La notte dell’Europa
Oggi, 9 maggio, è la giornata dell’Europa e mi chiedo cosa ci sia da festeggiare
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Oggi, 9 maggio, è la giornata dell’Europa e mi chiedo cosa ci sia da festeggiare
• – Redazione
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• – Redazione
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• – Redazione
Oggi, 9 maggio, è la giornata dell’Europa e mi chiedo cosa ci sia da festeggiare
È da trent’anni – da quando l’Occidente ha lasciato la Bosnia in balia di squallidi affaristi e criminali – che mi ostino a narrare l’Europa. Più la sento balcanizzarsi e più vedo sbiadire gli ideali dei padri fondatori, più si rafforza in me l’obbligo di invocare quel nome. Europa. Ho riempito teatri, accompagnato orchestre sinfoniche di giovani, esplorato monasteri, risalito fiumi e montagne dall’Atlantico al Caucaso, per poi scriverne, in prosa e persino in versi, ed evocare la grande utopia da cui l’attuale alleanza è nata dopo la seconda guerra mondiale.
A contatto col pubblico è stato sempre facile risvegliare l’amore per la grande madre comune, capace di affratellare le nazioni. La mancanza di risposta sta al vertice. Le istituzioni comunitarie non erano e non sono tuttora in grado di offrire una sponda al bisogno emozionale di appartenenza continentale. Nel mio errare da cantastorie di paese in paese ho sentito raramente la vicinanza del Palazzo. Bruxelles era troppo impantanata in grovigli di interessi, equilibrismi e trattative con le lobby, per capire l’importanza politica della narrativa.
Oggi, 9 maggio, è la giornata dell’Europa e mi chiedo cosa ci sia da festeggiare. Se guardo i vertici federali, la mia risposta è: niente. L’alleanza nella quale ho creduto, non è più la stessa. E’ come se mi affacciassi su una voragine da una precaria balaustra. Oltre, non vedo che il vuoto. Un vuoto etico, politico, strategico, diplomatico, narrativo, persino lessicale. La stessa parola “Europa” sembra essersi svuotata di significato. Sento che, come la bassa pressione nel meteo, quel vuoto di senso genera turbolenze e attira tempeste. Mostra una terra in balia degli elementi.
Certo, mai avrei immaginato che il mito della giovane principessa Europa rapita da Giove potesse essere tradito proprio da una femmina, una donna chiamata Ursula. Per restare al potere dopo il voto, la presidente della commissione ha già invitato al banchetto le forze sovraniste, favorite nei sondaggi; le stesse che sognano di svuotare l’Unione dall’interno per farne un’alleanza invertebrata. Con lei, la mia terra si è degradata a patrimonio barattato a scopo elettorale. Con Europa che assomiglia sempre di più a una bella donna decaduta, costretta a vendere il suo corpo a bordo strada.
L’Europa non ha solo nemici esterni, Putin o il radicalismo islamico. C’è anche il nostro crollo valoriale e la nostra apertura al liberismo più sfrenato. Big Food, Big Pharma, Big Chemical e i mercanti d’armi fanno ormai quello che vogliono in Europa. Orwell si è impossessato delle istituzioni. Scuola, sanità, trasporti collassano. La povertà aumenta, il welfare va in pezzi. Salvo la piccola Danimarca, l’immigrazione non trova risposte capaci di conciliare accoglienza e disciplina. I confini tra gli stati si richiudono. Il Mediterraneo diventa barriera. E la parola più tragica del secolo scorso – “nazione” – torna in auge per fare altri disastri.
Che bel sorriso materno ostenta nei manifesti la signora Von der Leyen. Quel sorriso non svela che, sotto il suo comando, gli uffici della Commissione, da strumento di consenso democratico, si sono trasformati in un bunker dove regna cieca obbedienza, dove è possibile trattare in segreto con le società farmaceutiche in materia di vaccini e persino depotenziare l’Antitrust, unico freno rimasto all’attuale voracità predatoria dell’economia. Ursula, che ha aperto il suo mandato rilanciando il Green Deal e ora lo conclude con la sua demolizione, facendo dell’Ue una banderuola. Ursula, soprannominata “presidente americana” per la sua acritica sudditanza alla Nato.
