Va in scena la protesta, si titola. Quasi fosse un teatro dell’assurdo. E, da buoni democratici (almeno quel tanto che basta ancora per distinguersi dai fascisti o da “quella sinistra dogmatica e sognatrice “e forse niente dai libertari che pullulano e dominano e hanno anticipato da parecchio tempo l’argentino Milei e la “chimera del fascismo liberale”) non si può fare a meno di dire, quasi rassegnati – dal presidente del governo via via discendendo – che è un diritto
sacrosanto manifestare, facoltà riconosciuta dalla Costituzione federale (dimenticando, chissà perché, quella cantonale, art.8).
Comunque, ci si premura subito di precisare, si dovrebbe avere contro il popolo che, con il 56.9 per cento dei votanti, ha deciso che la spesa cantonale è da contenere “agendo prioritariamente sulle uscite e senza aumentare le entrate”. Insomma, il decreto Morisoli, che incombe sempre come la “motosega” brandita dall’argentino Milei nella sua campagna elettorale. E che, ancora una volta, è colpa della sinistra (che manca di autocritica) perché “ha trasformato un decreto parlamentare formato topolino in un elefante con l’avallo popolare” (tradotto: se la sinistra stava zitta e non promoveva un referendum – benché sia un diritto costituzionale – non saremmo giunti a tanto). State zitti e tutto gira al tondo.
Tagli e morale
È una questione di tagli, quindi. Agli enti sussidiati dallo Stato, come ospedali, enti sociosanitari ed educativi, alle casse malati; ai salari dei dipendenti pubblici, poi, che è sempre la via più spiccia e “popolare”. È una questione di giustizia sociale, evidentissima. Di cui, prima ancora del contenuto (di quanto si toglie), bisognerebbe considerare la natura. E la questione di giustizia sociale è (principalmente) di natura morale.
È vero: si sostiene e si è anche ammesso implicitamente (voto popolare) che le esigenze morali vanno sottoposte ad una costrizione di fattibilità. Si dice quindi che “dovere implica potere”. I difensori dell’approccio realista in politica (decreto Morisoli) sostengono dunque che ciò che dovrebbe essere compiuto sul piano politico deve attenersi a ciò che è possibile riuscire a compiere sul piano pratico: mancano i mezzi finanziari, chiusa la bottega.
È un atteggiamento politico non solo indifendibile, ma anche immorale. Perché si confonde, facilmente, non senza astuzia demagogica (ovviamente puntando soprattutto sui salari dei dipendenti statali, sugli “uffici inutili” e relativa burocrazia) ciò che è possibile (e quindi esigibile), anche se di probabilità difficoltosa, con l’impossibile.
L’autodannazione
È difficile resistere all’idea che una giustizia “promettente”, di cui i requisiti sono realizzabili, è preferibile a una giustizia senza speranza, senza mezzi per concretarla. È però un grosso errore. Ciò che è moralmente aberrante è optare per norme differenti, con tagli, limitando sussidi, finanziamenti e operosità (nel campo sociale, sanitario, nella scuola) per la semplice ragione…che hanno più probabilità di essere applicate o di riuscire a far quadrare il cerchio. Ed è un profondo errore, perché la giustizia è una norma morale, non può limitarsi a una strategia contabile. Le nostre preoccupazioni in materia di giustizia, poi, hanno tanto più valore morale quanto migliore è la comprensione di ciò che la giustizia esige.
E così si dimentica che la giustizia sociale, impersonata dallo Stato sociale e dal suo sviluppo, è indissociabile dal contesto storico che l’ha vista nascere (e sempre lo si dimentica in Ticino); ch’essa ha contributo e contribuisce a creare ed anche consolidare gli obiettivi di quella struttura economica che ne condiziona il suo finanziamento ed è quindi un conto di dare per avere.
E si dimentica pure che la protezione sociale, nella sua interezza, ha dovuto ampiamente prendersi carico dei danni causati dalla crescita economica e dal suo produttivismo, sulle crescenti ineguaglianze sociali. Forse politica e governo dovrebbero chiedersi, prima di tutto, perché continuiamo ad avere in Ticino uno dei tassi di povertà e di indebitamento domestico più elevati della Svizzera.
Uno Stato che dimentica tutto questo e si fa quindi “immorale” nella sua politica, costruisce la dannazione di sé stesso. Ed anche, e qui sta la grande contraddizione, della sua economia.
Nell’immagine: un momento della manifestazione di Bellinzona