Il capitalismo svizzero al servizio di Putin
Come accomodanti e interessati esponenti del nostro mondo politico-finanziario hanno sostenuto la guerra del neo-zar in Ucraina
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Come accomodanti e interessati esponenti del nostro mondo politico-finanziario hanno sostenuto la guerra del neo-zar in Ucraina
Di Joseph Lang
Idee “grandi-russe” e interessi imperialisti non bastano per fare la guerra. Per volerla ci vuole un esercito. E l’esercito costa parecchio. Durante tutti questi anni, la Svizzera ha aiutato Putin a riempire le casse del suo “tesoro di guerra”, e a produrre armi. Tuttora la Confederazione lo aiuta ad alimentare il conflitto in Ucraina.
È difficile calcolare quanto, negli scorsi anni, è stato versato a partire dalla Svizzera in questo “tesoro di guerra” russo. Si tratta comunque di miliardi e miliardi. Secondo l’ambasciata svizzera a Mosca, l’80 per cento del commercio russo di materie prime è passato attraverso il nostro paese: soprattutto da Ginevra, Zugo e Lugano. È una cifra esagerata? Sta di fatto che l’organizzazione umanitaria “Public Eye” calcola che Putin si è servito della “piattaforma elvetica” al 60 per cento per quanto riguarda la vendita del petrolio e al 75 per cento per il carbone.
Queste cifre dimostrano fino a che punto la Svizzera è stata e rimane importante per i conti statali russi, dunque per la guerra di Putin in Ucraina: gas e petrolio hanno portato nelle casse russe 200 miliardi di dollari all’anno. Ancora nel 2001 il budget statale russo dipendeva per il 36 per cento da queste esportazioni.
Dopo l’annessione della Crimea nel 2014, la società statale “Rosneft”, direttamente controllata dal capo del Cremlino, ha contribuito al budget del ministero russo della difesa. Con il rialzo dei prezzi, nel 2021 i suoi proventi sono aumentati del 46 per cento, raggiungendo così i 121 miliardi di dollari, cioè il doppio del bilancio militare ufficiale della Russia. “Rosneft” era stata salvata dieci anni fa dalla società ginevrina “Trafigura”, della zurighese “Marc Rich Boys”, e nel 2016 dalla società “Glencore” di Zugo. E per questo salvataggio il “patron” della “Glencore”, Ivan Glasenberg, aveva ricevuto nel 2017 il “Premio dell’Amicizia” della Federazione Russa, consegnatogli da Vladimir Putin.
Le due grandi banche di allora, Credit Suisse e Ubs insieme, dal 2016 al 2021 hanno accordato crediti per un totale di circa 30 miliardi di dollari a Società petrolifere e del gas russe. A sua volta la sede ginevrina della PNB-Paribas ha versato quasi 47 miliardi di dollari. Occorre poi aggiungere tutti gli oligarchi che nelle banche svizzere hanno accumulato beni stimati fra 150 e 200 miliardi. Su questa cifra colossale, sono stati “congelati”, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, soltanto 10 miliardi.
Il gigante di Zugo, la già citata “Glencore”, seguendo la via segnata dal fondatore Marc Rich, definito “il re delle materie prime”, a Est è sempre stata molto presente e forte. Tanto è vero che Willie Strothotte, numero due di Rich, e suo successore, era stato soprannominato “Eastman”, l’uomo dell’Est. Ci sono anche Società classiche, come la “Nornickel” di Vladimir Pitanin, o il produttore di fertilizzanti “Eurechem” di Andrey Melnichenko. Ben 17 dei 32 oligarchi russi citati da “Public Eye” hanno legami con la città di Zugo e la sua piazza economico-finanziaria. E si sa che anche gli oligarchi sono una fonte importante per il finanziamento delle guerre di Putin.
E Zugo ha una particolare specialità: quella di ospitare Società del settore energetico molto vicine al presidente russo, come “Gazprom”, “Nord Stream”, oppure banche come “Sbr Trading” o la “VTB”. Che si occupano di altre “specialità” del commercio internazionale russo, come il carbone e l’uranio.
