La sinistra ha vergogna dell’intelligenza?
Il paradosso della sinistra e la mente democratica
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Il paradosso della sinistra e la mente democratica
• – Silvano Toppi
• – Franco Cavani
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• – Redazione
Il Primo Pilastro (AVS) batte 9 a 0 il Secondo Pilastro (PP o Casse pensioni)
• – Delta Geiler Caroli
Molte delle cose che avvengono online sono “vere” come quelle che avvengono nel mondo fisico. E talvolta altrettanto dolorose
• – Redazione
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• – Redazione
Quanto occorrerà attendere prima che qualcuno riesca a fare davvero qualcosa in favore degli uiguri?
• – Loretta Dalpozzo
Nizza e Manor, due casi simili nella commistione fra disagio psichico e (forse presunto) radicalismo religioso
• – Roberto Antonini
• – Franco Cavani
Un affettuoso ricordo di Pierre Casè, a pochi giorni dalla scomparsa dell’artista
• – Martino Giovanettina
Il paradosso della sinistra e la mente democratica
È tornato spesso, su queste pagine, il discorso su ciò che sta capitando o non capitando in quell’area politica che potremmo definire, genericamente, per intenderci, sinistra ticinese. Ad uno che per professione ha sempre seguito la politica, dall’esterno, non dentro gli schieramenti, pare l’eterno arrotarsi su sé stessi, in cerca di una differenza dall’altro o delle pretese carenze da rimproverargli. Valutando il risultato dell’osservazione con l’intensità di imbarazzo che si provoca (dimenticando che l’imbarazzo non è mai singolo, è binario); discutendo quindi più del contenente (o del contendente, del posto da occupare) che del contenuto; ignorando, come diceva un antico principio della logica, che il contenuto assume sempre la forma del contenente; rimobilitando anche un antico brutto vezzo cantonticinese (sin dal Franscini, che ne fu vittima), mai caduto in disuso e ormai dilagato nell’era dei “social media”, l’anonimato: forse anche perché si continua a ritenere che un anonimo… è più di un singolo; mancando poi sempre, infine, di una visione più ampia, anche utopistica, che sappia far lievitare idee e soluzioni, invece di agganciarsi come molluschi alle solite inerti pietre di inciampo che nessuno riesce più a smuovere.
Fatta questa premessa, va aggiunto che ci sono forse tre cose che non si considerano o si sottovalutano: il paradosso di sinistra, la fragilità democratica nella sinistra, il credere nell’intelligenza.
Questi nostri tempi sono di destra, le soluzioni sono di sinistra: che la sinistra, tutta la sinistra, sembra ignorarlo o rimanga con questa constatazione come irretita e imbambolata, è il suo paradosso. Questi tempi vedono la destra preponderante perché si ha paura degli sconvolgimenti in corso, quelli geopolitici (con una o più guerre) o quelli economici, conseguenza (con la fine della “demondializzazione felice”, quella dei prezzi sempre più bassi). Persino di quelli climatici, ormai innegabili, sempre più catastrofici, anche se la destra li camuffa ora come pretesto per la “dittatura ecologica”, ritenuta ovviamente di sinistra, perché è a sinistra e non a destra che si propongono improrogabili cambiamenti, che sconvolgono la destra.
Sconvolgimenti che favoriscono il ritirarsi in casa propria, il ripristinare frontiere, rimettere barriere protezionistiche, armarsi e spendere più soldi per l’esercito, rendere il nazionalismo (il patriottismo) o il sovranismo, divenuti sinonimi di identità, differenza, dignità, e salvaguardia della democrazia, l’unica scelta culturale e politica possibile. O anche la strategia economica, sempre e solo bilaterale, per i buoni affari da salvare, con i condizionamenti che si possono subire, venduti come neutralità attiva.
Sono questi tempi così complessi e fragili da diventare il terreno ideale, come ha già insegnato la storia del secolo scorso, per l’ascesa delle estreme destre. Che possono riuscirci facilmente se riescono a soddisfare i desideri di ordine e di rassicurazione. Quanto sta succedendo in Italia, sempre ritenuta un laboratorio politico, è forse più emblematico che altrove.
Questi tempi sfidano o portano addirittura fuori asse la sinistra, area del cambiamento sociale, dell’universalismo, dell’equità, dell’apertura all’altro e alle novità, del non sfruttamento dell’uomo, che è esso stesso natura, e quindi del rapporto con tutta la natura, che è di vita prima che di uso e sfruttamento.
