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Di Cosimo Palleschi, L’Espresso

«Noi, le forze di difesa e di sicurezza abbiamo deciso di porre fine al regime che conoscete. Ciò segue il continuo deterioramento della situazione della sicurezza e la scarsa governance economica e sociale». Con queste parole alle tv locali, un gruppo di militari nigerini del Consiglio nazionale della salvaguardia della Patria hanno annunciato alla nazione la destituzione, avvenuta il 26 luglio scorso, del presidente Mohamed Bazoum, lo scioglimento della Costituzione, la chiusura dei confini e il coprifuoco notturno. Si tratta del settimo colpo di Stato in Africa centrale dal 2020. Questa volta, però, è avvenuto in un Paese, il Niger, dove era in atto una transizione democratica, ritenuto da più parti l’unico argine per la democrazia nel Sahel. Infatti, dopo il decennio 2011-2021 di governo di Mahamadou Issoufou, era stato eletto il filo-occidentale Bazoum. Il maggior indiziato per l’organizzazione del colpo di Stato sembra essere il capo della guardia presidenziale Omar Tchiani, fedelissimo dell’ex presidente Issoufou, che Bazoum voleva rimuovere dall’incarico. 

Il Niger, Paese di 25 milioni di abitanti, tra i più poveri al mondo (ultimo su 189 Paesi nelle classifiche di sviluppo e qualità della vita), senza sbocco al mare e fortemente dipendente dagli aiuti internazionali, è fondamentale nello scacchiere geopolitico e strategico non solo centro-africano, ma globale. In primis, per la sua immensa ricchezza di materie prime. È il quarto produttore mondiale di uranio, risorsa necessaria per la produzione di energia nucleare. Non è un caso se nel 2013 per combattere i terroristi islamisti l’allora presidente francese Hollande aveva schierato migliaia di militari nel Sahel, in particolare in Niger e Mali. L’ex inquilino dell’Eliseo, oltre che sconfiggere i jihadisti, intendeva difendere gli interessi economici nazionali, dato che nel paese nigerino l’azienda francese Orano estraeva e estrae tuttora circa il 30% dell’uranio utilizzato dalle centrali nucleari d’Oltralpe. 

La stessa Unione Europea, nel complesso, importa dal Niger circa il 20% del suo fabbisogno di uranio. Nel Paese, da oltre un decennio, come nel resto dell’Africa, la Cina sta ampliando la propria penetrazione economica, sfruttando anche il progressivo disimpegno dei Paesi europei e degli Usa. I principali interessi di Pechino sono le infrastrutture e le materie prime. Per questo dal 2011 la China national nuclear corporation estrae uranio in Niger cercando di scalfire il monopolio francese. Oltre all’uranio, la Cina ha messo gli occhi anche sulla nascente e potenzialmente molto prolifica industria petrolifera nigerina. Secondo le stime del governo locale, il Niger è seduto su oltre 2 miliardi di riserve di barili di petrolio e ha pianificato di incrementare la produzione dagli attuali 20 mila barili di petrolio il giorno a 110 mila barili il giorno entro la fine del 2023. 

La China petroleum corporation si è accreditata come partner del governo di Niamey per raggiungere questi ambiziosi obiettivi e sta costruendo uno dei maggiori oleodotti africani, che servirà per trasportare il nuovo petrolio nigerino verso i porti del Benin. Perdipiù, il Niger è fondamentale come Paese di passaggio dei migranti africani verso l’Europa. Medici senza Frontiere ha stimato che circa un migrante su cinque in partenza per le coste europee passi da qui. Nel 2019 la Caritas aveva calcolato come in Niger vi fossero circa 300 mila migranti pronti a partire per l’Europa. Il controllo dei flussi migratori è anche uno dei principali motivi di attenzione da parte del governo italiano nei confronti del Niger. Questo spiega perché nel Paese c’erano circa 300 militari italiani, che insieme a 1.500 francesi, hanno svolto compiti di addestramento e formazione dell’esercito locale. Il recente colpo di Stato ha completamente stravolto lo scenario. 

Un governo militare al posto di un governo democratico filo-occidentale potrebbe avvicinare il Paese ad organizzazioni paramilitari come la Wagner. Quest’ultima ha già sostituito la presenza militare francese nei confinanti Mali e Burkina Faso, proprio a seguito di due colpi di Stato militari. I golpisti nigerini, perciò, potrebbero ricorrere all’aiuto dei mercenari Wagner per ristabilire l’ordine nel Paese ed espellere le truppe occidentali, trascinando tutto il Sahel in una ulteriore spirale di instabilità e violenze. La Wagner, infiltrandosi anche in Niger, controllerebbe così tutti i Paesi dell’arco centro-africano. La conseguenza immediata potrebbe essere un aumento vertiginoso di migranti verso le coste tunisine e libiche, mettendo pressione su due Paesi già fragili a livello politico e sociale. Un’altra conseguenza potrebbe essere il blocco delle forniture di materie prime critiche, come l’uranio. Un forte aumento del prezzo dell’uranio stesso avrebbe un impatto rilevante sulle fragili politiche energetiche europee. 

Il golpe in Niger pone nuovamente l’attenzione su un continente, quello africano, erroneamente dimenticato dalle cancellerie occidentali, che negli ultimi anni hanno lasciato l’iniziativa economica alla Cina e quella militare alla Russia, tramite la Wagner. Rimettere l’Africa al centro delle strategie di politica estera è stato il mantra fin dall’inizio del governo Meloni e dovrà esserlo anche degli Usa e della Ue. Controllo delle materie prime, immigrazione, sicurezza e stabilità politica africana sono priorità da cui dipende non solo il futuro del Niger o del Sahel, ma anche il nostro. 

Nell’immagine: una miniera di uranio in Niger






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