L’ombra neonazista su Belgorod
Chi c’è dietro ai raid anti Putin
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Belgorod, territorio della Federazione russa. La notte di lunedì scorso, si diffonde la notizia che una sedicente milizia russa anti-Cremlino sia passata dall’Ucraina per attaccare due villaggi lungo il confine. Una notizia che Kiev smentisce e che Mosca fa risuonare come un’eco: sono ore, infatti, che si propaga una guerra di comunicazione serratissima tra Russia e Ucraina. Il “gruppo di sabotatori ricognitori delle forze armate ucraine”, secondo le fonti russe, sarebbe il primo segmento delle forze ucraine ad entrare sul suolo russo in un anno e tre mesi di guerra.
Se Mosca è certa dell’inizio di una contro-invasione, Kiev addita “miliziani russi anti-Putin” e in particolare due forze paramilitari: la Legione Libertà per la Russia e la arcinota, ormai, formazione del Corpo dei volontari russi, a loro volta legate all’universo mediatico di Ilya Ponomarev, patron dell’Esercito nazionale repubblicano. Mentre sul web impazza la battaglia mediatica a colpi di video, proveniente da ambo i lati, l’unica cosa certa è che Ponomarev plaudeva alla missione proprio mentre questa era in corso, dall’alto dei suoi social.
Nel frattempo, anche le due formazioni si sono scatenate sui social. La Legione Libertà per la Russia affida a Facebook un video nel quale rivendica l’incursione attraverso le parole di “Caesar“, il legionario del quale il Cremlino vuole la testa e che si mostra da tempo a volto scoperto come tanti suoi commilitoni che si mostrano senza censure ai giornalisti al fine di incoraggiare i lupi solitari a venire allo scoperto e unirsi alla battaglia.
Più complesso è l’universo del Corpo dei volontari russi che, negli scorsi mesi, aveva attaccato non troppo lontano da Belgorod, a circa 400 km a nord ovest, in quel della regione di Briansk. Un dettaglio che conferma come questa guerriglia anti-Putin sia operativa prevalentemente nell’est dell’Ucraina ove dispone di uomini che hanno fatto del conflitto in Donbass la loro palestra.
Il Corpo dei volontari è quello che, tra le due, suscita i maggiori interrogativi. Non è più un mistero per nessuno che la brigata faccia riferimento al suo fondatore, Denis Kapustin, conosciuto con lo pseudonimo di Denis Nikitin, nato a Mosca nel 1984, e descritto da vari media occidentali come un neonazista. Denis “White Rex” Nikitin, non è uno sconosciuto nel panorama dei neonazisti europei: formazione cosmopolita, nato in Russia ma emigrato in Germania, Paese che lo ha bandito dall’area Schengen nel 2019 per le sue attività sovversive. Così come è nota la sua idiosincrasia per Zelensky per le sue origini ebraiche ma anche per Putin, reo di aver creato una Russia sbiadita e multietnica. Il corpo miete consensi e arruola volontari non solo nel mondo sommerso degli adoratori del “sole nero”, ma anche nel retrovie dello sport legato alle arti marziali.
Ad avvalorare la tesi dell’humus neonazista del gruppo vi sarebbe un altro dettaglio che imperversa sui social nelle ultime ore, ma soprattutto sui media russi. Per prima è stata la Tass ad annunciare che fra i sabotatori dell’altra notte vi sarebbe Alexei Levkin. Ma chi è costui?
Trentotto anni, leader della banda black metal M8L8TH (che sta per “Il Martello di Hitler”) ma soprattutto ex combattente in Donbass nel 2014 sotto le insegne del battaglione Azov. Nel 2016 ha fondato la Wotanjugend, una sorta di mini accademia online per i compagni di ideologia che idolatra terroristi di estrema destra. A corredo dei suoi eventi, ammennicoli neonazisti frammisti a paccottiglia come candele e simboli esoterici, nonché sempiterni riferimenti al Valhalla. Non a caso, uno dei momenti nei quali la personalità di Levkin è venuta fuori è stato l’attacco a Cristchurch in Nuova Zelanda nel 2019, al quale il neonazista applaudì, senza troppo pudore, dal suo quartier generale in Ucraina.
Nel 2018 un tribunale di Mosca ne aveva predisposto l’arresto in contumacia con l’accusa di costituzione di formazione estremista, incitamento all’odio, violazione della dignità umana anche con l’uso di internet. Nel 2019 si era occupato di lui la piattaforma di giornalismo investigativo Bellingcat, che aveva approfondito le sue attività di propaganda dentro e fuori l’Ucraina. Un certo filone musicale transeuropeo, infatti, aveva attirato l’attenzione di media e osservatori: quello della musica hardcore, infatti, appare essere spesso il miglior volantino per il reclutamento e la radicalizzazione di volontari e mercenari all’interno di organizzazioni paramilitari nel grande oriente europeo. Nel 2019, ad esempio, quando Bellingcat si era occupata di Levkin, ben tre importanti concerti di stampo neonazista si erano tenuti all’aperto in quel di Kiev, assieme ad una serie di eventi minori che avevano avuto come palco il centro sociale del movimento Azov. In molti di questi compare la figura di Levkin come organizzatore.
Se la militanza di Levkin nel Corpo dei volontari russi è indubbia (la rete pullula di foto nelle quali figura con i simboli e le bandiere del gruppo, anche in contesti operativi), più complesso è stato dimostrare la presenza di questo personaggio nel teatro dell’attacco a Belgorod. I video che hanno circolato a lungo in rete rimpallavano da un milblogger all’altro senza mai citare la fonte principale. Sui social appartenenti al gruppo (in particolare Instagram), una serie di post e di stories fanno da diario all’impresa sul confine orientale, ritraendo una sequela di volti ormai noti del Corpo stesso. Levkin non sembrava comparire sui social del gruppo, a differenza del suo omologo Caesar, fino a poche ore fa. Il video è poi comparso anche fra i post del canale Telegram del Corpo stesso, che plaude ad uno dei suoi membri di spicco. Nel video, Levkin, riconoscibile perché a volto scoperto e con la sua inconfondibile folta barba rossiccia, è assieme ad un commilitone: nessun riferimento geografico né temporale, solo una frase telegrafica inframmezzata da colpi di mortaio che dice “Bene, cosa dire…la chiave dei confini è spezzata a metà”.
L’episodio di Belgorod, all’interno di una guerra nella guerra (quella della comunicazione) getta nuovamente l’ombra sulle formazioni paramilitari che combattono al fianco dei regolari ucraini e che si mostrano fiancheggiatrici di movimenti neonazisti in giro per l’Europa: dal canto suo, Kiev continua a barcamenarsi tra le smentite e l’imbarazzo, ma non v’è dubbio che questa componente delle forze in campo rischia di minare la credibilità delle truppe ucraine e di Kiev stessa. Oltre che compromettere il futuro processo di pacificazione dell’intera area.
Sull’attività dei battaglioni neonazisti russi in Ucraina, in particolare su Kapustin e i suoi collegamenti anche con la Svizzera, si veda un reportage di Ludovico Camposampiero in un dossier di RSInews.ch
Nell’immagine: il fondatore del Corpo dei volontari russi Denis Kapustin (alias Denis Nikitin)
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