Sono molte le storie poco conosciute o del tutto sconosciute di persone che hanno compiuto gesti di grande umanità ed altruismo, che vale la pena scoprire e raccontare. Segni di speranza capaci di vincere odio e luoghi comuni consolidati.
Abdol Hossein Sardari è uno di questi. Era lo zio di Amir Abbas Hoveyda, primo ministro del dittatore Scià Mohammad Reza Pahlavi dal 1965 al 1977, giustiziato qualche mese dopo la rivoluzione islamica del febbraio 1979.
Nato nel 1914 a Teheran, di famiglia reale, fu costretto a lasciare l’Iran dopo la caduta della dinastia Qajara. Studiò in Svizzera, università di Ginevra, dove conseguì la laurea in giurisprudenza nel 1936.
Durante gli anni bui della seconda guerra mondial, e in piena occupazione nazista della Francia, si trovava a Parigi in qualità di diplomatico di Teheran. Ben presto si rese conto di cosa stesse accadendo alla popolazione di origine ebrea e, con coraggio e determinazione, il giovane Sardari riuscì a metterne in salvo oltre mille famiglie ebraiche di origine soprattutto iraniana, per un totale di circa duemila persone. Ci riuscì inventando una storia a dir poco inverosimile e assurda. Usando il proprio talento di avvocato e con l’ausilio di alcune lettere e documenti, sostenne una teoria del tutto inventata sull’origine ebraica di queste famiglie.
Egli affermava che nel quinto secolo Avanti Cristo l’imperatore persiano Ciro il Grande aveva liberato gli ebrei di Babilonia dalla schiavitù e che questi erano tornati tutti in Palestina; piu’ tardi un certo numero di persiani si erano avvicinati agli insegnamenti di Mosè, assumendone la religione. Quindi gli ebrei persiani non erano semiti ma ariani “Djougoutes”, una setta inventata ed inesistente. I nazisti gli credettero.
Nel settembre 1941 la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica, temendo la simpatia dello Scià Reza, fondatore della dinastia Pahlavi, nei confronti del nazismo, invasero l’Iran che in effetti firmò poi un trattato con gli alleati. Al diplomatico Sardari venne ordinato di ritornare immediatamente a Teheran: egli si rifiutò di lasciare la Francia, e, correndo rischi considerevoli per la propria vita, usando le proprie finanze mantenne in funzione il suo ufficio permettendo a molti ebrei di fuggire dall’Europa e dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti.
Tornato in Iran nel 1952, fu accusato di cattiva condotta per aver rilasciato quei passaporti durante la guerra. Non riuscendo a difendere la propria reputazione si ritirò dal corpo diplomatico e nel 1955 si trasferì a Londra. Durante la sua vita Abdol Hossein Sardari non rivendicò mai quanto aveva fatto e non chiese mai nulla in cambio, come molti altri “Giusti”. Morì povero in un monolocale di Nottingham nel 1981.
Quanto aveva fatto per il popolo ebraico venne riconosciuto e onorato solo nel 2004 dal Simon Wiesenthal Center di Los Angeles; un importante segno di pace e di umanità in un mondo in cui lo scontro di civiltà sembra farsi ogni giorno piu’ reale. La vicenda dell’avvocato iraniano, per quanto straordinaria, non ha portato all’inserimento di Sardari tra i Giusti nel Museo dell’Olocausto di Gerusalemme. Non è l’unica storia con protagonisti mussulmani che hanno rischiato la vita per salvare gli ebrei dalla Shoah.
A Tunisi l’organizzazione Gariwo, grazie al suo animatore Gabriele Nissim, nel 2016 inaugurò un “Giardino dei Giusti”, all’interno dell’ambasciata d’Italia, il primo in un Paese arabo. Qui è ricordato pure un ricco nobiluomo, Khaled Abdul Wahab, che negli Anni Quaranta ospitò e protesse decine di ebrei nella propria fattoria.
L’azione dell’avvocato diplomatico Sardari è figlia di una cultura millenaria, fatta di tolleranza, di rispetto e di grande umanità. Una risposta chiara e inequivocabile ai negazionisti mussulmani e non.
Nell’immagine: Abdol Hossein Sardari (con gli occhiali scuri)