Woody Allen al meglio (alla faccia dei detrattori)
A proposito di “Coup de Chance”, il primo film del regista newyorchese girato in francese
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A proposito di “Coup de Chance”, il primo film del regista newyorchese girato in francese
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A proposito di “Coup de Chance”, il primo film del regista newyorchese girato in francese
“Ma ha 88 anni!”
E allora?
“Da almeno 40 fa lo stesso film”.
Anche se fosse (ma non è), dovremmo dirgli grazie.
“E poi, tra mogli e figlie…”
Non confondiamo l’uomo e l’artista.
Per cominciare ho voluto riassumere, in corsivo e in estrema sintesi, le critiche più corrive apparse nelle scorse settimane a proposito di Woody Allen e del suo cinquantesimo e ultimo (in ordine di tempo; Dio non voglia in assoluto) lavoro. In tondo le mie risposte, tanto per far capire subito da che parte sto.
Presentato fuori concorso, il 4 settembre, alla Mostra del Cinema di Venezia, Coup de chance (Colpo di fortuna) è stato interamente girato a Parigi (dopo Midnight in Paris è la seconda volta che accade), città a cui il regista newyorkese è legato da un feeling particolare. Anche su questo aspetto qualcuno ha malignato: altro che amore per la vecchia Europa, il vecchio Woody non parla e quasi non capisce il francese. Come può avere realmente diretto gli attori, tutti francofoni, che hanno recitato in francese? Rimprovero che il risultato finale, la qualità del film e la palese complicità di tutti gli interpreti smentiscono. Eppure, secondo i detrattori, Allen si è trasferito armi e bagagli in Francia, solo o soprattutto perché gli Americani gli hanno girato le spalle e oltre oceano nessuno gli mette più a disposizione i budget milionari che gli occorrono. Sarà, ma anche di questo allo spettatore che importa?
Lo spettatore, quello che ancora va al cinema e film belli come questo li guarda nelle sale, giudica il prodotto, che è di alta qualità. “Sì” – mi interrompe ancora la voce dei detrattori – “ma i suoi capolavori Allen li ha girati negli anni Settanta e Ottanta e tutti nella Grande Mela” (pensando a Manhattan e Zelig).
Eh no: alcuni dei suoi film migliori li ha firmati nel nuovo millennio e tra loro – parere personale – c’è anche Midnight in Paris che, con questo Coup de chance, ha in comune una Parigi meravigliosamente filmata dal quasi 84enne Vittorio Storaro. Gli specialisti parlano addirittura di effetto Storaro quando il tre volte premio Oscar (Apocalypse Now e L’ultimo imperatore compresi) mette mano a una pellicola. Il sodalizio tra i due vegliardi ha fruttato 5 film dal 2016 ad oggi: Storaro in questa occasione è tornato nella Parigi che già illustrò mezzo secolo fa per Bernardo Bertolucci. Un’altra Parigi, quella dell’”Ultimo tango”, appena uscita dal ’68, meno cartellonistica e patinata, cromaticamente più uniforme, ma ugualmente memorabile: chi ha amato quel grandissimo film sull’incomunicabilità ricorderà l’appartamento di rue Jules Verne, il ponte Art Nouveau di Bir-Hakeim (già usato anche da Louis Malle in Ascensore per il patibolo e da Kieslowski in Film blu), la Salle Wagram del drammatico ballo finale.
In Coup de chance Storaro varia maggiormente la sua tavolozza nelle diverse situazioni: noterete la luce diurna e tersa dei cieli parigini, dei jardins, della mansarda, i colori dei vestiti dei due innamorati, in contrapposizione a quelli degli interni algidi, a tratti cianotici, della residenza alto-borghese in cui la protagonista vive con il marito.
Il plot (la trama) non fa una grinza. Naturalmente non anticipo nulla. Sappiate comunque che inizialmente ci si muove entro i confini di una classica commedia, che prende avvio quando due ex compagni di liceo a New York casualmente (fortuita coincidenza) si incontrano per strada, 20 anni dopo. Lui (Alain) dice a lei di esserne sempre stato innamorato. Lei (Fanny), alle spalle un primo matrimonio durato poco con un musicista tossicodipendente, ha sposato un ricchissimo finanziere (Jean), appassionato di trenini elettrici e battute di caccia, che la ama, non le fa mancare nulla, ma la usa anche come un trofeo da esibire in società.
Forse anche per questo Fanny non respinge gli inviti dell’ex compagno di scuola, nomade e quasi squattrinato, che ora fa lo scrittore e vive in una mansarda bohème a pochi metri dalla casa d’aste in cui la donna lavora. Alain, al quale le parole non mancano, è abilissimo a risvegliare in lei la comune passione per la letteratura e a farle accarezzare la tentazione di evadere per qualche tempo dal lusso del suo appartamento cittadino, della meravigliosa residenza di campagna, dei gioielli e delle borse griffate, dei domestici sempre pronti ad accorrere. Di camminare, insomma, sulle proprie gambe, libera e indipendente.
Governata inizialmente dal caso, la vicenda prende una direzione imprevista quando si accaparrano la scena la madre della ragazza, giunta per caso a trovarla, e il marito, possessivo e insospettito dai comportamenti della moglie. Anche quest’ultimo, tuttavia, è chiacchierato per l’origine oscura delle sue fortune economiche e dopo un episodio mai chiarito, che ha visto sparire nel nulla un suo socio in affari, lasciandogli campo libero.
Insomma, la storia d’amore tra due ex compagni di liceo che si reincontrano dapprima furtivamente sulle panchine del Luxembourg e del Palais Royal, mentre dai tigli cadono le ultime foglie autunnali, poi nella mansarda boho-chic si trasforma in un noir. Un noir nerissimo, ma capace di mantenere sino all’ultimo secondo ritmo e leggerezza, che di Allen sono il marchio di fabbrica.
Diversamente – e apro una parentesi – dall’altro capolavoro visto ultimamente, Foglie al vento, di Aki Kaurismäki: anche lì una storia d’amore, ma operaia, silenziosa, cupa, un Kammerspiel – direbbe Strindberg – dei nostri giorni, ambientato in una grigia e gelida Helsinki.
Parigi non è Helsinki, ma non è nemmeno New York, culla e teatro alleniano di una vita intera. Finzione – i due protagonisti, ex studenti nella Grande Mela, che il destino porta nel Vecchio Continente – e realtà (Allen che gira, come detto, ben due film nella Ville Lumière: tra questi anche il mio preferito, il fortunatissimo Midnight in Paris del 2011), giustapposte.
Qui aleggia – anzi viene a un certo punto citato esplicitamente – il miglior Simenon. Commedia travestita da thriller o thriller vero e proprio? È uno, ma solo uno degli aspetti su cui discutere parlando di Coup de chance, che tale – comunque lo si guardi – si rivela a coloro che decideranno di andarselo a guardare.
Naturalmente il coup de théâtre finale – che, il giorno della prima a Venezia ha scatenato un applauso a scena aperta, seguito da 3 minuti di standing ovation – è anch’esso un’invenzione fulminante e di gran classe, “una delle idee più geniali dell’intera filmografia del cineasta, nonché una delle più genuinamente divertenti” come scrive Corrado Monina in “Eco del cinema”. Roberto Escobar (autore di Il mondo di Woody, il Mulino, 2020), in Domenica del Sole 24 ore del 10 dicembre e Mariarosa Mancuso (il giorno prima sul Foglio) gli hanno dato il massimo dei voti e delle stelle.
E allora, Provaci ancora, Woody!
Nell’immagine: l’attrice Lou de Laâge nella parte di Fanny
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