Di Monica Perosino, La Stampa
Il momento in cui la situazione sul campo passerà dall’essere «difficile» al diventare «critica» si sta avvicinando. Potrebbe essere tra un mese, probabilmente meno. Lo sa Kyiv, lo sanno gli alleati – che accelerano, ma non abbastanza, sulle forniture militari -, lo sa Mosca, lo sa la diplomazia dei due blocchi, che nelle ultime settimane scuote le acque e alza il livello di scontro. L’ultimo sasso lanciato nello stagno è quello di Varsavia, che per mezzo del comandante delle forze armate polacche, il generale Wieslaw Kukula, denuncia che la Russia sta preparando una guerra contro i Paesi della Nato. Dall’altro lato della nuova Cortina Mosca rilancia le parole, mai dette, di Macron – «manderemo truppe europee in Ucraina» – insistendo con la “notizia” che ci sarebbero 2.000 soldati francesi pronti a entrare in Ucraina.
Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba è, come suo solito, calmo e apparentemente imperturbabile: «Quando Macron ha parlato di inviare truppe in Ucraina, i leader europei si sono fatti prendere dal panico. Macron intendeva solo dire che c’è l’ipotesi di addestrare soldati ucraini direttamente in Ucraina, e non fuori come sta avvenendo ora». Il ministro degli Esteri dissimula bene la stanchezza di dover ripetere che Kyiv ha bisogno di munizioni e armi il prima possibile, ma dice: «Non abbiamo mai chiesto uomini e truppe da combattimento, siamo orgogliosi dei nostri soldati». Se non fosse chiaro, ribadisce durante l’incontro con un gruppo di media internazionali tra cui La Stampa, «le nostre forze armate continuano a difendere il Paese dall’invasore russo lungo un fronte attivo di 1.200 chilometri, se pensiamo che i piani dei russi erano di distruggerci in qualche giorno… Non ci sono riusciti, ma il loro obiettivo rimane lo stesso». Ovvero quello di prendersi tutta l’Ucraina: «Se ci riusciranno, procederanno ad attaccare altri Paesi europei e dell’Asia centrale, perché sono guidati dalle mire espansioniste. Mi sembra sia ormai chiaro che Putin vuole ripristinare l’influenza dell’Unione Sovietica e dell’Impero russo».
Eppure, ribadisce più volte Kuleba, la grande armata non è riuscita a sconfiggere l’esercito di Kyiv: «Non capisco perché tutti dimenticano il documento ufficiale diffuso da Mosca già nel dicembre 2021 in cui si richiedeva che la Nato si ritirasse dietro i confini del 1997, ovvero al di là dell’ex blocco socialista controllato dall’Unione sovietica, di cui anche la Polonia, per esempio, era parte. Putin non si fermerà in Ucraina, le sue ambizioni non si fermeranno alla Moldavia o alla Georgia, il suo piano espansionista va molto più lontano». La lentezza delle forniture militari europee e americane potrebbero pesare drasticamente sulla guerra che, secondo l’alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell, «si deciderà questa estate». Kuleba parla di numeri, risponde in qualche modo a chi sostiene che la battaglia ucraina sia persa e che il costo degli aiuti pesa troppo sui singoli Stati alleati: «Il modo più efficace per evitare che i Paesi dell’Europa centrale si trovino a combattere i russi sul proprio territorio è aiutarci a battere Mosca in Ucraina. È un mero calcolo matematico: qualsiasi sia il costo degli aiuti all’Ucraina oggi, il prezzo di dover combattere voi una guerra è molto più alto. Quindi, quando Putin dice che il crollo dell’Unione Sovietica è stata la peggiore catastrofe del XX secolo, non è difficile capire che ambizioni ha».
In attesa di conoscere la data esatta del Forum per la Pace in Svizzera, continuano i contatti bilaterali: «Con la Cina, per esempio – dice Kuleba – che potrebbe rivestire un ruolo fondamentale per far finire la guerra in virtù della speciale relazioni con la Russia». L’elefante nella stanza, l’ago della bilancia apparentemente immobile: tra i primi atti di Vladimir Putin dopo la rielezione alla guida della Russia per altri sei anni, vi sarà la conferma al massimo livello dell’asse strategico con la Cina attraverso una visita a Pechino in programma in maggio.
Putin, che ieri ha ricevuto le congratulazioni per la vittoria elettorale anche da Hamas, si muove, per vie diplomatiche e militari: ieri il comandante della Marina, Nikolai Yevmenov, è stato rimosso e sostituito con l’ammiraglio Alexander Moiseev, una mossa che potrebbe indicare che oltre via terra, le prossime offensive di Mosca saranno anche nel Mar Nero con un intensificarsi di attacchi che potrebbero indicare Odessa come obiettivo. Kuleba non si scompone, d’altronde un Paese rimasto senza forze navali «è riuscito a decimare le navi della flotta del Mar Nero» e, se si eccettua la conquista di Avdiivka, le conquiste territoriali di Putin nell’ultimo anno sono state limitatissime. Il punto fermo di Kyiv è il modello già applicato per la Formula di pace di Zelensky: «Non ci si piega alle minacce di Mosca», dice Kuleba, che ricorda come l’Ucraina sia riuscita ad aprire una rotta marittima per il grano nonostante Mosca si sia ritirata dall’accordo: «Quando dite che vincere contro la Russia è impossibile, e che quindi aiutarci non servirà a nulla, guardate alle navi da guerra affondate di fronte alle nostre coste, e ai milioni di tonnellate di merci esportate via mare». E aggiunge: «Un Paese senza munizioni è riuscito a liberare il 50% dei territori occupati dal 24 febbraio 2022».
Ma la situazione al fronte rimane tesa, «i russi continuano a distruggere interi villaggi sfruttando superiorità aerea e bombe teleguidate. Contestualmente usano la tattica da loro stessi chiamata “myasnoi shturm” (tempesta di carne, ndr), con ondate di soldati mandati al massacro e sostituiti immediatamente».
Kyiv, com’è noto, ha bisogno difesa aerea, munizioni, droni – «che sono i nuovi eroi di questa guerra» -, e missili a lungo raggio «per distruggere la logistica e i comandi russi nei territori occupati». E per colpire i territori russi, anche se l’esito di queste operazioni è ancora tutto da valutare: «Lo valuterà Putin, da parte nostra noi stiamo solo rispondendo a un’aggressione». E, ricorda Kuleba: «Nessuno quanto noi vuole la pace, ma noi non abbiamo attaccato nessuno, e non abbiamo altra scelta che difenderci».