Quando era CEO della banca J. Safra Sarasin, Edmond Michaan non era certo infastidito dalla copertura mediatica che ha ricevuto. Le Temps, la Tribune de Genève, la NZZ e Reuters – solo per citarne alcuni – avevano riferito nel 2013 dell’arrivo ai vertici dell’istituto di questo “banchiere molto conservatore”. I media hanno poi prestato attenzione alla sua partenza improvvisa. Era il 31 ottobre del 2019 e, qualche giorno prima, “Gotham City” aveva
rivelato l’esistenza di un’indagine penale aperta contro la banca da parte del Ministero pubblico della Confederazione (MPC)
per il suo ruolo nello scandalo di corruzione brasiliana Lava Jato. In seguito è poi emerso che lo stesso ex dirigente è finito lui stesso
sotto indagine per questa vicenda, sospettato di complicità in corruzione. Le inchieste sono tuttora in corso.
Di recente Edmond Michaan ha chiesto l’adozione di misure speciali per eliminare il riferimento al suo ex ruolo di CEO da alcune sentenze pubblicate sul caso. Questa informazione è contenuta in una decisione del Tribunale penale federale (TPF) resa pubblica a fine novembre. Edmond Michaan ha chiesto di applicare un “ulteriore anonimizzazione” ad una precedente sentenza pubblicata il 17 ottobre dallo stesso tribunale. La versione anonimizzata di questa decisione confermava l’ammissione della società petrolifera brasiliana Petrobras come accusatrice privata nell’indagine federale e lo indicava come “Capo del Desk D. (2004-2007), Capo del Private Banking (2008-2010) e CEO della Banca C.”. Il portale specializzato “Gotham City” ha pubblicato un articolo su questo argomento il 18 ottobre, citando Edmond Michaan per nome. A seguito di questa pubblicazione, l’ex dirigente di J. Safra Sarasin ha ritenuto che la descrizione della sua ex posizione di CEO nella sentenza pubblicata permettesse di identificarlo “troppo facilmente”, con il rischio di “violare gravemente i suoi diritti, in particolare i suoi diritti personali”.
Nella sua decisione del 29 novembre, il TPF ha criticato l’ex dirigente per aver agito troppo tardi. La sentenza gli era stata comunicata tre mesi prima. Il fatto che abbia reagito solo dopo essere stato contattato dai media, quando la decisione era già stata pubblicata sul sito web del tribunale, non ha giocato a suo favore. Ma i giudici di Bellinzona non si sono fermati qui. La Corte ha tenuto a sottolineare “che esiste un legittimo interesse pubblico alla pubblicazione di informazioni, in parte anonimizzate, relative alle cariche ricoperte dal ricorrente, in quanto ciò consentirebbe di chiarire il suo ruolo nel complesso dei fatti oggetto di indagine”. Insomma, il fatto che un’inchiesta penale tocchi un ex CEO di una banca non è un dettaglio marginale nell’ottica dell’interesse del pubblico di poter comprendere lo svolgimento di questo procedimento giudiziario. La richiesta di Edmond Michaan è stata dichiarata irricevibile.
Di recente, lo stesso TPF si è pronunciato su un’altra richiesta concernente la trasparenza giudiziaria. In una decisione pubblicata il 14 novembre 2023, i giudici hanno respinto le richieste di un imputato in un caso di insider trading che chiedeva l’applicazione di misure eccezionali per impedire alla stampa di coprire il suo processo previsto per il 7 dicembre a Bellinzona.
L’ex direttore di una società industriale di Zurigo era accusato dall’MPC di aver venduto un pacchetto di azioni poco prima della pubblicazione di risultati finanziari che sapeva essere negativi, evitando così una perdita di circa 250.000 franchi svizzeri. A differenza del caso precedente, l’identità dell’accusato non è d’interesse pubblico: l’uomo non è mai stato oggetto di particolare attenzione da parte dei media e, pur essendo un ex dirigente, la sua posizione all’interno dell’azienda era relativamente secondaria e le accuse a suo carico non coinvolgono la società per cui lavorava.
Secondo le consuete regole della stampa svizzera, in questi casi l’identità di un accusato non dovrebbe essere divulgata. Eppure, l’uomo ha chiesto che il pubblico sia “totalmente escluso” dal suo processo iniziato il 7 dicembre e che l’annuncio del dibattimento sia “rimosso dal calendario delle udienze sul sito web del Tribunale penale federale”. In caso contrario, il suo avvocato ha chiesto che venissero imposte misure speciali ai giornalisti per impedire loro di pubblicare “qualsiasi cosa che possa identificare il nostro cliente”. Inoltre, hanno aggiunto i legali dell’uomo, “i cronisti giudiziari accreditati dovrebbero essere tenuti a dare solide garanzie all’inizio dell’udienza che i media per i quali lavorano rispetteranno le condizioni imposte, altrimenti non potranno partecipare all’udienza in assenza di tali garanzie”.
Di fronte a questo diluvio di richieste, il TPF ha ribadito in modo chiaro che “la censura è vietata”. Per i giudici “la pubblicità della giustizia (…) è a servizio di una procedura giudiziaria equa e corretta”. La sentenza ribadisce che proprio la pubblicità della giustizia “costituisce la base della procedura giudiziaria in uno Stato di diritto, rinforza la fiducia nella giustizia e la coscienza giuridica”. Il ricorso è stato quindi totalmente respinto. Per la cronaca, l’uomo è stato assolto.
Nell’immagine: Edmond Michaan