Le altre facce della medaglia
Un terzo dei cittadini non riesce a pagare le imposte, e il Cantone dipende da un numero ristretto di ricchi cittadini
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Un terzo dei cittadini non riesce a pagare le imposte, e il Cantone dipende da un numero ristretto di ricchi cittadini
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Un terzo dei cittadini non riesce a pagare le imposte, e il Cantone dipende da un numero ristretto di ricchi cittadini
Ti si dice e si scrive che lo studio denominato “Finanza pubblica e fiscalità 2023 Cantone Ticino” avrebbe il pregio di fornire cifre e spunti di riflessione “per aprire gli occhi”. Dipende come. Oppure succede anche il contrario, di chiuderli.
Se si vuol sostenere che quello studio produce qualche cifra e qualche argomentazione per confermare e soprattutto indurre ad accentuare in una sola direzione la politica fiscale del Cantone, se ne ha indubbiamente uno scontato pregio.
Con qualche riflessione, forse deviante, per chi vuole. Politica fiscale che è, sostanzialmente, la riduzione periodica dell’imposizione per i redditi più alti. Con intenti attrattivi e insediativi, dati per scontati e proficui, ma in continua scarnificante concorrenza fiscale con altri cantoni. E quindi risultato a somma zero.
Con preteso effetto redistributivo, in base al principio incantatore – anche se demolito ormai da mille realtà e inoppugnabili studi di altre prestigiose università americane o inglesi- che la ricchezza finisce per ruscellare verso il basso, facendo tutti contenti. Tradotto nel categorico e pubblicizzato slogan cantonticinese, imperante ormai da oltre mezzo secolo: teniamoci stretto chi genera benessere (senza però mai aggiungere per chi).
Se si vuole invece scendere più nel dettaglio, rilevando qualche cifra, non è che si trovi “due facce, stessa medaglia” (cioè fiscalità e finanza pubblica) ma si trova, forse senza accorgersene, la dimostrazione dell’incongruenza non di una politica (quella fiscale) ma della politica cantonticinese.
Essa sta in due cifre, vendute quasi come antitetiche o, assieme, come esaltazione di generosità e di giustizia. L’una ci dice che il 26.6 per cento dei cittadini è “fiscalmente esente”, non paga imposta. L’altra (pressoché più trionfante) che il 2.6 per cento dei cittadini (con un imponibile superiore ai 200 mila franchi) contribuisce al 35.7 per cento del gettito fiscale. Un terzo contro un po’ più di un terzo.
Quindi, in sostanza, c’è un terzo dei cittadini ticinesi, potenziali contribuenti, che non ha reddito ritenuto imponibile e c’è una minima parte di contribuenti (e, da quel che si può desumere da altre affermazioni, in parte esteri, globalisti) che alimentano nella misura di ben oltre un terzo le finanze grazie alle quali lo Stato può funzionare, può offrire i servizi pubblici.
Si vendono queste cifre per sostenere e riaffermare la propria tesi e politica dominante. In realtà, se si vuol riflettere, si confermano due ben tristi realtà: la prima è che c’è, indirettamente, una forte carenza di reddito (e quindi mettiamoci anche le disparità salariali tra i cantoni e non solo quelle fiscali), una elevata presenza di non-abbienti e quindi di poveri o di chi è attorno o sotto la soglia di povertà; la seconda è che c’è una indubbia concentrazione di ricchezza (altro che ridistribuzione!) e che, molto probabilmente, a giudicare solo dai milioni che vengono spesso alla luce in seguito a truffe e a vicende giudiziarie-penali, la percentuale dei maggior contribuenti potrebbe essere ancora felicemente maggiore. Dunque, riflettendo bene, a rigor di diritti, di economia e di sana politica: primo, non ci dovrebbero essere cittadini che non possono pagare le dovute imposte allo Stato per i numerosi servizi che ci rende; secondo, lo Stato non dovrebbe essere dipendente e tributario di un numero ristretto di ricchi cittadini, ne va di mezzo sia la coesione sociale sia la stessa democrazia.
L’altra faccia della medaglia da considerare non sta tra fiscalità e finanza pubblica, ma tra queste due unite e la condizione sociale. La Conferenza svizzera dell’Istituzione dell’Azione Sociale (COSAS) definisce una soglia sotto la quale si ritiene che non sia possibile vivere in maniera degna e integrata nella società (2.289 fr. se siete single; 3.989 fr. se avete una famiglia con due bambini). In Ticino un quarto della popolazione è a rischio povertà. Sì è a “rischio povertà” se si guadagna meno del 60 per cento del reddito mediano del paese. Nel Ticino siamo molto al di sopra della media nazionale (15 per cento), con un preoccupante 24 per cento: una persona su quattro.
Si parla però anche di “deprivazione materiale e sociale”, quando si è costretti a rinunciare a importanti beni, servizi e attività sociali per ragioni finanziarie. Si calcola che la deprivazione si verifica quando una persona soffre di 5 mancanze su tredici definite: il tasso medio in Svizzera è del 5.2 per cento mentre in Ticino è quasi del 10 per cento. Il fatto ancora più allarmante è che il 14 per cento delle persone ha almeno un arretrato di pagamento e il 30 per cento non può affrontare una spesa improvvisa di 2.500 franchi (non poter andare dal dentista, supponiamo). Riassumendo: è là dentro che si trovano tutti coloro che non riescono a pagare le tasse o ne sono esentati.
E c’è dunque da meravigliarsi e quasi da gloriarsi o da farne un motivo di buona politica fiscale perché un terzo dei cittadini non riesce neppure a pagare le imposte e perché, come logica matematica vuole, ci sarà una minoranza ricca che fornisce la maggior parte dell’intero gettito fiscale cantonale?
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