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Redazione
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• 29 Novembre 2022 – Redazione

Di Federico Giuliani, InsideOver

Leader di grandi aziende, politici, professori e accademici asiatici. Il tavolo dei lavori abbonda di grandi personalità, anche se non è dato sapere il nome di tutti i presenti. Il 19 e il 20 novembre scorsi, a Tokyo, nella sala di un hotel non distante dall’ufficio del primo ministro giapponese, si è riunita la Trilateral Commission, o Commissione Trilaterale, un’organizzazione enigmatica che, ormai dal 1973, riunisce, di tanto in tanto, personalità di spicco per discutere e proporre soluzioni ad alcuni dei problemi più complessi del mondo.

Fondata quasi 50 anni fa da David Rockefeller, la Commissione descrive sé stessa come un importante luogo per “incubare le idee e formare relazioni tra settori e aree geografiche” ma anche come “un gruppo di Paesi che condividono valori comuni e un impegno per lo stato di diritto, economie e società aperte e principi democratici”. La Trilateral Commission è stata creata durante la Guerra Fredda con l’obiettivo di guidare il partenariato di sicurezza “trilaterale” Usa-Giappone-Europa e, ancora oggi, le sue deliberazioni, e la presunta influenza che esercita, sono oggetto di molteplici speculazioni.

La struttura direzionale della Commissione comprende le tre aree geografiche dalle quali provengono i membri. Esiste un gruppo nordamericano, che copre Stati Uniti, Canada e Messico, uno europeo e, infine, uno asiatico-pacifico, che abbraccia Giappone, Corea del Sud, membri dell’Asean, Australia, Cina, India e Nuova Zelanda. Ciascun gruppo ha una propria presidenza e figure di rilievo. La leadership è collegiale, mentre le tre presidenze regionali sono affiancate da un Comitato esecutivo.

L’incontro di quest’anno, avvenuto in Giappone, è il primo dall’inizio della pandemia. Nonostante le tematiche e le soluzioni proposte siano di grande importanza – se non altro perché provengono, come detto, da personalità di spicco – le saltuarie partecipazioni al raduno sono solo su invito, tanto che alcuni media si riferiscono alla Commissione Trilaterale definendola una sorta di organizzazione segreta. Per la prima volta in 50 anni, i lavori della commissione, tutte le sessioni, sono stati aperti a tre giornalisti del Nikkei Asia, che hanno così potuto partecipare alla riunione del Gruppo Asia Pacifico, a condizione di non citare per nome i partecipanti.

In generale, ogni nuovo candidato per l’adesione alla Commissione viene attentamente esaminato prima di essere ammesso. Tra i vari nomi, che a più riprese hanno preso parte dei lavori passati, citiamo il segretario di Stato americano Antony Blinken, Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, il primo ministro danese Mette Frederiksen e il ministro indiano degli affari esteri Subrahmanyam Jaishankar. È proprio questa sorta di “porta girevole” tra la commissione e gli alti ranghi della politica internazionale ad aver dato adito ai teorici della cospirazione. In ogni caso, dalla riunione giapponese ono emersi spunti interessanti. Che potrebbero, almeno in parte, plasmare il prossimo futuro del pianeta.

La spaccatura tra l’Asia e l’Occidente

A Tokyo, come detto, si è riunito l’Asia Pacific Group. Tra i partecipanti figuravano un giovane politico giapponese, considerato un papabile futuro primo ministro, vari ex funzionari del Ministero delle Finanze e, addirittura, un parente della famiglia imperiale nipponica. Tralasciando l’immagine della Commissione, considerata da molti politici populisti una specie di camera di élite non elette e irresponsabili, vale la pena accendere i riflettori sul tema chiave del recente incontro, sia per il suo contenuto che, soprattutto, per le sue possibili conseguenze globali.