Questi tempi non sono di sinistra, ma paradossalmente la portata degli sconvolgimenti, che sono il concime della destre estreme, implica un tale bisogno di intervento dello Stato, e quindi di gettito fiscale, di lotta pronta e organizzata al riscaldamento del clima, di coesione sociale che esiga la riduzione delle diseguaglianze… che le soluzioni non possono più essere quelle di destra (o del neoliberismo), possono essere solo di sinistra.
Di questa sorta di paradosso le sinistre non sembrano rendersi conto. Se se ne rendessero conto non dovrebbero imbarazzarsi a vicenda nel discuterne, dovrebbero privilegiare le loro convergenze, non le loro divergenze. E non tanto per riuscire a governare assieme (gonfiando a dismisura e persino ridicolmente il problema della presenza o del chi in Consiglio di Stato), ma per difendere lo Stato previdenziale, per contrastare le dittature di fatto della destra; per la giustizia sociale, la libertà, per non temere mai l’apertura, non evitare il cambiamento, opporsi all’uso disumano e distruttivo del territorio, dell’ambiente, del pianeta; per combattere il servilismo o il vassallaggio politico, economico, militare rispetto ad ogni potenza, interna o esterna, anche quando torna comodo ai propri affari o a una pretesa sicurezza nazionale.
Per rendersi conto di questa sorta di paradosso della sinistra e della sua efficacia a tradurlo in risorsa politica è necessaria una mente democratica (come dice Massimo Recalcati, psicanalista, sul caso italiano, problema quasi analogo al nostro, in un articolo [riservato agli abbonati, ndr] apparso su “Repubblica”). Se una mente democratica funziona includendo e non escludendo, per integrazioni e non per scissioni, se lavora per cogliere la forza delle differenze senza pretendere di assimilarla ad un solo modello, considerati i fatti tra la sinistra ticinese, bisognerebbe concludere che da qualche parte c’è un manco… di mente democratica. Quali sono gli ostacoli che possono ingrippare una mente democratica? Aristocraticismo, pregiudizio, supponenza, arroganza, disprezzo nei confronti delle forze minori (sono i termini usati da Recalcati)? Forse, sotto sotto, c’è un po’ di tutto questo,unito ad una dose di narcisismo. Ritengo però che la deficienza di mente democratica stia ancora altrove.
Rispetto a quanto si diceva prima, essa consiste nel paradossale atteggiamento acronico (fuori dal tempo) della sinistra nel posporre la responsabilità che le spetta nella società, soprattutto in questo tempo, (cioè opporsi alla mareggiata di destra populista e feudataria nello stesso tempo); consiste nell’arroccamento sulle piccole differenze, l’ambizione di contare di più del proprio partner di sinistra, l’isterilimento delle idee perché non si riesce più a sottrarsi alle minutaglie locali, solo perché si ritiene di poterle far rendere elettoralisticamente, snobbando così le “grandi visioni” che sono invece le sole che possono dar anima e togliere dalla miseria della piccola politica.
È la persistente e sterile tentazione che corrompe anche i migliori, è il complesso dell’affidabilità o della critica di “non essere vicina alla ggente”.
Siamo anche in tempi in cui si ha vergogna dell’intelligenza. L’acronicità o il non sentire il tempo che corre è appunto anche conseguenza di un “pensiero globale” o di una visione coerente che è venuta a mancare alla sinistra, che è anche una rottura storica del suo continuum ideologico. (La gauche a-t-elle renoncé à l’intelligence? si interrogava qualche tempo fa “Le Monde”, tanto per dire che il problema è forse universale) È una incapacità a elaborare o anche solo a schizzare una visione di tempi lunghi, poiché si è prigionieri di troppe quisquilie interne o cantonali.
Chi osa dirlo sarà ovviamente tacciato di essere, appunto, “lontano dalla ggente”, sarà definito “intellettuale”, “accademico”. Ma non è forse grave rivelarsi troppo spesso incapaci o indolenti nell’oppore la coerenza di un pensiero strutturato e costruttivo al semplicismo estremo e violento, di violenza sociale, in ultima analisi nient’altro che distruttivo?
La sinistra non dovrebbe aver vergogna dell’intelligenza, dovrebbe finalmente cercare di parlare all’intelligenza dei cittadini; non è compito facile, ma solo qui si può fare la differerenza, andare controtempo, questa volta, perché solo così si saprà mostrare di credere nell’intelligenza delle persone e operare con essa, e non rassegnarsi a ciò che muove solo visceralmente o elettoralmente.
Anche perché solo in questo modo si può rivitalizzare la democrazia che può essere solo intelligenza: l’ignoranza porta altrove.
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