La specialità di Ginevra sono invece il petrolio (“Vitol”+, “Trafigura”) e gli istituti bancari.
La specialità del Ticino è la commercializzazione dell’oro russo.
Lo ha anche segnalato Luca Torti, candidato ticinese al Consiglio di Stato per l’MPS: “Nel mese di agosto 2022 la Svizzera ha importato oro russo per circa 312 milioni di franchi (per 5,6 tonnellate) e questo con il pretesto, chiaramente una scappatoia, che il metallo prezioso era già stato esportato dalla Russia prima del divieto, quindi delle sanzioni, adottate dal Consiglio federale il 3 agosto. Queste quantità di oro hanno rappresentato un record assoluto, anche rispetto al periodo precedente l’aggressione armata contro l’Ucraina. L’oro, di cui la Russia è grande esportatrice a livello mondiale, rappresenta un’entrata economica importante per Putin e il suo regime”.
Questa analisi è confermata dalla “Neue Zürcher Zeitung am Sonntag” di domenica scorsa – in una pagina interamente dedicata a un grave incidente in una miniera d’oro in Perù -, e indirettamente anche da “Swiss Better Gold” della SECO, il 21 maggio scorso: “I due terzi dell’oro mondiale sono raffinati nella Confederazione”.
Meno conosciuto è invece l’aiuto della Svizzera al settore russo dello sviluppo degli armamenti. Ecco un esempio, nel quale Karin Keller-Suter, allora consigliera agli Stati liberale e oggi Consigliera federale, ha avuto un ruolo particolarmente nefasto. Nel 2015, nel quadro delle sanzioni contro l’annessione della Crimea, il Segretariato di Stato all’Economia, Seco, proibì l’esportazione verso la Russia di macchine utensili perché utilizzate da Mosca anche a fini militari. Una potente lobbying – essenzialmente liberal-radicale – venne allora organizzata contro questa decisione e la sua concretizzazione. Oltre alle imprese del settore e le loro associazioni, la rappresentante del Canton San Gallo, ovvero la signora Keller-Sutter, e l’allora capo del dipartimento federale dell’economia, Schneider-Ammann, furono i principali protagonisti della vicenda: nei cantoni di Keller-Sutter e di Schneider-Ammann, vi sono importanti società che operano per Vladimir Putin.
Nel dicembre 2015 Keller Sutter depositò la sua mozione, e più tardi Schneider-Ammann spiegò così la “liberalizzazione”: in occasione della valutazione di richieste d’esportazione verso la Russia non sono ammessi “criteri d’esame a carattere ideologico”.
In seguito, la Seco, sconfessata dal governo federale, ha praticamente autorizzato tutti i beni “a doppio uso” verso la Russia. Tra il 2016 e il 2021 ce ne sono stati 1.300, di cui 120 macchinari speciali per la fabbricazione di motori d’aerei civili e … militari. La Seco e i radicali sapevano quali fossero le priorità di Putin, almeno dai tempi del suo intervento in Siria, e delle minacce all’Ucraina.
Questi macchinari sono utili anche per la costruzione di razzi e per la produzione di munizioni speciali. Una Società bernese ne ha venduti alla Russia per la produzione di munizioni, che fra l’altro sono state utilizzate nel massacro di civili a Bucha nel marzo dello scorso anno.
Zugo è un bastione del putinismo economico, ma anche dell’anti-putinismo politico. Nel 2.000 noi “alternativi” organizzammo veglie contro la guerra in Cecenia. Due anni dopo, abbiamo lanciato una campagna di boicottaggio contro l’assegnazione del Premio per la pace a Putin. Questo premio, assegnata da un’impresa nucleare sospetta, gli fu consegnato da Mikhail Gorbaciov, in una cerimonia al Casinò di Zugo, davanti a 500 invitati. Fra di loro vi era un alleato nella “guerra al terrorismo”: l’ambasciatore degli Stati Uniti.
