Il fronte largo dell’Occidente
Il vertice Ue ha aperto i negoziati di adesione dell’Ucraina. Ora ci vorranno anni, ma la mossa politica è fatta
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Il vertice Ue ha aperto i negoziati di adesione dell’Ucraina. Ora ci vorranno anni, ma la mossa politica è fatta
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Il vertice Ue ha aperto i negoziati di adesione dell’Ucraina. Ora ci vorranno anni, ma la mossa politica è fatta
La sofferta decisione del vertice Ue di aprire i negoziati di adesione con l’Ucraina ha un valore più politico che pratico. Ci vorranno molti anni prima che Kiev possa riempire le condizioni necessarie a diventare uno stato membro dell’Unione europea. Ma il valore politico del passo compiuto ieri dai capi di governo europei è enorme. E segna una svolta importante su più fronti.
Il primo è il fronte della guerra in corso tra democrazie e totalitarismi. Si è parlato molto negli ultimi mesi di una certa “stanchezza” dell’Occidente nel sostegno all’Ucraina. Negli Usa il presidente Biden fatica a far approvare dal Congresso il pacchetto di aiuti finanziari a Kiev. In Europa i sondaggi parlano di una war fatigue che si sta diffondendo nell’opinione pubblica e gli amici di Putin sembrano rialzare la testa un po’ dovunque. Se anche i leader europei avessero condiviso questo calo di tensione nella difesa della legalità democratica, il veto che l’ungherese Orbán aveva messo all’apertura dei negoziati con l’Ucraina avrebbe offerto loro la scusa perfetta per un rinvio di cui nessuno avrebbe dovuto assumersi la responsabilità.
Invece il fronte dei Ventisei è stato compatto e molto deciso nel seguire la linea indicata dalla Commissione di Ursula von der Leyen, che già aveva dato parere favorevole all’apertura dei negoziati, e mandare un forte messaggio di sfida al Cremlino. Una compattezza e una determinazione che hanno spiazzato il leader ungherese amico di Putin. È vero che la Commissione ha sbloccato circa un terzo dei finanziamenti a Budapest che erano stati congelati per non rispetto dello Stato di diritto. Ma è anche vero che Orbán, pure dopo quella decisione, continuava ad agitare lo spauracchio di un veto contro Kiev. È dunque probabile che, nell’incontro riservato che il leader ungherese ha avuto con Scholz e Macron (assente Meloni) poco prima del voto, i due pesi massimi della Ue abbiano fatto capire al ribelle che un suo veto non sarebbe stato senza conseguenze per il futuro dell’Ungheria nella Ue. Così Orbán, più che uscire dalla stanza al momento della decisione, ne è stato espulso.
Proprio questo è l’altro fronte su cui la scelta fatta ieri dai capi di governo rappresenta una svolta: il fronte interno. In un momento in cui, proprio in vista del futuro allargamento della Ue, si discute molto della necessita di abolire il principio dell’unanimità, il Consiglio europeo ha di fatto posto un limite, non giuridico ma sostanziale, al diritto di veto. Quando è in gioco la stessa credibilità politica dell’Europa, i margini per i giochetti e i ricatti delle singole capitali si restringono bruscamente.
Ieri si decideva della nostra capacità di fare fronte all’aggressione che Putin ha scatenato non solo contro l’Ucraina ma contro le democrazie liberali europee. Sa la Ue si fosse piegata al ricatto interno di un amico del Cremlino e nemico dichiarato delle liberaldemocrazie, avrebbe perso ogni credibilità sia sul piano internazionale sia su quello interno. Il pericolo era grave e reale. Ma è stato sventato. In fin dei conti, proprio la drammatizzazione del confronto fortemente voluta da Orbán si è ritorta contro di lui. Persino i suoi amici politici, dallo slovacco Fico all’italiana Meloni, lo hanno messo in un angolo, costringendolo a riconoscere che ci può essere una unanimità anche solo a ventisei su ventisette.
Il terzo fronte su cui ieri si è registrata una svolta è quello interno all’Occidente. Ormai da qualche mese tutto il mondo guarda alle prossime elezioni presidenziali negli Usa. Lo stesso congresso americano ha frenato sui finanziamenti all’Ucraina perché una parte consistente dei repubblicani già prefigura una possibile vittoria di Trump e un conseguente appeasement con il regime russo. In Europa, invece, i governi si impegnano con l’adesione dell’Ucraina rilanciando una sfida politica a Putin che durerà per anni. Non è un messaggio a Biden, che condivide la visione europea, ma un messaggio a Trump e alle sue ambizioni di tornare alla Casa Bianca. Da oggi l’ex presidente golpista sa che, da questa parte dell’Atlantico, la sua visione del mondo e della democrazia non troverà interlocutori accondiscendenti.
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