La destra europea continua a crescere, ma resta divisa
Populisti e sovranisti stanno andando a gonfie vele nei sondaggi, ma non è detto che riescano ad entrare nelle stanze dei bottoni. E i vari partiti nazionali non vanno troppo d'accordo
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Populisti e sovranisti stanno andando a gonfie vele nei sondaggi, ma non è detto che riescano ad entrare nelle stanze dei bottoni. E i vari partiti nazionali non vanno troppo d'accordo
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Populisti e sovranisti stanno andando a gonfie vele nei sondaggi, ma non è detto che riescano ad entrare nelle stanze dei bottoni. E i vari partiti nazionali non vanno troppo d'accordo
È un ritornello che ormai va avanti da mesi: i partiti estremisti, populisti e sovranisti della destra radicale stanno guadagnando terreno e sono a un passo dal conquistare una fetta importante del Parlamento europeo. Forse, anche dall’entrare in una eventuale maggioranza senza il centro-sinistra. Di certo c’è che i sondaggi non sono mai stati così lusinghieri per le formazioni politiche di quest’area. Ma non è affatto scontato che destra e ultradestra possano diventare una forza coesa, e tantomeno che possano entrare nella prossima maggioranza a Strasburgo.
Numeri alla mano, i partiti e movimenti della destra nazionalista e dell’estrema destra stanno andando piuttosto bene in molti Stati membri, sia che si trovino al governo sia che siedano tra i banchi dell’opposizione. Un sondaggio pubblicato dal think tank European Council on foreign relations ha mostrato che queste due forze politiche potrebbero ottenere in totale circa un quarto dei seggi totali di Strasburgo, complice la crisi del costo della vita che sta esasperando i cittadini dei Ventisette.
In Francia, ad esempio, i due maggiori partiti della destra radicale potrebbero ottenere insieme quasi il 40%: il 33% per il Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen, eterna sfidante di Emmanuel Macron, e un più modesto 6% per Reconquête, il nuovo soggetto politico fondato da Éric Zemmour, che cerca di mostrarsi ancora più “duro e puro” del Rn. La lista centrista del presidente in carica, Ensemble, non otterrebbe neanche la metà dei loro consensi, attestandosi intorno al 14%.
Storia simile anche in Italia, Germania e Paesi Bassi. Nel Belpaese, la delegazione di FdI sembra poter ambire almeno ad un 29%, un incremento di oltre quattro volte rispetto al 6,44% di cinque anni fa. Il successo del partito della premier Giorgia Meloni dovrebbe peraltro compensare le emorragie che ci si aspetta in Polonia dal partito ultracattolico Diritto e giustizia (PiS), l’alleato di ferro di Fratelli d’Italia che ha recentemente perso il potere a Varsavia, dove ora governa la coalizione europeista di Donald Tusk.
L’onda lunga della storica vittoria di Geert Wilders dovrebbe invece farsi ancora sentire nei Paesi Bassi, dove il suo partito anti-immigrazione (Pvv), alleato della Lega di Matteo Salvini, si aggira sul 30% e dovrebbe diventare la più grossa delegazione olandese al Parlamento europeo.
Infine, l’estrema destra tedesca continua la sua avanzata, con Alternative für Deutschland (AfD) accreditata di un solido 17%, 6 punti percentuali in più rispetto alle europee del 2019 che le varrebbero il secondo posto a livello federale (in alcuni Länder orientali l’AfD è il primo partito nei sondaggi). Uno sviluppo che sta agitando non poco gli altri elettori, come dimostrano le piazze sempre più gremite di manifestanti che chiedono di bandire il partito neonazista dall’arco costituzionale.
Giova tuttavia ricordare che le destre europee non sono tutte uguali e non vanno neanche troppo d’accordo tra loro. Ci sono sensibilità diverse all’interno di ogni Paese e tra i vari Stati membri rispetto a molti temi chiave: su tutti, almeno in questa fase storica, il posizionamento nei confronti della Russia di Vladimir Putin.
Così, ad esempio, i polacchi del PiS, che insieme ai colleghi baltici e scandinavi sono profondamente ostili a Mosca per ragioni storiche, sono scettici circa un’alleanza con gli ungheresi di Fidesz e i tedeschi dell’AfD, data la loro vicinanza all’uomo forte del Cremlino. Ma tra i punti di disaccordo tra le delegazioni nazionali ci sono anche i diritti civili, le questioni fiscali e quelle ambientali, per citarne solo alcuni.
