Quel granello di sabbia
In anteprima l’introduzione al libro “Verità irriverenti” di Dick Marty che sarà presentato alle 18.00 di oggi al LAC di Lugano
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In anteprima l’introduzione al libro “Verità irriverenti” di Dick Marty che sarà presentato alle 18.00 di oggi al LAC di Lugano
• – Redazione
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• – Adolfo Tomasini
Se intendiamo affermare ancora davanti a tutti i nostri autentici valori occidentali, occorre smettere di rifiutare la cosa più ovvia: che sono sempre stati avvinghiati al sangue
• – Redazione
Il disprezzo del vivente, da sempre praticato, nella Storia, attraverso le guerre fratricide fra preti, generali e mercanti
• – Silvano Toppi
Il caso di Indi Gregory, condannata da una malattia inguaribile, e la richiesta del governo Meloni di trasferirla in un ospedale romano
• – Redazione
Jeff Halper, antropologo israelo-americano, è da sempre impegnato nel difendere i diritti del popolo palestinese, anche con l’iniziativa di salvare le loro case con l’Israeli Ccommittee Against House Demolitions
• – Redazione
Dopo un mese di guerra e di stragi nei due campi, di stanchezza e di dilemmi, la società israeliana si interroga sul ritorno dell’antisemitismo. La lezione di Abraham Yehoshua
• – Sarah Parenzo
In sala da alcune settimane il film d’esordio registico di Paola Cortellesi: un successo imprevisto, forse imprevedibile, meritato
• – Enrico Lombardi
Ritrovata dopo anni, mixata, rimasterizzata e pubblicata, anche una sola canzone di John Lennon è capace di diventare un evento musicale
• – Michele Realini
Avanti Popolo e l’intervista di Nunzia de Girolamo
• – Redazione
In anteprima l’introduzione al libro “Verità irriverenti” di Dick Marty che sarà presentato alle 18.00 di oggi al LAC di Lugano
È una dichiarazione forte, rilasciata da Dick Marty al giornalista Frédéric Koller del quotidiano “Le Temps” lo scorso febbraio,in occasione dell’uscita del volume “Sous haute protection”, edito a Losanna, in francese, da Favre. Ne abbiamo dato conto anche in questa sede, proponendo quell’intervista in versione italiana. Il celebre magistrato e politico ticinese, al centro di diversi casi diplomatici internazionali che hanno avuto una vasta eco in tutto il mondo, continua poi così nel descrivere la sua situazione:
“È una situazione legata a quanto sta accadendo in Kosovo e in Albania. Il mio rapporto sul traffico di organi del 2010 ha suscitato inizialmente molte perplessità. Poi, nel 2014, un procuratore statunitense, supportato da 40 investigatori, ha confermato quasi tutti gli elementi del mio rapporto. Dopo vari colpi di scena un secondo procuratore ha infine incriminato Hashim Thaçi per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Costretto a dimettersi nel 2020, è stato trasferito all’Aia. Ciò ha scatenato le ire di alcuni ambienti di lingua albanese. La responsabilità di quell’arresto è stata attribuita a me, anche se non avevo nulla a che fare con questo procuratore americano. Per quanto mi riguarda, nel caso specifico, mi sono persino rifiutato di testimoniare.
Un ex primo ministro albanese mi ha definito come una sorta di Goebbels, e quello attuale mi accusa, all’ONU, di aver scritto un rapporto falso, ignorando nel contempo il lavoro dei procuratori americani. Questo crea un clima che può motivare gli ultranazionalisti ad agire.”
Dal 18 dicembre 2020, Dick Marty ha cominciato a vivere sotto scorta, praticamente recluso o confinato in casa, a vivere in quel modo, con tale senso di impotenza, i fatti salienti che hanno flagellato il mondo ed il nostro Paese, dalla pandemia a Capitol Hill alla guerra in Ucraina fino al crollo di Credit Suisse.
