Della santificazione di poeti e navigatori
Troppa poesia online? Meglio leggerla che giudicarla in modo affrettato
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Troppa poesia online? Meglio leggerla che giudicarla in modo affrettato
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Troppa poesia online? Meglio leggerla che giudicarla in modo affrettato
Provando, non senza difficoltà, a riassumere i contenuti dell’articolo, parto da un dato fornito da Cotroneo: nel web navigano circa 3 milioni e mezzo di poeti, presunti o sedicenti tali, premiati, celebrati da followers, santificati da allettamenti vari di misteriose case editrici (online), addirittura da Amazon.
Da scrittore e giornalista colto qual è, naturalmente Cotroneo mette in rilievo come questo fenomeno, che pare dilagare con il reclusivo contesto pandemico, abbia più a che fare con l’esigenza di esprimere genericamente uno stato d’animo, tendenzialmente in preda alla solitudine e al disorientamento, che non un consapevole impegno nel lavoro letterario che si metta in relazione con la tradizione e la conoscenza della storia della poesia.
Dunque, per assecondare l’argomentare di Cotroneo, sarà difficile immaginare che questi milioni di “autori” sappiano esprimersi su Montale, ad esempio, e saperne spiegare la grandezza.
Eppure, annota sempre Cotroneo, si tratta di “poeti” che hanno un seguito, e che forse proprio grazie a questo seguito, nel mare magno della navigazione online e dei like sui social, si danno un’identità di autore; una “qualifica” forse posticcia, ma che in virtù del Teorema di Thomas evocato nel titolo dell’articolo, e dunque del principio per cui se qualcuno si definisce in un certo modo e viene riconosciuto per come si definisce diviene realmente quel che si definisce, ecco, in virtù di questo meccanismo, avremo un futuro fatto di milioni di poeti e nessuno che saprà spiegare la grandezza di Montale.
Va bene, ma: e allora?
Capisco la legittima preoccupazione di Cotroneo, dello scrittore, dell’intellettuale dal bagaglio sterminato di letture che gli permettono di distinguere il “grande poeta”, il “poeta vero”, che entra nella Storia, da scialbi ed inconsapevoli epigoni, o ancor peggio, da “presuntuosi dilettanti”, beato lui; ma è questo il vero punto cruciale della questione?
A parte il fatto che la Storia è piena di “grandi” che il tempo ha adeguatamente dimenticato, o ridimensionato, o improvvisamente rivalutato;
a parte il fatto che nello stesso ambito dei letterati e dei critici si passa regolarmente il tempo a divergere nei giudizi sulla grandezza di uno o dell’altro autore, com’è giusto che sia vista l’esistenza di criteri serissimi quanto parziali quali le “affinità elettive” ed il “gusto del tempo”;
ecco, a parte tutto quel che è eminentemente letterario, il fenomeno dei milioni di poeti online non potrebbe anche essere indagato per quello che è stato definito inizialmente, ovvero il frutto di un “bisogno espressivo”, di uno strumento comunicativo di chi, dentro questo contesto sociale, fa sempre più fatica a “parlare”, ad esprimersi?
E non potrebbe essere questo un punto di partenza, invece che l’approdo di un’argomentazione che invoca la doverosa conoscenza di Montale?
A me pare, ad esempio, che si potrebbe e dovrebbe anche essere legittimati a dire che si tratta di una forma di comunicazione scritta lodevole dentro un quadro di analfabetismo di ritorno dilagante; una forma di espressione o espressività che prova a raccontare una realtà che, specie ai giovani, pare incomprensibile, disorientante, priva di parametri e di prospettive.
Una realtà, diciamolo, che fa paura; e sappiamo che la paura, per lo più, via social, si tramuta nel tripudio di slogan, volgarità ed insulti, nell’affermazione di un “sé” tutto oppositivo, tutto “contro”.
La poesia via web, anche scritta da “non accreditati” letterariamente, che forse contiene spunti e riferimenti discutibili ai modi e alle mode della musica, non è, comunque, a suo modo, un fenomeno incoraggiante?
Non va ascoltata con attenzione per individuarvi, magari, tentativi di immaginare un mondo diverso da quello greve, rozzo, violento di trolls, haters ed ultras della rete?
È vero, la Letteratura, la Poesia, potranno essere un’altra cosa. Ma c’è tanto bisogno, socialmente più che letterariamente, che soprattutto le giovani generazioni si raccontino, dicano di sé e del proprio mondo, anche in versi, se è il caso.
Che parlino. Che ci parlino.
Non credo ci sia in questo alcun torto fatto a Montale.
E quelle di chi non sa più quali siano le ragioni. O non crede che ce ne siano
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