Di Claudia Fanti, Micromega
Era stata il bersaglio di tutti gli attacchi di Javier Milei in campagna elettorale: la famigerata “casta”. Sarebbe stata questa, prometteva El loco, a pagare le politiche di aggiustamento del suo governo, non certo la classe lavoratrice. E la popolazione argentina, impoverita e arrabbiata, a questa inverosimile promessa aveva deciso di credere, vedendo nel candidato anarco-capitalista una chance, per quanto disperata, per il Paese.
Il risveglio, però, non ha tardato ad arrivare: non solo l’odiata casta ha mantenuto salda la presa sul nuovo governo, ma le misure emanate da Milei sono destinate tutte a beneficiare i soliti potenti. Non a caso i più grandi imprenditori del Paese, riuniti nell’Asociación empresaria argentina, avevano tributato applausi convinti al mega-decreto di necessità e urgenza (Dnu) sulla deregulation e le privatizzazioni entrato in vigore il 29 dicembre – con la modifica o abolizione di più di 300 leggi relative a diversi settori dell’economia – parlando di «un’occasione storica».
«Apprezziamo in maniera particolare – recitava il loro comunicato – che il governo adotti misure rivolte a consentire il più pieno sviluppo del settore privato, sottomesso per anni a ingerenze statali indebite, a controlli dei prezzi, a un’elevatissima pressione tributaria, a restrizioni arbitrarie in materia di commercio estero e a minacce come la legge sull’approvvigionamento» (quella, derogata dal decreto, che assicura quote di beni al mercato interno).
Alle prese con una crisi sociale asfissiante, con un’inflazione brutale, con l’aumento incessante del costo della vita, con l’impossibilità di pagare affitti sempre più cari, il popolo argentino – metà del quale arriva a fatica alla fine del mese, mentre un terzo neppure ci riesce – dovrebbe tuttavia dormire sonni tranquilli: Milei ha già garantito che due terzi dei progressi promossi dalle sue attuali politiche si renderanno visibili fra 15 anni. Per quell’epoca, ha detto, la popolazione godrà di un «reddito pro-capite 10 volte più alto» e l’Argentina sarà diventata uno «dei Paesi più ricchi del mondo».
Intanto, però, dopo soli 45 giorni dall’insediamento, Milei ha già dovuto far fronte a uno sciopero generale: un record che difficilmente qualcuno riuscirà a togliergli. Neppure Fernando de la Rúa, che aveva dovuto affrontarlo dopo tre mesi (e si sa come poi sia finita), era riuscito a fare meglio.
Un record legato al programma di aggiustamento portato avanti dal presidente con una brutalità di cui nessuno era stato finora capace, al punto da spingere la Cgt – quella Confederación general del trabajo rimasta inerte per quattro anni di fronte all’impoverimento crescente dalla popolazione argentina – a convocare per il 24 gennaio scorso un paro general di 12 ore. […]
Lo sciopero, ha tuonato la Ministra Bullrich, è stato promosso da «sindacalisti mafiosi, amministratori della povertà, giudici complici e politici corrotti, tutti a difendere i propri privilegi contro il cambiamento deciso democraticamente dalla società». «Non c’è sciopero che ci fermi, non c’è minaccia che ci intimorisca», aveva aggiunto la Ministra, che, alla faccia della «libertà che avanza», di minacce (ai manifestanti) ne aveva rivolte a più non posso, attraverso il suo sempre più repressivo e ricattatorio «protocollo anti-picchetto» per il mantenimento dell’ordine pubblico, a cui si era aggiunto l’annuncio di una trattenuta sullo stipendio dei manifestanti corrispondente alla retribuzione giornaliera.
Una legge a misura della casta
Né lo sciopero né le denunce sono tuttavia bastate a fermare la legge. Il 2 febbraio, dopo 30 ore di caotica discussione, la minoranza di appena 38 deputati che sostiene Milei ha incassato – grazie al sostegno dell’«opposizione amichevole» di Ucr (radicali), Pro (dell’ex presidente Mauricio Macri), Hacemos Coalición Federal e Innovación – l’approvazione in generale da parte della Camera dei deputati della legge Omnibus, a cui ora seguirà l’esame di ognuno dei suoi 386 articoli (erano inizialmente 664), prima che la bozza venga inviata al Senato per ricevere il via libera definitivo.
Pur mantenendo sostanzialmente inalterata la sua sostanza, la legge, che assegna deleghe legislative all’esecutivo, prevede una radicale riforma dello Stato e dispone la privatizzazione delle aziende pubbliche, ha in realtà subìto man mano diversi tagli: dall’eliminazione dell’obbligo della richiesta di autorizzazione per riunioni anche di tre persone all’esclusione della compagnia petrolifera statale YPF dalla lista delle imprese da privatizzare, fino alla proposta di un forte ridimensionamento della dichiarazione di emergenza pubblica: non più fino al 31 dicembre 2025, con possibilità di proroga per altri due anni – in maniera così da assicurare a Milei facoltà legislative straordinarie per l’intera durata del mandato – ma solo per un anno, con possibile proroga per altri 365 giorni.
E ulteriori concessioni sono state fatte dopo vari giorni di complesse e faticose trattative con il settore dell’opposizione disposto al dialogo, con il ritiro dei capitoli relativi alla riforma fiscale e al meccanismo di aggiornamento delle pensioni, oltre alla riduzione – da 40 a 27 – del numero di imprese da privatizzare. Intorno alle quali si stanno già aggirando gli squali: come Larry Fink, il presidente del colosso finanziario BlackRock, che ha espresso l’intenzione di comprare imprese dello Stato e che a tal fine visiterà a maggio l’Argentina.
Qualche modifica, ma del tutto insufficiente, è stata apportata anche al capitolo ambientale della legge, che tuttavia le organizzazioni ecologiste vorrebbero fosse eliminato del tutto: restano, infatti, misure devastanti come il via libera allo sfruttamento minerario nelle aree periglaciali.
«La storia ricorderà con onore tutti quelli che hanno compreso il contesto storico e hanno scelto di chiudere con i privilegi della casta e della repubblica corporativa a favore del popolo, che è stato impoverito e affamato per anni dalla classe politica», ha dichiarato Milei in una nota emessa sul profilo X della presidenza.
Ancora, dunque, il discorso anti-casta, ma ormai irrimediabilmente spuntato di fronte agli evidenti regali concessi all’élite. «Ogni articolo della legge omnibus ha il nome di una lobby imprenditoriale o di una richiesta del Fmi», aveva non a caso denunciato la deputata del Frente de Izquierda Myriam Bregman. […]
Milei in Italia
Per i non pochi ammiratori di Milei c’è intanto una buona notizia: come ha annunciato la Ministra degli Esteri Diana Mondino, il presidente sarà in visita in Italia a partire da oggi, domenica 11 febbraio. E non vedrà solo il Papa, a cui, già lo scorso 11 gennaio, con una lettera ufficiale, aveva rivolto l’invito a visitare il Paese dopo avergli dato dell’emissario di Satana. «L’Italia ci può dare molto, oltre a quello che ci ha dato negli ultimi 150 anni. Il suo posto nell’Unione Europea è importante e per noi può rappresentare una porta d’ingresso nel blocco, con tutto quello che ne consegue», ha dichiarato la Ministra, scelta da Milei per realizzare una drastica virata alle relazioni internazionali dell’Argentina, nel segno dell’amicizia prioritaria con Stati Uniti e Israele.
Nell’immagine: lo sciopero generale del 24 gennaio scorso