Perché le grandi potenze si fanno la guerra
“Tutte le grandi potenze ignorano gli scrupoli quando ritengono che siano in gioco i loro interessi vitali”
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“Tutte le grandi potenze ignorano gli scrupoli quando ritengono che siano in gioco i loro interessi vitali”
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“Tutte le grandi potenze ignorano gli scrupoli quando ritengono che siano in gioco i loro interessi vitali”
È quanto spiega John Mearsheimer, professore di scienze politiche all’Università di Chicago, su Le Monde diplomatique, che presenta l’articolo come “analisi censurata dai media occidentali”. La teoria realista, o Realpolitik, si può far risalire a Niccolò Machiavelli che nel Principe (1513) sosteneva che lo scopo di chi governa è il conseguimento e il mantenimento del potere, indipendentemente da questioni morali o religiose. Nella teoria realista la guerra rappresenta uno strumento di governo al pari di altri, al quale gli Stati ricorrono per consolidare la loro posizione strategica – afferma Mearsheimer – che cita la famosa frase di Carl von Clausewitz, il quale definiva la guerra “semplice continuazione della politica sotto altre forme”.
In mancanza di un’autorità suprema, gli Stati si confrontano secondo rapporti di forza, perché ogni Stato mira ad essere più forte. In sostanza, i realisti ritengono che non sia importante la natura dei regimi, democratici o autocratici, fascisti o comunisti, perché ognuno si muove per garantirsi il potere. Un potere che è insito nella natura umana, come ha sostenuto il giurista americano Hans Morgenthau, secondo cui i dirigenti politici sono mossi da un animus dominandi.
Non è vero che “le democrazie liberali sono inclini a mantenere la pace – afferma Mearsheimer – mentre i regimi autoritari sarebbero i principali fautori delle guerre”. Infatti, è difficile contestare che gli Stati Uniti hanno agito per lo più secondo la teoria realista. L’autore fa la lista degli autocrati sostenuti dagli Stati Uniti nel periodo della guerra fredda: Chiang Kai – Shek in Cina, Rhee Syngman in Corea del sud, lo Scià Reza Pahlavi in Iran, Mobuto Sese Seko in Zaire, Anastasio Somoza in Nicaragua e Augusto Pinochet in Cile. Poi, gli Stati Uniti hanno violato il diritto internazionale quando hanno attaccato la Jugoslavia nel 1999 e l’Iraq nel 2003, hanno fomentato una guerra civile in Nicaragua negli anni ottanta e invaso l’Afghanistan nel 2001.
Regola aurea realista: “Tutte le grandi potenze ignorano gli scrupoli quando ritengono che siano in gioco i loro interessi vitali”. Si giustificano secondo la teoria liberale e secondo i valori occidentali, tanto declamati, questi atteggiamenti della grande potenza americana?
L’obiettivo proclamato della geopolitica liberale – afferma il professore – consiste nel diffondere la democrazia e il capitalismo il più ampiamente possibile. “Malgrado affermino di aborrire gli orrori della guerra, i promotori di una politica estera liberale non esitano a ricorrervi per soddisfare i loro ambiziosi obiettivi”. Così l’intervento USA in Iraq e la dottrina Bush si giustificavano con l’universalizzazione dei “valori” dell’Occidente.
Interessante osservare la contraddizione evidente in cui incorre l’approccio liberale in materia di politica estera. Da una parte si teorizza l’importanza della libertà di opinione (un “valore occidentale”) e la necessità di tollerare la diversità, dall’altra, nelle relazioni internazionali, si impone il proprio regime dappertutto. I liberali, – sostiene Mearsheimer – ritengono che il resto del mondo debba imitare l’Occidente e utilizzano ognuno dei mezzi di cui dispongono perché si vada in questa direzione”. Ma è una concezione perdente, perché gli Stati sono entità sovrane che si difendono dalle minacce che intaccano i loro interessi vitali.
