La strage di Hamas divide anche l’Africa
I tragici eventi in Medio Oriente hanno avuto un’eco anche in Africa, posizioni polarizzate non soltanto nel nord arabo del continente
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I tragici eventi in Medio Oriente hanno avuto un’eco anche in Africa, posizioni polarizzate non soltanto nel nord arabo del continente
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Il racconto autobiografico di Ida Hofmann (1864-1926), una delle ideatrici del Monte Verità in un libro pubblicato da Casagrande di Bellinzona che sarà presentato, in occasione dell’uscita in liberia, il prossimo 25 ottobre
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• – Redazione
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• – Aldo Sofia
I tragici eventi in Medio Oriente hanno avuto un’eco anche in Africa, posizioni polarizzate non soltanto nel nord arabo del continente
L’Unione africana ha espresso massima preoccupazione per lo scoppio delle ostilità israelo-palestinesi, che causano gravi conseguenze per la vita dei civili di entrambe le parti in particolare, e per la pace nella regione in generale. In un comunicato, il presidente della commissione dell’UA, Moussa Faki Mahamat, ha affermato che la negazione dei diritti fondamentali del popolo palestinese, nello specifico quello di uno Stato libero e sovrano a fianco di quello ebraico, è la causa principale della permanente tensione. Il presidente ha esortato urgentemente le due parti a porre fine allo scontro militare e a tornare incondizionatamente al tavolo dei negoziati per attuare “il principio di due Stati “. Moussa Faki ha inoltre invitato la comunità internazionale, soprattutto le grandi potenze mondiali, ad assumersi le proprie responsabilità per imporre la pace e garantire i diritti dei due popoli.
Il ministro degli Esteri del Togo – Paese che intrattiene strette relazioni con Israele – Robert Dussey, ha condannato fermamente l’attacco terroristico di Hamas contro i civili israeliani. Su X (ex Twitter), Dussey ha scritto: “Incoraggiamo Israele e Hamas a continuare il dialogo per risolvere le differenze. Chiediamo il rilascio degli ostaggi. La priorità è la pace in Israele, in Palestina e nella regione. Siamo dalla parte della pace”.
Simile la linea del Ghana, che aveva subito esortato i militanti di Hamas a ritirarsi immediatamente dal sud di Israele, dopo aver condannato gli attacchi da parte delle milizie jihadiste In una dichiarazione rilasciata domenica scorsa. il governo di Accrha invitato le due parti a cessare la violenza e a riprendere i colloqui. Occorre ricordare che il Ghana , come altre capitali del continente (Ciad, Tanzania, Senegal) collaborano con i servizi segreti israeliani per ricevere strumenti operativi contro l’attività e gli attacchi terroristici.
Anche Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda, già con una dichiarazione del 7 ottobre, ha anch’egli invitato le parti in conflitto alla soluzione dei “due Stati”, e si è rammaricato per le violenze, condannando, in particolare, la pratica di prendere di mira civili e non combattenti da parte dei belligeranti. Museveni aveva ospitato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, nel 2016 e nel 2020. Israele offre sostegno nel settore della sicurezza all’Uganda, avendo promosso sin dal 2019 incontri con i quadri dell’intelligence del paese. La cooperazione nel campo tecnologico non deve sorprendere. Al contrario, è una delle strategie che Israele sta utilizzando per espandersi nel continente africano.
Le forti relazioni con Israele emergono anche dalla dichiarazione rilasciata dal presidente del Kenya, William Ruto: “Il Kenya si unisce al resto del mondo in solidarietà con lo Stato di Israele e condanna inequivocabilmente il terrorismo e gli attacchi contro civili innocenti”. Il leader keniano ha invitato le parti in conflitto a cessare il fuoco, ed esortato la comunità internazionale ad agire contro “perpetratori, organizzatori, finanziatori, sponsor, sostenitori e facilitatori” di quelli che ha descritto come atti criminali di terrorismo, ingiustificabili indipendentemente dall’autore e dalle sue motivazioni.Lo storico kenyota Samuel Kiptoo ha affermato in un’intervista: “Qualunque cosa accada a Israele è di grande interesse per il Kenya come paese. Quando Nairobi fu attaccata nel 1998, gli israeliani furono tra i primi a presentarsi e a salvare le persone dalle macerie”.
Ma naturalmente legami ancora più stretti con Israele sono quelli intrattenuti dall’Egitto, che ha riconosciuto lo Stato ebraico con lo storico accordo e lo storico viaggio a Gerusalemme di Anwar El sadat, 46 anni fa. Il rais Abdel Fattah al-Sisi ha definito molto pericolosa l’escalation della guerra e ha cercato di porsi come mediatore. Ruolo tuttavia difficile da ritagliarsi, date le sue posizioni. Dopo il golpe del 2013 contro la maggioranza governativa formata dai Fratelli Musulmani, democraticamente eletti, l’Egitto di al-Sisi è apparso sempre più vicino a Tel Aviv. Per esempio, per favorire gli interessi israeliani nel Sinai; tra il 2013 e il 2020 l’esercito egiziano ha distrutto oltre 12 mila case, soprattutto nell’area di al-Arish; ha inoltre espropriato almeno 6 mila ettari di terreno, al prezzo di 100 mila sfollati interni, per la costruzione di due zone cuscinetto ad al-Arish e al valico di Rafah con Gaza.Non solo, le continue scoperte di gas nel Mediterraneo orientale hanno contribuito non poco al dialogo tra i due paesi. Nel gennaio 2020, Israele ha iniziato a esportare il suo gas in Egitto come parte di un accordo più generale che include la consegna, attraverso pipeline esistenti, di 85 miliardi di metri cubi di gas in 15 anni, per un valore totale stimato di 19 miliardi di dollari.
