Passione e colonizzazione
Le guerre in Ucraina e a Gaza mettono in gioco ulteriori velleità colonialiste di Russia e Stati Uniti ma potrebbero anche trasformarsi in occasione per la nascita di una nuova forma di resistenza
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Le guerre in Ucraina e a Gaza mettono in gioco ulteriori velleità colonialiste di Russia e Stati Uniti ma potrebbero anche trasformarsi in occasione per la nascita di una nuova forma di resistenza
• – Silvano Toppi
Aspettare la fine del 2026? No, il Consiglio federale dovrebbe solo approvare al più presto un regolamento che anticipa il pagamento senza conseguenze insostenibili
• – Redazione
Figlio di una famiglia benestante di imprenditori. Le elezioni di ieri potevano rappresentare il suo declino politico o la sua vera e propria ascesa. Oggi è l’uomo che de facto guida il maggiore partito d’opposizione nel Paese
• – Redazione
L’uomo dei pasdaran ucciso ieri a Damasco da Israele era uno dei dirigenti che fanno funzionare l’allargamento dell’influenza di Teheran in Medio Oriente
• – Redazione
Alle elezioni amministrative secca sconfitta del ‘sultano’ che lo scorso anno sembrava imbattibile con la riconferma alla presidenza
• – Aldo Sofia
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• – Redazione
Si arricchiscono sempre di più gli sfruttatori del lavoro forzato: i guadagni maggiori vengono dallo sfruttamento sessuale
• – Roberta Bernasconi
“Finarte” mette in vendita, per almeno due milioni di euro, una copia manoscritta finora ignota del capolavoro dantesco: studiosi e appassionati già si chiedono quali novità testuali saranno contenute in questa ennesima versione
• – Paolo Di Stefano
Un milione e mezzo di bambini e ragazzini, “venduti” dalle famiglie troppo povere, costretti a lavorare in condizioni pericolose nelle piantagioni di cacao di alcuni paesi africani
• – Redazione
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• – Franco Cavani
Le guerre in Ucraina e a Gaza mettono in gioco ulteriori velleità colonialiste di Russia e Stati Uniti ma potrebbero anche trasformarsi in occasione per la nascita di una nuova forma di resistenza
In una prospettiva storica, le due aggressioni sono due aggressioni colonialiste. L’una, come Putin lo proclama, per tentare di ricostituire la Grande Russia (e porre rimedio all’errore di Lenin, responsabile secondo lui dell’emancipazione dell’Ucraina). L’altra (e non lo si dice quasi mai, forse perché è realtà troppo ovvia) per mantenere un avamposto, un “comptoir” coloniale occidentale… in terra araba. Nell’uno e nell’altro caso, la realtà, la volontà e il sentimento nazionale dei popoli (ucraino e palestinese) sono semplicemente negati dagli aggressori. Quindi, dovremmo concludere: sostenere le due resistenze è dovere morale.
Il capitalismo russo, ristabilitosi formalmente negli anni 90, tenta, con la forza, di ricontrollare le sue ex-colonie, come fecero gli imperi coloniali inglese e francese negli anni ‘50. Quello americano si esercita invece attraverso varie modalità: con la finanza; con le aggressioni militari puntuali e su comanda, con giustificazioni alle volte inventate, a difesa di interessi nazionali; con le collaborazioni locali con grande fornitura di armi (come avviene con Israele, invitandola comunque a finire la guerra); con le occupazioni territoriali (il più delle volte poi abbandonate senza ottenere nessun risultato per cui erano state promosse, v. Afghanistan, Iraq).
Le lotte di emancipazione di Ucraina e di Palestina sono le convulsioni del declino degli imperi russo e statunitense? L’affermazione della Palestina e dell’Ucraina come Paesi indipendenti è la sola possibilità ch’esse possano partecipare alla risurrezione di un mondo “multipolare” dove tutte le nazioni godano di eguaglianza (perlomeno formale).
La ricostruzione dell’Ucraina secondo le stime della Banca mondiale costerà più di 450 miliardi di dollari su dieci anni. Pressoché i due terzi delle abitazioni di Gaza sono state distrutte, diecine di ospedali, scuole, edifici governativi sono stati polverizzati. Tutto questo dopo 56 anni di occupazione e un blocco di 17 anni. Quindi, anche se non sono ancora stati calcolati, i bisogni sono pressoché identici a quelli dell’Ucraina. Numerose imprese internazionali già sono interessate a dividersi la torta della ricostruzione. Le Monde ci informava qualche giorno fa che “56 documenti sono stati firmati in margine alla Conferenza generale di promozione della crescita economica e di ricostruzione dell’Ucraina… nella sede della potente organizzazione padronale giapponese”. E qui si annida forse lo strascico del peggio che può ancora avvenire che è la spartizione delle vesti o una nuova forma di colonizzazione.
Porsi dunque la domanda del carattere economico, sociale e politico della “comunità” che si vuole ricostruire è una evidenza: si arriverà, dopo tutto lo scempio, a una società più egualitaria, più democratica, più umana? È così che la resistenza ucraina e palestinese possono porre, anche a tutti noi, in questo momento, l’interrogativo su quale deve essere la natura dell’alternativa necessaria per “vivere“ o risorgere.
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