Il governo del canton Zugo, allora presieduto da un landamano “verde alternativo”, nonché esponente del “Gruppo Svizzera senza esercito”, aveva boicottato la cerimonia, e questo segnò la fine di eventi del genere. Ciò che avevamo intuito all’epoca, è poi diventato evidente: il Cremlino aveva scelto Zugo come luogo di insediamento delle sue società.
È poi seguito uno dei nostri conflitti più duri, anche contro altre forze politiche. Al largo di Finisterre, sulla costa galiziana, una petroliera dal nome evocativo, “Prestige”, si era spezzata in due durante una tempesta invernale. La petroliera era stata affittata da una società con sede a Zugo. E apparteneva agli oligarchi russi del Gruppo Alfa. Col titolo “Nessun risarcimento alle vittime della marea nera”, la NZZ, nel dicembre 2002, illustrava nei seguenti termini il rifiuto borghese di un intervento alternativo: “Gerhard Pfister, presidente del Partito popolare democratico del canton Zugo, vedeva in tutto ciò un pericolo per la piazza di Zugo come base della “commercializzazione di materie prime”. Organizzammo la più grande manifestazione della storia di Zugo dagli Anni Cinquanta, e il suo slogan fu: “Solidarietà con le vittime della marea nera”.
Ma lo scontro più importante avvenne nel 2006, dopo l’arrivo a Zugo di Gazprom. Il fatto che il massimo dirigente del gruppo, Mathias Warnig, fosse stato un agente della Stasi (i servizi segreti della Germania dell’Est), e che l’altro protagonista chiave a Zugo , un esponente del PDC, fosse al servizio dell’approvvigionamento della Stasi, come spiegheremo fra poco, dimostrava che dietro tutto questo c’era una precisa strategia del Cremlino.
Dal 1982 al 1990, Zugo era stato un centro di acquisizione di apparecchi per le intercettazioni telefoniche e per altri strumenti high-tech destinati alla Stasi. Fu scoperto poco prima della fine della Germania orientale. Oltre al già citato esponente del PDC, un avvocato del PLR, nonché futuro co-fondatore dell’UDC, era stato al servizio della Stasi. Le due corde della Stasi, quella tedesco-orientale e quella di Zugo, sono state annodate da Putin. Questi, negli Anni Ottanta, lavorava a Dresda quale agente del KGB.
Dopo il lancio della nostra campagna (gennaio 2006) dal titolo “Gli alternativi si distanziano dalle Società di Putin”, anche Gerhard Pfister prese le distanze, ma da noi, e non certo dalle società e dalle banche di Putin. In un intervento su “Zugo e la concorrenza fiscale”, l’allora presidente del PDC cantonale, nel marzo 2006 segnalava con sarcasmo le nostre dichiarazioni contro la “mafia dell’Est”. Chiese anche la mia esclusione dal parlamento perché avevo denunciato politicamente ditte zurighesi che avevano condotto, per conto di Putin, la “guerra del gas” contro l’Ucraina.
Dal 2006 noi “alternativi” abbiamo organizzato ben 41 azioni di protesta davanti alla sede svizzera di Nord Stream, impresa-chiave di Putin in Occidente. La 39esima azione venne organizzata nel febbraio 2021, con due rivendicazioni: la non realizzazione di Nord Stream 2 e la scarcerazione del dissidente russo Navalny. La prima esigenza è stata realizzata. La seconda potrebbe concretizzarsi se Putin perdesse la guerra.
Lo storico Joseph Lang (intervenuto martedì a una conferenza organizzata dal MPS) è stato consigliere nazionale nonché uno dei più noti esponenti del “Gruppo per una svizzera senza esercito”.
Traduzione a cura della redazione
Nell’immagine: meeting al Cremlino fra Vladimir Putin, Abdullah bin Mohammed bin Saud Al Thani (fondo sovrano del Qatar), Ivan Glasenberg (Glencore), Carlo Messina (Banca Intesa Sanpaolo) e Igor Sechin (Rosneft), gennaio 2017
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