Nello stesso Magreb, nettamente filo palestinesi sono invece le posizioni di Algeria, Tunisia e Sudan. L’Algeria è stato il primo Paese – dopo l’Iran – ad aver preso una posizione chiara a sostegno dell’offensiva di Hamas, condannando unilateralmente lo Stato di Israele, considerato l’unico responsabile degli attacchi brutali e rivendicando il diritto dei palestinesi a combattere l’occupazione sionista. Anche il Sudan, sebbene criticato da Hamas per la sua partecipazione agli accordi di Abramo nel 2020, ha sostenuto esplicitamente l’organizzazione terrorista. “Il Sudan rinnova il suo sostegno ai legittimi diritti del popolo palestinese di avere un proprio Stato indipendente, e chiede un impegno a favore dell’applicazione delle decisioni internazionali e della protezione dei civili innocenti”, ha dichiarato il ministero sudanese degli Esteri. E ancora. Parole molte simili, in un certo senso anche più radicali, risuonano nel comunicato stampa della presidenza della Repubblica tunisina: “Il popolo palestinese ha il diritto di recuperare le proprie terre, al fine di fondare uno Stato indipendente con Gerusalemme capitale”.
Affermazioni forti che diventano ancor più esplicitamente critiche quando ad affermarle è uno stato come il Sudafrica. Il suo capo dello Stato, Cyril Ramaphosa, ha accusato Israele di occupare illegalmente la terra palestinese e di applicare altre politiche ritenute illegittime. Presa di posizione del presidente ulteriormente esplicitata dal portavoce nazionale del partito. Mahlengi Bhengu-Motsiri ha difeso le azioni di Hamas e invocato la duratura solidarietà tra l’African National Congress (ANC) e la causa palestinese. Il sostegno alla nazione palestinese è rimasto un elemento fermo della politica estera sudafricana da quando l’ANC è salito al potere nel 1994, dopo la scarcerazione di Nelson Mandela. L’accusa rivolta a Tel Aviv è quella di condurre nei territori occupati palestinesi una politica di segregazione su base etnica assimilabile al sistema di apartheid, che venne a lungo imposto, fin dall’inizio della colonizzazione, alla popolazione sudafricana non bianca. Visione che ha plasmato non poco le relazioni del Sudafrica con i due stati. Da un lato, quelle con Israele sono andate via via deteriorandosi. Recentemente, il parlamento di Johannesburg ha votato per declassare formalmente le relazioni del paese con lo Stato ebraico, portandolo da ambasciata a semplice ufficio di collegamento. Dal 2019 a Tel Aviv non c’è un ambasciatore sudafricano, ma solo un incaricato di affari. D’altro canto, i rapporti diplomatici con la Palestina sono stati allacciati fin da subito. Il Sudafrica può contare su un ufficio di rappresentanza a Ramallah, la capitale dell’ipotetico Stato palestinese, solo parzialmente riconosciuto dalle cancellerie mondiali.
Infine, la reazione del Marocco, che si presenta molto più cauta ed equilibrata. In un comunicato ufficiale il ministero degli esteri si è limitato a esprimere profonda preoccupazione e a condannare gli attacchi contro i civili ovunque accadano. Accortezza e moderazione spiegabili con la posizione estremamente delicata e ambigua del Marocco sulla questione israelo-palestinese. La popolazione marocchina è tradizionalmente pro-palestinese. Lo stesso re del Marocco, Mohammed VI, considerato discendente in linea diretta del profeta Maometto, è il presidente del Comitato Al-Qods, che ha l’obiettivo di preservare il carattere arabo-musulmano di Gerusalemme. Al tempo stesso, tuttavia, il Marocco è uno dei paesi arabi ad avere allacciato relazioni ufficiali con Israele. Nel dicembre 2020, su pressione del presidente americano Trump, Rabat ha aderito agli “Accordi di Abramo”. Trump aveva riconosciuto la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale, portando successivamente Israele a una analoga decisione. Il riconoscimento di Israele da parte di Mohammed VI non è stato accolto con entusiasmo dalla popolazione marocchina. Più di una volta, infatti, le persone hanno manifestato contro Israele, indipendentemente dalla posizione della monarchia. E anche in questa occasione è stato così. Non solo. Alcuni partiti, tra cui quello islamista “della giustizia e dello sviluppo”, hanno preso posizione totalmente a favore dei palestinesi.
Nell’immagine: in blu gli stati che condannano l’attacco e sostengono Israele; in grigio quelli che chiedono una de-escalation (con o senza condanna); in rosso gli stati che sostengono Hamas (situazione al 9 ottobre, grafica Le Monde)
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