Del resto, le distanze si misurano anche nei posizionamenti reciproci in questa campagna elettorale, perché quello di giugno sarà un derby tra i due gruppi di destra dell’Europarlamento: i Conservatori e riformisti (Ecr), presieduti da Meloni (il cui azionista di maggioranza è il PiS), e Identità e democrazia (Id), il cui capogruppo a Strasburgo è il leghista Marco Zanni (e dove il Carroccio siede insieme al Rn e all’AfD). Il primo gruppo conta attualmente 67 deputati, il secondo 59: la sfida sarà dunque per il terzo posto (dietro a Popolari e Socialisti), con le proiezioni che danno Id in vantaggio di almeno una decina di seggi.
Oltre alle divisioni interne, a complicare ulteriormente i sogni di gloria della destra europea ci sono le strategie di contenimento delle forze politiche più moderate, che da decenni stanno tenendo in piedi quello che loro stesse definiscono un cordone sanitario contro la destra radicale. Socialisti, liberali e Verdi sono per costituzione allergici a questi partiti, ma una certa opposizione arriva anche dai cristiano-democratici del centro-destra.
I Popolari (Ppe), che saranno ancora la prima forza politica all’Eurocamera, stanno ripetendo da mesi che non intendono condividere la responsabilità del governo europeo con gli “estremisti” dell’Id e soprattutto con l’AfD, il più impresentabile tra gli alleati di Matteo Salvini. Talmente impresentabile che persino madame Le Pen la vorrebbe scaricare, per provare a ripulire l’immagine dell’intero gruppo nell’ottica di un sostegno (interno o esterno) ad un’eventuale maggioranza alternativa, che vada dai liberali di Renew ai sovranisti di Id, passando per Popolari e Conservatori.
Anche Fidesz, il partito del premier ungherese Viktor Orbán, sembra una sorta di pecora nera: dopo la fuoriuscita dal Ppe nel 2021 è finito nel gruppo dei non iscritti, ma da tempo starebbe lavorando per entrare nell’Ecr, dove lo accoglierebbero di buon grado tanto gli italiani di FdI quanto i polacchi del PiS. Ma anche in questo caso c’è chi dice no: sono i Democratici svedesi, che hanno minacciato di abbandonare il gruppo se dovesse entrare la delegazione magiara. Un’ostilità che si spiega anche con il ritardo del parlamento di Budapest, controllato proprio da Fidesz, nell’approvare l’ingresso formale di Stoccolma nell’Alleanza.
Insomma, la destra continentale ingrosserà le proprie fila alle prossime europee, ed è piuttosto pacifico che alla crescita di Ecr e Id corrisponderà una flessione dei consensi per i liberali di Renew e i Verdi, che sono attualmente il terzo e quarto gruppo dell’Aula ma potrebbero finire relegati in quarta e addirittura sesta posizione. Appare però ancora difficile pensare ad una maggioranza alternativa alla “grande coalizione” centrista ed europeista che, per quanto in crisi, guida l’Unione da decenni, e che è attualmente formata da popolari, socialisti e liberali con l’appoggio esterno degli ecologisti.
Tuttavia, il peso maggiore di conservatori e sovranisti potrebbe influenzare anche indirettamente la politica europea, come già avvenuto, ad esempio, con il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo o con alcuni sviluppi della politica agricola e ambientale del blocco. In questo senso, alcuni osservatori sostengono che l’estrema destra non avrebbe bisogno di vincere le elezioni per vincere, dato che il centro-destra finisce spesso per combattere le sue battaglie nella paura di perdere voti (che poi, solitamente, perde davvero).
Quanto sarà marcato questo spostamento a destra del baricentro politico delle istituzioni comunitarie si vedrà già dalle nomine che seguiranno il voto di giugno, a partire da quella del futuro capo della Commissione europea: Ursula von der Leyen (Ppe), che dovrebbe candidarsi per un secondo mandato, è invisa ai Conservatori, i quali potrebbero reclamare il loro posto al tavolo dei negoziati in cambio di un appoggio esterno nella prossima legislatura. Per ora i giocatori tengono coperte le loro carte, ma la partita è appena cominciata.
Nell’immagine: l’orientamento politico dei Paesi europei a fine 2023 (toni rossi: sinistra; grigio: centro; toni blu: destra. La più a destra è l’Italia)
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