Merita di essere analizzato secondo la dottrina realista anche il rapporto tra Stati Uniti e Cina. Negli anni novanta gli Stati Uniti erano la potenza dominante in un mondo unipolare, dopo la caduta del mondo bipolare nel 1991. In quegli anni la Casa Bianca ha aperto le braccia a Pechino, sostenendo la crescita economica della Cina e cercando di integrarla nella scena internazionale. Gli americani pensavano che la Cina arricchita potesse trasformarsi in democrazia liberale. Calcolo errato, perché Pechino ha finito per imitare la politica statunitense espansionista cercando di dominare in Asia e non solo. “Se i dirigenti americani avessero assunto una logica realista, – osserva Joseph Mearsheimer – avrebbero evitato di contribuire alla crescita cinese”. Ora gli Stati Uniti, di fronte a una Cina diventata potenza mondiale, cercano di applicare una politica di contenimento, sia sul piano militare che economico. Cosa succederà prossimamente a Taiwan? Tornerà a essere cinese o sarà protettorato statunitense?
Ed eccoci alla guerra in Ucraina. La teoria realista considera infondata l’analisi che attribuisce a Putin ambizioni imperiali che lo porterebbero a voler restaurare la Grande Russia. C’era chi sosteneva che Putin dopo l’Ucraina sarebbe arrivato a Lisbona. Basta guardare l’andamento di questo anno e mezzo di guerra per smontare questa teoria.
D’altra parte – afferma il professore di Chicago – “se è indiscutibile che la Russia ha attaccato l’Ucraina, non si può contestare il fatto che l’invasione è stata provocata dagli Stati Uniti e dai loro alleati europei, quando hanno deciso di fare dell’Ucraina un loro bastione al confine della Russia”. Questa tesi è condivisa da Papa Francesco che, come sappiamo, ha denunciato l’“abbaiare della NATO alle porte della Russia”.
Il nostro autore cita una nota dell’ambasciatore americano a Mosca inviata nel 2008 all’allora segretaria di Stato Condoleeza Rice, quando fu presa la decisione di accogliere l’Ucraina nella NATO: “L’entrata dell’Ucraina nella NATO costituisce la più accecante linea rossa per l’élite russa (e non solamente per Putin). Dopo più di due anni e mezzo di conversazioni con i leader russi, sto ancora cercando qualcuno che consideri l’adesione dell’Ucraina alla NATO come qualcosa di diverso di un attentato deliberato agli interessi russi”. Come noto, fu solo Angela Merkel che si distanziò da questa decisione, dicendo che per Putin fu “una dichiarazione di guerra”.
Dal punto di vista realista, la reazione di Mosca all’allargamento della NATO è esemplare. “La posizione russa in questo affare – osserva Mearsheimer – sembra ispirarsi alla dottrina Monroe, elaborata dagli Stati Uniti nel XIX secolo, che prevedeva che nessuna grande potenza fosse autorizzata a stazionare forze militari nelle loro vicinanze”. Per Mosca si tratta di una guerra di autodifesa e non di conquista. “Certo, l’Ucraina e i suoi vicini vedono le cose diversamente. Non si tratta qui di giustificare la guerra né di condannarla, solamente di spiegare le condizioni che ne hanno favorito l’innesco”.
Insomma, l’allargamento della NATO è un aspetto dell’egemonia liberale e questa espansione potrebbe portare a un disastro. L’Europa starebbe meglio se l’Occidente avesse seguito una logica realista. Per chi pensa che gli Stati Uniti siano i salvatori del mondo la dottrina realista è fumo negli occhi. Chi guarda con spirito critico alle relazioni internazionali, soprattutto dopo 18 mesi di guerra in Europa, può cominciare a interrogarsi sul senso della politica occidentale.
Francesco Sylos Labini, fisico italiano che legge le teorie realiste con i criteri della fisica, scrive: “Forse non c’è niente di nuovo sotto il Sole: il generale e storico ateniese Tucidide, nella sua Storia della guerra del Peloponneso, scrisse che ‘fu l’ascesa di Atene e la paura che questa incuteva a Sparta a rendere inevitabile la guerra’. Sembra che la storia si ripeta, ma questa volta una guerra mondiale potrebbe essere fatale per l’umanità. Trovare la strada per evitare la tragedia delle grandi potenze dovrebbe essere al centro dell’agenda pubblica e politica. Il primo passo sta proprio nel comprendere le cause di quello che avviene: per questo la guida di Mearsheimer è indispensabile”.
Nell’immagine: il summit della NATO a Vilnius nel luglio di quest’anno, che ha definito le condizioni per un ulteriore avvicinamento dell’Ucraina
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