I giornalisti del Nikkei hanno infatti evidenziato una spaccatura, una divergenza di vedute, che potrebbe farsi sempre più evidente tra l’Asia e le altre “ali” dell’organizzazione (Americhe ed Europa). “Riteniamo che la politica degli Stati Uniti nei confronti dell’Asia, in particolare nei confronti della Cina, sia stata di mentalità ristretta e inflessibile. Vogliamo che la gente negli Stati Uniti riconosca le varie prospettive asiatiche”, ha affermato Masahisa Ikeda, membro del comitato esecutivo della Commissione trilaterale, nonché prossimo direttore dell’Asia Pacific Group. Detto altrimenti, senza input dall’Asia c’è il rischio che gli Stati Uniti possano condurre il mondo verso un pericoloso confronto.

“Dobbiamo coinvolgere la Cina. Se costringiamo i paesi a scegliere da che parte stare, le nazioni del sud-est asiatico sceglieranno la Cina. La chiave è non costringerle a scegliere”, ha affermato un altro membro presente, sempre secondo quanto ricostruito da Nikkei Review. Già,coinvolgere la Cina: dalle parti di Washington quest’idea – la speranza che, includendo la Cina nelle istituzioni internazionali come l’Organizzazione mondiale del commercio, allora Pechino assomiglierebbe di più alle nazioni occidentali – è morta e sepolta. L’ultimo tentativo, col senno di poi considerato fallimentare, è stato fatto dall’amministrazione Obama.

Donald Trump prima e Joe Biden poi hanno adottato approcci ben diversi. Nella sua prima strategia di sicurezza nazionale, pubblicata lo scorso ottobre, l’amministrazione Biden non ha usato mezze misure per definire la Cina “l’unico concorrente con l’intento sia di rimodellare l’ordine internazionale, sia il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per riuscirci”. Eppure, l’idea di coinvolgere maggiormente la Cina non è morta in seno alla Commissione Trilaterale, tanto più tra i membri del Gruppo Asia Pacifico. “Quando due elefanti combattono, le formiche vengono calpestate. Quando due elefanti combattono fino alla morte, saremo tutti morti. E la domanda è: per cosa?”, hanno fatto notare i presenti riferendosi alla rivalità tra Cina e Stati Uniti.

Quale futuro?

Da quanto emerso dall’incontro di Tokyo, le élite asiatiche sono nervose perché il mondo starebbe andando nella direzione sbagliata, che includerebbe sia l’intensificarsi della concorrenza sino-americana, che il conseguente disaccoppiamento economico da Pechino. Gli inviati di Nikkei Review hanno raccontato che il problema, secondo molti partecipanti, coinciderebbe con gli Stati Uniti o, più nello specifico, nella propensione statunitense di voler esportare la propria ideologia dando vita ad un pericoloso gioco a somma zero.

“Dobbiamo sviluppare una strategia realizzabile per persuadere e coinvolgere anche i paesi che la pensano diversamente”, hanno fatto notare gli accademici asiatici. Un partecipante indiano ha parlato della necessità per la comunità internazionale di adattarsi a un’Asia in crescita: “La maggior parte delle istituzioni globali, il punto di ancoraggio, il centro di gravità è sempre stato in Occidente. Questo chiaramente deve cambiare. L’Asia-Pacifico deve essere il punto di ancoraggio e non c’è modo di desiderare che la Cina se ne vada”.

Dal punto di vista economico, il governo americano ha incoraggiato le aziende a “tornare a casa” o a investire in Paesi alleati o amici. Un economista sudcoreano ha fatto notare che Seoul dovrebbe inevitabilmente scegliere tra Stati Uniti e Cina: e questo varrà per molti altri governi. L’Asia, quindi, continuerà a spingere per la globalizzazione, abbracciando una posizione decisamente diversa dall’Occidente. L’idea di futuro è dunque asimmetrica. E non è detto che questo non possa portare ad uno scontro.

Nell’immagine: fotografia di Ken Kobayashi, Nikkei Asia






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