Guerra in Medio Oriente, perché è giusto negoziare anche con chi sfida le regole
Come Augusto a Teutoburgo l’Occidente è attaccato da miliziani sfuggenti. Si deve trattare anche con Hamas e Houthi. Senza sdoganare il fanatismo
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Come Augusto a Teutoburgo l’Occidente è attaccato da miliziani sfuggenti. Si deve trattare anche con Hamas e Houthi. Senza sdoganare il fanatismo
• – Redazione
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• – Redazione
Come Augusto a Teutoburgo l’Occidente è attaccato da miliziani sfuggenti. Si deve trattare anche con Hamas e Houthi. Senza sdoganare il fanatismo
È dai tempi della sconfitta romana a Teutoburgo che l’Occidente è sembrato ignorare più e più volte la medesima lezione nel corso dei secoli. Prendiamo un esercito ben organizzato, emanazione di uno Stato sovrano creato allo scopo di esercitare il monopolio legittimo della forza nel confronto con realtà politiche e militari omologhe. Facciamolo scontrare con un gruppo di milizie irregolari che non si identificano in confini, ma conoscono il terreno, con meno armi e più ideologia. Chi vincerà? Chiedetelo a Varo, a Custer o al generale Navarre dopo Dien Bien Phu.
Sessant’anni di ostilità post-coloniali tra Africa e Indocina e decenni di guerriglie tribali in Medio Oriente hanno preferito evitare la domanda. La guerra in Ucraina è sembrata riportarci in quella dimensione dello scontro in cui contano carri armati e chilometri di avanzate: una lotta simmetrica, non per questo equilibrata sul piano della potenza, ma di certo a noi più comprensibile nelle sue finalità. Un’eccezione.
Dopo il 7 di ottobre in Medio Oriente si sono riaccesi piccoli e grandi focolai di conflitto, in verità mai sopiti: dagli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, al nuovo fermento dell’Islam sciita, dalla Siria al Baluchistan, fino ai rigurgiti della Jihad Islamica che non accenna a rinunciare alla causa anche quando Al Qaeda e Isis paiono meno vivaci di un tempo. Una “guerra asimmetrica” che, grazie a tecnologie a basso costo e a un mondo iper-connesso, è diventata letale anche a lungo raggio: un drone kamikaze da 20 mila dollari può oggi svolgere la missione di un missile Tomahawk da 1 milione ciascuno, e una fake news è in grado di spostare miliardi di opinioni e finanziamenti nello stesso istante.
Cesare Augusto ebbe la forza di ritirarsi al di qua del Reno. Nixon di abbandonare Saigon. Oggi ammettere la sconfitta non basterebbe: l’11 settembre ha reso palese quanto una guerra asimmetrica possa colpire in un mondo globale. E allora è arrivato forse il momento di considerare l’ipotesi che queste forze non siano del tutto sradicabili e che, se non possiamo sconfiggerle sul campo di battaglia, dovremo trovare il modo di affrontarle attraverso un approccio diverso: una nuova dottrina, questa volta di “politica asimmetrica”.
Lo sforzo fino ad oggi è stato limitato a qualche prova di realpolitik tenuta lontana dai riflettori, ben consapevoli che dare legittimità a relazioni considerate tradizionalmente indebite ci porrebbe su un terreno scivoloso. È possibile immaginare di instaurare rapporti con questi attori ostili all’interno delle sedi istituzionali e multilaterali del consesso mondiale, senza validare al contempo metodi brutali e fanatismo?
Sarebbe già un buon inizio riconoscere che queste forze hanno un peso nel panorama internazionale senza che tale ammissione venga percepita come una resa. Un ulteriore passo avanti sarebbe renderci conto che non siamo i soli a volerlo. Anche le conseguenze delle guerre asimmetriche si sono globalizzate: gli agguati dallo Yemen danneggiano Cina e India tanto quanto noi. Russia e Turchia si confrontano in un magmatico scacchiere che va dal Kurdistan al Caucaso. Persino i moderni “guerrieri”, tra foreign fighters, mercenari e hacker, paiono più l’investimento economico di capitali ben gestiti che indomiti idealisti. Tentare un dialogo con questo mondo è verosimile? Forse no… ma abbiamo comunque il dovere di provarci prima di mandare altre legioni al massacro.
Gabriele Segre : Direttore della Fondazione Vittorio Dan Segre
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