Una nuova pioggia di missili e droni su Kyiv, Mykolaiv, Kharkiv e Leopoli, che spacca di nuovo il mondo in due: da un lato ci sono le immagini di palazzi in fiamme, dei soccorritori che scavano tra le macerie in cerca di sopravvissuti e vittime, dei bambini che stringono i pelouche mentre guardano bruciare quella che un’ora prima era la loro casa, dell’Alto incaricato per la politica estera dell’Unione Europea Josep Borrell, che l’allarme aereo costringe a nascondersi in un rifugio nella capitale ucraina. Dall’altro, c’è la televisione russa che legge il comunicato del ministero della Difesa su un attacco agli «impianti militari ucraini», con la conclusione trionfante «tutti i bersagli sono stati colpiti». La propaganda televisiva non mostrerà ai russi le scene delle case di Kyiv che bruciano, e non rivelerà nemmeno che la contraerea ucraina ha abbattuto 44 su 64 missili e droni del raid russo, incluso forse il nuovissimo missile Zirkon, che Putin aveva pubblicizzato come il gioiello non intercettabile del suo complesso bellico. La rivista ucraina Defence Express pubblica le foto dei frammenti di uno dei missili esplosi a Kyiv, con la scritta “3M22”, il nome in codice della nuova arma russa, che ufficialmente non è ancora mai stata utilizzata. E da Kharkiv uno dei capi della polizia locale ha rivelato che due dei cinque missili lanciati dai russi sulla città si sono rivelati di produzione nordcoreana, frutto di quel patto con Kim Jong Un che, secondo il New York Times, gli ha permesso di ottenere grandi benefici da Mosca in cambio di una sola cosa, munizioni.
Due rivelazioni che, se confermate, sarebbero segno dell’intenzione di Vladimir Putin di alzare la posta. La Mosca politica è in attesa del suo discorso annuale al parlamento, che dovrebbe tenersi entro fine febbraio e rappresentare l’intervento programmatico alla vigilia delle elezioni presidenziali. Nel 2018, il presidente russo aveva utilizzato la circostanza del discorso alle camere riunite per una megapresentazione delle armi russe del futuro (tra cui il Zirkon), che all’epoca era stata considerata da molti osservatori quasi una stravaganza, e che oggi appare un preludio all’invasione che voleva lanciare. Oggi, sostengono le voci che girano nei canali Telegram vicini al Cremlino, Putin vuole ripetere lo show, presentarsi come il “presidente della guerra” con una spiegazione della sua strategia. Al contrario dell’anno scorso, quando il discorso al parlamento era stato relativamente blando (nel 2022 non era stato nemmeno pronunciato), il dittatore russo sembra pronto ad abbracciare la sua immagine più bellicosa, come si era già intuito dal lapsus di qualche settimana fa, quando ha definito i territori occupati dell’Ucraina come «conquistati», e non «riunificati» come da gergo politico in uso alla televisione russa.
Che all’elettore putiniano piaccia la guerra è qualcosa che i sondaggisti del Cremlino sanno bene dal 1999, quando l’allora quasi sconosciuto Putin divenne popolarissimo bombardando la Cecenia. I bombardamenti delle città ucraine, e la ripresa dell’offensiva di terra sul fronte del Donbas sono altri segnali dell’intenzione di Putin di presentare alla vigilia delle elezioni una “vittoria” che possa piacere ai russi. Che però fatica ad arrivare: la battaglia per Avdiivka, sempre più feroce, non ha però portato alla sua conquista, e sembra anzi che zone della città – ormai comunque quasi distrutta dall’artiglieria – siano tornate in mano all’esercito ucraino. Ma soprattutto, la guerra non sembra entusiasmare molti elettori russi. È sintomatico che il Cremlino non ha ancora annunciato la decisione di eliminare dalla corsa elettorale Boris Nadezhdin, il candidato che promette di chiudere la “operazione militare speciale”. Decine di migliaia di russi si sono messi in coda per firmare a suo sostegno, e anche se appare più che probabile che la sua candidatura sia stata concordata con il Cremlino stesso per permettere uno sfogo allo scontento, la popolarità improvvisa che ha ottenuto ha preoccupato il regime. Secondo il politologo dissidente Abbas Galyamov, proibire a Nadezhdin di correre significherebbe «mostrare che Putin ha paura di lui», mentre lasciarlo in lizza offrirebbe una piattaforma legale ai critici della guerra, incluse le sempre più agguerrite mogli dei soldati mobilitati, che vogliono riportare a casa i mariti.
Ovviamente il problema di Putin non è quello di vincere le elezioni del 17 marzo, ma di farlo presentandosi come un leader vincente, che non solo ha rilanciato l’economia – il governo russo ha ribadito ieri i dati della crescita del Pil al 3,5% – ma ha soprattutto rotto l’isolamento internazionale della Russia. A questo è funzionale anche l’annunciatissima intervista televisiva con Tucker Carlson, il controverso presentatore ultraconservatore che è stato esaltato dai propagandisti russi come l’uomo che «racconterà la verità sulla Russia» agli americani. A questo doveva servire la visita di Putin in Turchia, la prima in un Paese della Nato dopo l’invasione dell’Ucraina, ma ieri il Cremlino ha annunciato che è stata spostata dal 12 febbraio a una data da definirsi: «Le parti non hanno trovato un consenso su alcune questioni», recita il laconico comunicato. Quali sono non è difficile da immaginare: la Turchia ha appena annunciato la costruzione di una fabbrica di droni Bayraktar in Ucraina, che andranno ad aggiungersi al milione di munizioni europee promesse ieri da Borrell.
Nell’immagine: Il palazzo residenziale colpito a Kiev