Il continente Sicilia in due gustosissimi libri (ed una coda ticinese)
I pazzi di Palermo catalogati da Roberto Alajmo e quelli del Canton Ticino descritti da Paolo Nori
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I pazzi di Palermo catalogati da Roberto Alajmo e quelli del Canton Ticino descritti da Paolo Nori
• – Michele Ferrario
Come questa giornata di riflessione, storicamente nata nel ricordo della Shoah, deve guardare anche alle troppe vittime sui due fronti della terribile guerra in atto in Medio Oriente
• – Aldo Sofia
Nella Giornata della memoria viene da chiedersi, non senza tristezza, quanto valgano certe commemorazioni in un mondo come quello attuale, che continua a produrre stragi e genocidi
• – Andrea Ghiringhelli
Di Anna Foa, Gariwo Ci si domanda da più parti, e da diverse prospettive, come si arriverà a celebrare quest’anno il 27 gennaio. Da una parte, non sono pochi quelli che pensano...
• – Redazione
Mentre ciascuna delle due parti in causa riceve e subisce qualcosa dalla sentenza, gli Stati Uniti ricevono tutto quello che volevano
• – Redazione
Parla la procuratrice capo del Tribunale sulle ex Jugoslavia. “La Corte ha ammesso il diritto di combattere a Gaza, ma seguendo le rigide regole della Convenzione sul genocidio”
• – Redazione
L’avvocato iraniano Sardari salvò la vita ad oltre duemila ebrei nella Francia occupata dai nazisti, senza mai informare le autorità di Teheran, mettendo a repentaglio la sua vita - Di Kamran Babazadeh
• – Redazione
Riflessioni dopo che migliaia di persone hanno protestato pubblicamente contro i tagli che colpiscono la politica sociale
• – Aldo Sofia
Quando la narrazione comunicativa stravolge il senso e muta i significati come fa comodo alla destra
• – Aldo Bertagni
Il rischio è che la giornata della memoria scada nella ritualizzazione e non serva più a molto né per la manutenzione dei ricordi né per il presente
• – Redazione
I pazzi di Palermo catalogati da Roberto Alajmo e quelli del Canton Ticino descritti da Paolo Nori
“Sillabare le parole
come fossero creature,
rigirarsele fra lingua, denti e palato,
assaporarle.
Ricondurre tutto al minimo senso indispensabile.
Scandire ogni parola.
Scandire e semplificare,
semplificare e scandire”
Roberto Alajmo
La Sicilia – e non solo per le sue dimensioni, che ne fanno la prima isola del Mediterraneo – è da molti considerata un Continente a sé. Lo è, in effetti, per la sua storia tre volte millenaria, il suo patrimonio culturale, la sua ricchezza, la sua diversità, il suo presente, frutto di stratificazioni, incontri, convivenze. Anche il National Geographic (dicembre 2020) utilizza l’immagine di isola-continente e aggiunge: “Le palme vi crescono rigogliose, il calore del sole e la limpidezza del cielo e dell’aria fanno pensare all’Africa, mentre sul vulcano attivo più alto d’Europa la neve si mescola alla lava”.
Come ogni luogo, la Sicilia è anche la sua lingua (che si differenzia, al proprio interno, in una serie di dialetti parlati nelle varie porzioni territoriali e nelle isole più piccole; quello di Pantelleria è fortemente influenzato dall’arabo). Il siciliano fa parte del ceppo dei dialetti italiani meridionali estremi insieme a quelli che si parlano nel sud della Calabria: secondo il grande linguista e filologo romanzo Gerhard Rohlfs “Ciò che distingue la Calabria meridionale dalla situazione linguistica in Sicilia è unicamente una altissima percentuale di grecismi, di fronte ai moltissimi arabismi della Sicilia. Per il resto si può dire che la Calabria meridionale linguisticamente non è altro che un avamposto della Sicilia, un balcone della Sicilia”.
Proprio a quella lingua – che a Camilleri ha portato fortuna e che lui ha in parte reinventato, arricchendola ed avvicinandola a milioni di lettrici e lettori – è dedicato Abbecedario siciliano (Sellerio editore, Palermo, 2023, 14 euro). L’ho acquistato – confesso – non perché particolarmente curioso di addentrarmi tra i termini, le espressioni, i modi di dire della lingua siciliana, bensì per il suo autore, Roberto Alajmo, che avevo tanto apprezzato, una trentina d’anni or sono, quando pubblicò – sempre per Sellerio – Repertorio dei pazzi della città di Palermo seguito, nel 2004, questa volta negli Oscar Mondadori, da Nuovo repertorio dei pazzi della città di Palermo e, un anno dopo, da Palermo è una cipolla (Laterza), una sorta di guida originale e affettuosa al capoluogo isolano.
Palermitano, giornalista, nato nel 1959, Alajmo ha lavorato a lungo per la RAI. Poi ha iniziato a scrivere racconti e romanzi, tradotti in molte lingue, ai quali si aggiungono sei testi teatrali e un libretto d’opera. Ha anche diretto, per poco più di 5 anni e fino al 2019, il Teatro Biondo della sua città.
