrale dedicato a Cavergno, risalente al 1942, si può leggere: Ci sono state diverse emigrazioni: la più antica in Roma e in altre città dell’Italia centrale e settentrionale, come Torino, Venezia, Padova; la seconda, in ordine di tempo, in Olanda, poi in Australia e l’ultima, la più disastrosa, in America. 
  9.  Les colonies tessinoises en Californie, Lausanne 1950, p. 213.
  10.  Il tema dei fallimenti bancari del 1914 meriterebbe di essere ulteriormente indagato mettendolo in relazione con la recente storia della terza piazza finanziaria svizzera e ricordando che il Corriere del Ticino aveva proibito ai suoi giornalisti di parlarne, pena il licenziamento. 
  11.  Cfr. M. FERRARI, “Plinio Martini-Enrico Filippini: storia di un incontro impossibile”, op. cit., pp. 277-299.
  12.  “Che avrebbero potuto comperare, da soli, tutta la Vallemaggia”. Così commenta A. BETTONE-MORGANTI sull’Almanacco Valmaggese 1962, Locarno 1962, p. 97.
  13.  Ringrazio l’ex segretario di Cevio, Fausto Rotanzi, che mi ha fatto avere la fotocopia della lettera di ringraziamento spedita dal municipio al Martinoia il 24 marzo 1869.
  14.  E. MOLINARI, Riscoperta della California, Lugano 1959 p. 80.
  15.  Fortunatamente sono riuscito a recuperare e microfilmare quasi l’intera collezione.
  16.  Così Michele FAZIOLI, “Piero Bianconi, scrittore e testimone”, in La Rivista. Mensile illustrato del Locarnese e valli, Locarno ottobre 2014, p. 55.

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