Serve ricordare?
Nella Giornata della memoria viene da chiedersi, non senza tristezza, quanto valgano certe commemorazioni in un mondo come quello attuale, che continua a produrre stragi e genocidi
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Nella Giornata della memoria viene da chiedersi, non senza tristezza, quanto valgano certe commemorazioni in un mondo come quello attuale, che continua a produrre stragi e genocidi
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Nella Giornata della memoria viene da chiedersi, non senza tristezza, quanto valgano certe commemorazioni in un mondo come quello attuale, che continua a produrre stragi e genocidi
La Giornata della Memoria, che si ripete dal 2000, svela, a ben guardare, l’abisso che corre fra lo sdegno di un giorno per l’orribile scempio e i nostri comportamenti quotidiani dove i buoni propositi sono soffocati da una diffusa indifferenza e dalla reticenza ad accogliere le ragioni dell’altro. L’altro è il “numero”, è la “massa residuale”, è lo “scarto”, è quello che deve star fuori dal nostro mondo. La Giornata della Memoria è bene che ci sia ma ha cumulato un difetto assai vistoso: commemora le vittime, addita il “male assoluto”, lo colloca fuori dalla storia, lo ritiene irripetibile e, così facendo, dimentica il contesto e non vede le ragioni politiche, ideologiche e le responsabilità individuali e collettive che hanno consentito e consentono al peggio di prevalere.
Mi guardo attorno, osservo l’avanzare di tanta brutta politica con pessimi politici (“Non sono le idee che mi spaventano ma le facce che rappresentano…” scriveva Leo Longanesi nel 1944: come non dargli ragione al cospetto di certi figuri poco raccomandabili che pretendono di governare il mondo!) e convengo che il passato sta risorgendo nel peggiore dei modi. Mi convinco che noi stiamo esibendo virtù, qualità morali, buoni sentimenti che non abbiamo. Tutt’al più durano lo spazio di un’emozione. Invochiamo la necessità di tener ben ferma nel nostro presente la consapevolezza del passato per frenare i cattivi sentimenti, ma la barbarie avanza e certamente non contempla “le magnifiche sorti progressive” di una umanità felice, fatta di pacifiche convivenze. Ripeto: l’interrogativo iniziale può sembrare irriverente, ma non lo è. Per due ragioni.
La prima ragione la suggerisce un paradosso inquietante che mi sembra evidente. Già lo rammentai lo scorso anno, riprendendo le considerazioni di Valentina Pisanty che si è occupata della faccenda: “Due fatti – ci dice la semiologa – sono sotto gli occhi di tutti. 1) Negli ultimi vent’anni la Shoah è stata oggetto di capillari attività commemorative in tutto il mondo occidentale. 2) Negli ultimi vent’anni il razzismo e l’intolleranza sono aumentati a dismisura proprio nei paesi in cui le politiche della memoria sono state implementate con maggior vigore” (V. Pisanty, I guardiani della memoria e il ritorno delle destre xenofobe, Bompiani, Milano, 2020). I dati confermano: xenofobia, razzismo e antisemitismo sono cresciuti a dismisura. Oggi avanzano controstorie alternative fondate su una reinvenzione del passato che trasformano le vittime in carnefici e Liliana Segre circola con le guardie del corpo. Segnala Valentina Pisanty l’evidenza di una ricorrenza oggi “sempre più ritualizzata, inaridita e avvitata su sé stessa”. Come a dire: il 27 gennaio si parla della Shoah, di Auschwitz, della Soluzione Finale, ma poi si chiude e c’è l’assopimento delle coscienze.
I migranti torturati in Libia che affogano a migliaia sono un crimine che dura da anni, Bucha è un crimine, il 7 ottobre è un crimine, Gaza è un crimine. Oggi genocidi e massacri non si contano. Ci indicano che la Shoah non è stato un male irripetibile, fuori dalla storia: è ben presente nella storia e oggi è qui, sotto altre forme. Primo Levi ce lo aveva detto “che ciò che è accaduto può ritornare” (Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1958).
La seconda ragione la offre l’attualità: il nostro mondo sta prendendo a calci i diritti umani, e la dignità delle persone non pare la preoccupazione della politica di successo. Avanza l’onda nera di destre estreme, illiberali e postfasciste che con la compiacenza della democrazia stanno distruggendo la democrazia. Ci spiegano che le mani tese, le teste rasate, le camicie nere, i fasci littori, le croci celtiche esibiti da branchi non proprio sparuti non debbono preoccupare perché “ora è diverso da allora” e le istituzioni democratiche son solide: io ho qualche riserva in proposito. I dati ci informano che le democrazie illiberali sono in aumento e gli impresentabili, ignoranti e incolti al governo, sono pure in espansione. Perfino il governo di Netanyahu ha perso la strada e la Shoah è diventata un argomento non per legittimare il sacrosanto diritto di difendersi e di vivere liberi in sicurezza, ma per giustificare una vendetta (sull’argomento ha scritto qui Martino Rossi e condivido): il 7 ottobre è stato orribile, il massacro di donne e bambini a Gaza è altrettanto orribile. La Shoah ci dovrebbe insegnare che il fanatismo è da bandire, da qualsiasi parte arrivi. Ma sta succedendo l’opposto. E, allora, servono le commemorazioni quando non segue tutto il resto?
Articolo pubblicato da laRegione
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