Ma per Marty c’è la scrittura, che non salva, ma dà sollievo, concede il diritto di parola, e con le parole la volontà di esprimere idee, magari e soprattutto controvento.
Ecco così le sue “Verità irriverenti – Riflessioni di un magistrato sotto scorta”, pubblicate da Casagrande di Bellinzona in un libro che viene presentato oggi alle 18.00 nella hall del LAC a Lugano dall’autore a colloquio con Roberto Antonini.
Per gentile concessione dell’editore e dell’autore proponiamo qui la nota introduttiva al volume.
«Cos’è un ribelle?
Un uomo che dice no».
Albert Camus
Perché mi trovo a scrivere ancora un libro, proprio io che sono sempre stato restio a parlare di me? Dal 2009, dopo l’enorme clamore suscitato dal rapporto sulle prigioni segrete della cia, l’editore Favre di Losanna mi aveva perseguitato (il termine è solo di poco esagerato) per convincermi a scrivere un libro. Gli avevo risposto a più riprese che ognuno doveva fare quello di cui si sentiva capace: la scrittura non rientra tra i miei passatempi preferiti.
Poi mi erano capitati alcuni guai di salute: un’amnesia globale temporanea (proprio il giorno in cui ero stato chiamato a difendere l’iniziativa popolare sulle multinazionali responsabili dinanzi a una commissione del parlamento) e, quasi contemporaneamente, due operazioni ortopediche che mi avevano costretto, per la prima volta dopo mezzo secolo di attività, a rimanere immobilizzato a casa per quasi quattro mesi. E avevo scoperto che la scrittura fa bene, mi permette di riflettere su quanto vissuto, di interrogarmi sulle ragioni di alcune scelte.
Una sera tardi, mi era venuto in mente l’editore Favre e, senza troppo pensarci, avevo preso il file del mio scritto e premuto il tasto send. La risposta era arrivata rapidissima: si pubblica! Mi ero quasi pentito, avrei voluto fermare tutto, ma era troppo tardi. Avevo scritto in francese perché, dopo quanto capitatomi, dovevo fare qualcosa di difficile per mettermi alla prova, e il francese scritto è maledettamente ostico (in quale altra lingua esistono dei campionati di dettato dove mai nessuno fa zero errori?), ma è anche una lingua che mi piace molto. Così era nato Une certaine idée de la justice, poi uscito in italiano con il titolo Una certa idea di giustizia.
E ora un nuovo libro: cattivo segno, vuol dire che mi è capitato un altro guaio. Anzi due. E se il primo poteva essere previsto, non è così per il secondo: è una battaglia che non si può vincere, a meno di un miracolo. Scrivere come autoterapia, invece di prendere il Prozac; scrivere per sé stessi, senza pensare primariamente al lettore (e me ne scuso).
Mi rendo conto che in tutte le mie funzioni ho scelto vie che non seguivano sempre quella tracciata dall’idea dominante del momento. Se da piccolo per i miei fratelli sono stato uno «scassamaroni» (e causa di angoscia per i miei genitori), per molti altri, in tutti questi anni, sono stato, nella migliore delle ipotesi, quel granello di sabbia che tanto può dare fastidio. Non per divertimento, ma per coerenza – e il prezzo è spesso alto.
Se scrivo oggi è perché credo che la vicenda iniziata una domenica dell’Avvento vada ben oltre la mia persona, poiché pone interrogativi assai inquietanti sul funzionamento delle nostre istituzioni. Una riflessione che mi ha portato anche a volgere lo sguardo sulla strada percorsa e a meditare sui problemi di oggi, dalla democrazia alla neutralità fino alla giustizia, ovviamente. Un percorso tormentato, imprevedibile, come lo è stato per me quest’ultimo periodo.
E dire che me l’ero immaginato tanto diverso.
Nell’immagine: Dick Marty all’Università di Neuchâtel nel 2017
Alla Triennale vodese ventiquattro progetti che sotto il titolo “Vivement demain” affrontano le questioni più urgenti del nostro tempo
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