I salamelecchi fra la Presidente e i post-fascisti soprattutto italiani, nascondono la ricerca di un’alleanza fatale. Quella tra il cuore democristiano dell’Unione, legato alla tecnocrazia delle grandi corporation padrone dei mezzi di comunicazione, e un’ideologia storicamente spietata con i deboli, i poveri e i diversi. Gli stessi che l’economia del consumo scheda come “superflui” nella catena di produzione. Il ritorno delle nazioni, in cambio dell’egemonia dei McDonald’s.
E’ un patto di mutua convenienza. I poteri globali blandiscono i sovranismi per indebolire l’ultima roccaforte mondiale dei diritti e delle regole, togliere di mezzo un formidabile concorrente e ottenere anche qui mano libera nella razzia delle risorse e nell’uso di manodopera. Dal canto loro, i sovranismi si servono dei “social”, più efficaci di qualsiasi manganello, per convincere i popoli a una docile sottomissione, evocando complottismi e continue emergenze da stato d’assedio. Nuovamente un tradimento “al femminile”, giocato fra Marine Le Pen, Giorgia Meloni e la stessa Von der Leyen.
Sento un rullio crescente in questa notte dell’Europa. Sono i tamburi dell’etno-nazionalismo, le parole di odio che filtrano su tiktok e su facebook. I sovranismi hanno imparato con anticipo sulle altre forze politiche a servirsi del potere seduttivo della Rete. Hanno fatto proselitismo a partire dai minori, predicando l’ostilità al diverso e il bisogno di un capo supremo. Ma soprattutto hanno creato nella pubblica opinione l’idea di un inevitabile tramonto della democrazia, tanto da obbligare le forze moderate e persino l’inesistente sinistra a rincorrere i sovranisti sul piano del linguaggio. Domani, se anche la destra non dovesse vincere alle elezioni, la destra si ritroverebbe comunque vincitrice, sul piano del discorso e del pensiero medio.
Ipnotizzati da questa “estetica del tramonto”, i mass media continuano a sottovalutare i segnali di controtendenza. Che sono tanti, ma fanno poca notizia. Non si è parlato abbastanza dei tre milioni di tedeschi che hanno riempito le piazze per proclamarsi “barriera tagliafuoco” rispetto al ritorno dei nazismo, della formidabile riscossa elettorale dei polacchi contro il nazionalismo necrofilo che li ha dominati per anni, della rabbia dei giovani pacifisti manganellati o delle manifestazioni dei lavoratori contro lo sfruttamento della manodopera, lo smantellamento della sanità e del sistema pensionistico.
Non sappiamo ancora come andrà a finire. Molto dipende da come narreremo l’Europa. Gli intellettuali sono stati troppo zitti. Eppure, mai come in questo momento il loro compito è chiaro: difendere la parola dal balbettio barbarico che l’aggredisce. E’ stata la falsa alternativa fra “inglese” ed “europeo” a determinare Brexit. Sono state le parole dei media a spingere la Jugoslavia verso il baratro. E se oggi Russia e Ucraina rischiano di autodistruggersi in un conflitto senza fine, è anche perché manca nelle élite europee la capacità dialettica, o verbale, di tessere una mediazione. Per il nodo tremendo di Gaza il discorso non cambia.
A questo punto si tratta semplicemente di spiegare che il sovranismo è la strada più sicura per diventare vulnerabili, diventare terra di conquista delle multinazionali, e quindi perdere la sovranità. Ricordare che, causa i nazionalismi, l’Europa si è già suicidata due volte. E che, nel momento più buio, l’Inghilterra ha resistito alla valanga nazista grazie al discorso appassionato di un uomo solo, Winston Churchill. Si tratta di raccontare ai bambini quanto è fortunata, quanto verde è questa nostra terra, e quanta nostalgia scatena quando le si è lontani. Ripartire dal mito per ricostruire il sogno europeo.
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