Bad-Godesberg e la «vera» socialdemocrazia
L’affermazione di Amalia Mirante non regge all’analisi storica
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L’affermazione di Amalia Mirante non regge all’analisi storica
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L’affermazione di Amalia Mirante non regge all’analisi storica
A pochi giorni dal Congresso del partito socialista ticinese, Amalia Mirante, in una intervista rilasciata al «Corriere del Ticino», ha rivendicato di riconoscersi «nei metodi della vera socialdemocrazia svizzera ed europea» (il corsivo è mio). Ed ha precisato: «Da Bad Godesberg in poi si sa benissimo cos’è la socialdemocrazia».
Pur tenendo conto che queste affermazioni sono state fatte nel contesto di una battaglia politica interna al PS, questione sulla quale chi scrive non intende assolutamente intervenire, e che, dunque, scontano una qualche accentuazione propagandistica, si tratta pur sempre di una chiarissima professione di identità socialdemocratica. Anzi di vera identità socialdemocratica.
La dott.ssa Mirante è una studiosa professionale e, giustamente, sottolinea spesso tale dimensione del suo lavoro. Una delle caratteristiche della socialdemocrazia storica è sempre stata quella di tenere ben stretta l’elaborazione storico/teorica a quella delle scelte politiche.
No so se si tratti di un carattere distintivo della vera socialdemocrazia, anzi ho difficoltà a definire il tasso di verità in fenomeni storico-politici di lunga durata.
Studio le culture economiche del socialismo da qualche decennio, quindi anche di quell’oggetto poliforme che chiamiamo «marxismo», eppure non so davvero in che cosa consista il vero «marxismo». Oggetti-universo, come «marxismo, socialdemocrazia»… sono definibili solo come storicamente determinati.
La socialdemocrazia europea, di cui lo svolgimento tramite i lineamenti paradigmatici della SPD è aspetto essenziale, ha dietro di sé più di un secolo e mezzo di storia. È possibile che la socialdemocrazia sia diventata vera solo a partire dagli anni Ottanta del Novecento, dal new labour di Blair e dalla neue mitte di Schröder?.
Mirante la definisce vera a partire da Bad Godesberg. L’analisi storica, invero, ci mostra una diversa realtà
Il Bad Godesberg Grundsatzprogramm non è assolutamente inseribile nella temperie in cui lo colloca Mirante nel programma del 1959, vista la peculiarità della situazione tedesca, il silenzio su Marx è scontato. La figura di Marx campeggia sulle insegne del nemico, ed il clima è quello nell’ambito del quale, appena due anni dopo, verrà edificato il muro di Berlino. Il Programma, però, al di là delle necessarie vaghezze «filosofiche» sulle quali si basa assai spesso il giudizio odierno, è estremamente chiaro per quel che concerne l’idea di società della SPD ed i compiti che la socialdemocrazia intende assumersi. Per i socialdemocratici tedeschi nel 1959 le tendenze in atto nel mercato autoregolato portano a una concentrazione economica che si accompagna ad una concentrazione del potere politico, del «potere sugli uomini». La proprietà privata dei mezzi di produzione «ha diritto ad essere protetta» ma solo «fintanto che essa non ostacola la costruzione di un ordine sociale giusto». Compito della socialdemocrazia è quello di «impedire il controllo privato del mercato», e dunque, a tal fine «la proprietà collettiva è una forma legittima di controllo pubblico». Tutto questo per un obbiettivo di società in cui «da subalterno dell’economia, il lavoratore [si trasformi] in cittadino dell’economia».
Un’attenzione particolare alla terminologia usata è essenziale per comprenderne i caratteri. In tale ambito parole come emancipazione (Emanzipation) si collegano ad altri termini come alienazione (Entfremdung), bisogno (Bedürfnis), critica (Kritik), Un lessico che connette il concetto di liberazione / emancipazione alla necessità di superare «la tensione e la contraddizione fra l’eguaglianza nel cielo del citoyen e l’ineguaglianza sulla terra del bourgeois» (S. Veca). E quindi alludono alla necessità di processi di modificazione radicale della società (modi di produzione e distribuzione, democrazia reale, ecc.). I soli che possono trasformare le realizzazioni astratte in concreto «recupero dell’uomo» alla propria umanità. Per i socialdemocratici del Grundsatzprogramm questo è un compito storico, vale a dire il fine da perseguire per tutta l’epoca storica in cui tali tensioni e contraddizioni prevalgono.
Naturalmente si può sostenere che a partire dagli anni Ottanta si sia entrati in una nuova epoca, e che la socialdemocrazia vera sia quella che butta a mare le categorie storico-teoriche di un’epoca precedente, ben comprese anche quelle del programma di Bad Godesberg. È difficile che tale tesi possa reggere ad analisi storica. Un nuovo ciclo di accumulazione fondamentalmente diverso da quello precedente è, certo, nei suoi aspetti sostanziali, un «nuovo» capitalismo. Ma ciò non implica un mutamento di epoca.
Nella fase del «capitale totale» che stiamo attraversando, senza riferimenti alla «critica dell’economia politica» lo sguardo non può che posarsi solo sulla superficie dei fenomeni in atto.
Una fase in cui, come recita il titolo di un acuto editoriale di Silvano Toppi (laRegione, 17 novembre 2019), Il capitalismo è in forma. E il mondo?
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