Il citato Repertorio dei pazzi mette in scena una lunga serie di figure marginali ed eccentriche, che lo scrittore ritrae magistralmente in folgoranti cammei lunghi da tre righe ad al massimo mezza pagina. Personaggi reali o inventati, sospesi tra cronaca e finzione, che hanno popolato Palermo o sono il frutto di racconti da bar, dicerie, bufale tramandate di generazione in generazione, che ad ogni passaggio si arricchiscono di nuovi particolari, nuovi dettagli, rendendoci quelle figure strampalate, al bivio tra realtà e assurdo, così vicine e indimenticabili.
Ogni microstoria inizia con “Uno” o “Una”; questi “pazzi” non hanno nome, si susseguono in una galleria che diventa corale. 120 pagine dopo, tutti insieme (e sono centinaia), formano una comunità identitaria catalogata da Alajmo con l’occhio dell’antropologo e la vena dello scrittore di razza. Proprio la forma catalogatoria è una delle peculiarità dell’autore.
Alcuni esempi, adesso, di questa bizzarra galleria.
Il primo, stralunato e contiano:
“Una sosteneva di essere l’autrice di tutte le canzoni di Lucio Battisti. Una volta partecipò a una festa che gli infermieri avevano organizzato nell’istituto dove era ricoverata. C’era un piccolo gruppo musicale. Lei ballava sotto il palco, da sola. Muoveva i capelli sulla faccia fregandosene di tutti e fregandosene anche della musica. A un certo punto si stancò di ballare, salì sul palco, zittì il complesso musicale e nel silenzio generale cantò da sola una specie di blues che a tutti i presenti sembro il più bello che si fosse mai sentito”.
Il secondo, legato alla lingua:
“Uno decise, un giorno, di parlare per scherzo una lingua sconosciuta: “Agacalagacalacalagalacala”. La parlava di preferenza coi fornitori e i semplici conoscenti, ma certe volte decideva che per tutta la sera avrebbe solo parlato nella sua lingua privata, e non c’era verso di fargli cambiare idea: “Agacalagacalacalagalacala””.
Il terzo, che ci porta direttamente al recentissimo Abbecedario siciliano:
“Uno faceva il fruttivendolo ambulante. Passava gridando per le strade e quando arrivava sotto casa di una cliente citofonava e, sempre gridando, chiedeva: SERVE COSA? La signora rispondeva con voce normale: Cosa ci ha?
CACOCCIOLA!
E poi?
SPARACELLI! FAGIOLINA! BRASILIANI! Sempre gridando, come se il citofono non esistesse”.
La ricchezza sterminata della lingua siciliana ci viene servita in quest’altro libro che, indice alfabetico delle 147 singole parole compreso, non supera le 170 pagine.
Prendiamo la parola “almèno”, che in siciliano “È la risposta che sempre si dà per non sbilanciarsi, anche in funzione scaramantica. Seguita idealmente dai puntini di sospensione, sta a indicare la possibilità che anche la cosa più ovvia possa andar male, il bene rovesciarsi nel suo opposto. Rappresenta l’equivalente laico dell’arabo inshallah, se Dio vuole. Esiste sempre la possibilità che un Dio non voglia, anche delle cose che sembrerebbero più scontate. Una specie di relativismo scaramantico, quello stesso per cui nemmeno lo zucchero bisogna mettere nella tazzina prima di versare il caffè (…)”.
In un’intervista, Alajmo completa la spiegazione citando un episodio accaduto al conterraneo Leonardo Sciascia che, dovendo prendere il treno per Roma, chiese al capotreno se quello che avevano davanti fosse effettivamente il treno che andava a Roma. Il capotreno rispose: “Almèno”, intendendo che sì, se non ci fosse stato un deragliamento…, se il genere umano non si fosse estinto prima…, se non ci fosse un’epidemia fulminante…” quel convoglio poteva effettivamente essere quello diretto a Roma.
Illustrando gli obiettivi del suo gustosissimo libro, Roberto Alajmo spiega: “Ho voluto chiamare il libro Abbecedario siciliano perché vorrebbe ridurre alla massima semplificazione questo Continente molto esplorato che è la Sicilia. Di ciascuna parola ho cercato di spiegare non solo, non tanto e non sempre l’etimologia, ma soprattutto la storia e, attraverso la storia, le filosofie che presiedono a ciascuna parola. Questo perché i Siciliani pensano di essere molto complicati, ma non sono più complicati di altri popoli: credono di esserlo e questo effettivamente complica molto le cose”.
Segnalo infine che, sulla falsariga del Repertorio dei pazzi di Palermo, sono nati altri repertori, uno dei quali è Repertorio dei matti del Canton Ticino, curato da Paolo Nori (Marcos y Marcos, 2019), frutto di una serie di incontri tra gli autori organizzati dall’Associazione Turba in collaborazione con Photo Ma.Ma. Edition allo Spazio 1929 di Lugano.
Vi si incontrano facilmente figure realmente esistite o esistenti, che molti di noi hanno incontrato sul loro cammino e che riconosceranno facilmente.
Nell’immagine: Marianne von Werefkin, “Die schwarzen Frauen” (1910)
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