Beat “homo helveticus” Feuz: una breve storia
E pazienza se dopo l’oro in discesa, nel supergigante non c’era più…
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E pazienza se dopo l’oro in discesa, nel supergigante non c’era più…
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E pazienza se dopo l’oro in discesa, nel supergigante non c’era più…
Il marchio d’origine di Beat “Swiss made” Feuz è “bodenständig”: nato con i “piedi per terra”. Un vero rossocrociato: se un marziano dovesse portare lassù l’immagine di un umano elvetico, sceglierebbe il tipo nato l’11 febbraio 1987 a Schangnau (Be), una specie di pacioso frate laico (ora et labora) benvoluto da tutti, mai sopra le righe nei trionfi, mai immusonito nelle sconfitte, mai invidioso, umile malgrado i molti trionfi.
Al traguardo della pista disegnata da Russi, unico ingegnere costruttore al mondo (appollaiato su una roccia, Russi’s Rock, con tanto di stemma urano inciso), un Beat sorridente ha semplicemente detto “bene, vedremo…”. Aveva fatto il suo: probabilmente non lo sa, ma ha sempre applicato un principio del buddismo zen: ogni giorno fai quello che devi fare, dalle piccole alle grandi cose, le scodelle lavale sempre e sempre bene.
Alla fine, dopo un oro (S. Moritz 2017) e due bronzi ai mondiali, dopo un bronzo e un argento (nel supergigante) alle Olimpiadi, è arrivato l’oro al termine di una gara bellissima, sofferta sino all’ultimo, con il francese Johan Clarey, 41 anni e un mese, a 10 centesimi, e il grande favorito Meyer, stanotte primo nel supergigante, a 16. Quando ha sentito sua moglie e la prima figlia gli è scappata una lacrimuccia.
Feuz, che ha sposato un’ex sciatrice austriaca, vive con una gamba in Svizzera e una in Austria: gli è andata bene: nel 2007, in seguito a una infiammazione al ginocchio curata male, ha rischiato la cancrena e l’amputazione.
Era reduce da una serie impressionante di trionfi a livello juniores, a partire da un bronzo, incredibile, nello slalom, a Bardonecchia, in epoca preistorica, quando fu attaccato due volte da uno pterodattilo, un uccellaccio dall’apertura alare di un metro, dal becco di 45cm e capace di andare in picchiata attorno ai 100km orari: gli era sfuggito facendo il bronzo nello slalom, a zig-zag, appunto.
Due anni dopo ad Altenmarkt, dove Lara Gut fu seconda, vinse 3 ori: discesa, gigante, e combinata, e un altro bronzo nello slalom.
Poi, una lenta evoluzione lo ha trasformato: ora Feuz è il prototipo del discesista, sembra scolpito nel bronzo: cosce come pilasti d’autostrada ben agganciate al robusto bacino, addominali potenti, estremamente compatto, stabile sullo sci. Un blocco unico.
Ma le sue vittorie sono dovute ad altro: a una dote che nessun tecnico, nessuna scuola può insegnare: la sensibilità di piede (non si direbbe…) unita a un senso unico della traiettoria: nelle curve strette non è il migliore, ma non appena il disegno diventa più fluido, non ce n’è per nessuno, nemmeno per Kilde e Paris, troppo violenti nel piazzare gli spigoli: Feuz sembra una figura da PlayStation; sembra seguire un filo magnetico che vede solo lui.
E pazienza se stanotte ha fatto la stessa fine del favorito Odermatt, uscendo però di pista già dopo pochi metri: Beat non c’era.
L’oro nella discesa gli ha dato alla testa: non per superbia, non la conosce, ma perché nel sonno ha rivisto la sua vita, stordito dall’impresa del giorno precedente; e se ora, salute permettendo, volesse aggiungere altri 4 anni sull’esempio di Clarey?
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