Iran urne boicottate ma vittoria del peggiore
Nuovo presidente l’ultraconservatore Raisi, l’uomo della sanguinosa repressione del dissenso; gli errori di Usa ed Europa
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Nuovo presidente l’ultraconservatore Raisi, l’uomo della sanguinosa repressione del dissenso; gli errori di Usa ed Europa
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Gli iraniani hanno dunque usato l’unica arma che è loro rimasta senza, per ora, correre rischi. L’astensione, il boicottaggio delle urne, come avevano chiesto le forze più moderate: i cui candidati erano stati implacabilmente eliminati dal Consiglio dei Guardiani, emanazione diretta della Guida suprema, Alì Khamenei, il vero padrone del paese. Così, la partecipazione è crollata (e sembra di parecchio) sotto il 50 per cento, mai accaduto prima per una elezione presidenziale nei quarantadue anni di Repubblica islamica.
Verdetto scontato: al pragmatico e deludente Hasan Rohani (incapace di realizzare anche solo un minimo delle promesse riforme) succede il super-conservatore Ebrahim Raisi, capo della magistratura, un religioso dal passato sanguinario. Fu lui a firmare la condanna a morte di migliaia di oppositori politici nel 1988 – alla fine della guerra con l’Irak -, le numerose impiccagioni negli Anni Novanta, quindi gli innumerevoli arresti con cui vennero soffocate le generose proteste giovanili della cosiddetta ‘onda verde’. Raisi, ovviamente già prescelto dalla Guida suprema. Così, una popolazione spossata dai morsi della crisi economica, costantemente ricondotta con puntuale violenza repressiva alla ‘ragione’ della dittatura, presa dallo sconforto anche per l’atteggiamento dell’Occidente, e colpita dal Covid più di tutte le nazioni di quell’area, una popolazione costretta a tornare alle pagine più buie della teocrazia fondata nell’inverno ’79 dall’ayatollah Ruhollah Khomeini.
L’uscente Rohani ha certo le sue colpe: ne ha avute anche in fatto di riarmo, di espansionismo regionale, di tentativo di realizzare quella ‘mezza luna’ a dominio iraniano che da Teheran porta all’Irak, alla Siria, al Libano di Hezbollah, alla striscia di Gaza. Ma anche (forse soprattutto) Stati Uniti ed Europa portano il loro carico di responsabilità. I primi soprattutto, con la decisione di Trump di far saltare l’accordo sul nucleare iraniano: senza che vi fosse una sola prova di violazione dell’intesa da parte di Teheran, ma rispondendo alle richieste saudite e israeliane. Ma anche l’Europa non può negare le sue colpe politiche, visto che per tornaconto ha supinamente accettato le sanzioni economiche imposte da Washington alle ditte del vecchio continente che avessero violato l’embargo, e infatti sono state pochissime.
Sanzioni che hanno azzoppato le forze moderate del paese, rinfocolato le ambizioni della sua parte più retriva e anti-occidentale, contribuito ad affondare l’economia nazionale. Nei loro confronti, il neo eletto Raisi può dunque essere assai riconoscente. Si vedrà con quali conseguenze su un quadro regionale già pericolosamente stressato dallo scontro sciiti-sunniti. In attesa che la nuova Casa Bianca faccia capire quale politica ha in serbo nei confronti di Teheran. E con quali risposte da parte degli iper-conservatori iraniani che ora controllano tutte le leve del potere: non solo la Guida suprema, ma anche il parlamento e i vertici dello Stato.
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