Contro il pensiero unico
Oggi sembra impossibile confrontarsi sui temi della contemporaneità. La diversità di idee è bandita. Eppure serve ripartire proprio da qui
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Oggi sembra impossibile confrontarsi sui temi della contemporaneità. La diversità di idee è bandita. Eppure serve ripartire proprio da qui
• – Redazione
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• – Redazione
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Quando Gianni Vattimo presentò a Lugano un mio libricino
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Pubblicata recentemente dall’editore Interlinea una traduzione montaliana inedita del “Giulio Cesare”
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• – Redazione
Oggi sembra impossibile confrontarsi sui temi della contemporaneità. La diversità di idee è bandita. Eppure serve ripartire proprio da qui
Se c’è una cosa su cui sembra che tutti in Italia siano d’accordo, è il cattivo stato di salute del dibattito pubblico. Non si può più dire niente, gli altri non accettano il contraddittorio, è l’epoca del pensiero unico e ideologico, non c’è verso di creare una discussione reale intorno ai temi caldi di questo tempo. Che l’unica cosa su cui si è d’accordo sia questa, dovrebbe forse accendere un campanello d’allarme. Davvero a non riuscire ad ascoltare sono sempre gli altri? E se gli altri, “la gente”, fossimo anche noi? Sarebbe il caso, infatti, di guardare le cose con un po’ più di sincerità, e anche con un senso di urgenza: che non ci si riesca a capire e che ognuno chiuda la porta a prospettive diverse dalle proprie è indubbio, ma in qualche modo è necessario provare a confrontarsi, se non altro perché viviamo tempi tutt’altro che luminosi.
I cambiamenti climatici, la transizione energetica, la crisi della democrazia liberale, le diseguaglianze sociali, il lavoro, le discriminazioni sono questioni su cui vanno operate scelte che non si possono continuare a rimandare, e chiudersi nella propria opinione non solo è inefficace, ma rappresenta l’incapacità di pensare sul serio.
La parola “pensiero” viene dal latino pensum, e anticamente indicava un certo quantitativo di lana grezza che veniva pesata e passata alle filatrici, che avevano il compito di sgrezzarla e filarla. Il pensiero, quindi, non viene dall’astrazione, ma da una tecnica manuale precisa e profondamente collegata alla materia.
Il pensiero ha un peso e una consistenza, e per affinarlo servono esperienza, impegno e tempo. Il pensiero non nasce perfetto ma va trattato, scomposto. Questa operazione richiede discernimento, cioè la capacità di separare ciò che è vero da ciò che è falso. Riuscire a pensare nel contemporaneo, dunque, significa recuperare questa dimensione concreta applicandola a questioni su cui non è possibile dare risposte semplici, ma che molto spesso presentano grovigli e matasse difficili da sciogliere.
Del resto, Francis Scott Fitzgerald diceva che l’intelligenza sta nella capacità di tenere in mente due idee opposte nello stesso tempo; questo, però, non significa non prendere posizione o sostenere che tutti abbiano più o meno le stesse ragioni nel sostenere idee diverse. Al contrario, significa pensare che le risposte alle domande complesse non possano essere immediate. Non ha senso aderire a una tifoseria, perché pensare non ha a che fare con la fede ma con la pratica. Nell’orizzonte dei principi democratici, sarebbe necessario ascoltare le idee altrui con carità interpretativa, cercando di comprendere cosa l’interlocutore sta dicendo e prendendolo sul serio, cioè ritenendolo credibile. Laddove ritenerlo credibile, di nuovo, non significa essere d’accordo, dargli ragione o smettere di esprimere il proprio punto di vista.
Perché ci sia carità interpretativa, però, occorre che ci siano lealtà e cooperazione: serve, in altre parole, avere l’interesse comune di capire insieme il fenomeno di cui si parla, il tema oggetto di discussione, senza voler delegittimare o zittire l’interlocutore. Ciò che accade oggi, al contrario, è proprio il tentativo costante di silenziamento e la relativa semplificazione delle posizioni. Eppure non esistono verità assolute quando parliamo di questioni contemporanee, ma solo la disposizione a filare il pensum tutte le volte che serve.
Se parliamo di sostenibilità, per esempio, dobbiamo tenere insieme gli aspetti ambientali con quelli economici e sociali, l’effettiva applicabilità delle pratiche e la contezza che le scelte più sostenibili non sono sempre quelle più ovvie, e che i dati che raccogliamo oggi potrebbero già domani prestarsi a tutta un’altra interpretazione.
Torniamo al lavoro delle filatrici: quell’opera di raffinamento del pensum era un’opera collettiva, eppure nel corso del tempo ci siamo convinti che si pensa bene solo se si pensa da soli. L’immagine più forte è quella del Pensatore di Auguste Rodin, l’opera del 1886 che in origine ritraeva Dante davanti alla Porta dell’Inferno, e che solo dopo divenne l’immagine simbolo del pensiero dell’uomo moderno. A guardare quella scultura, sembra che pensare sia un processo duro, faticoso, solitario, e che solo così sia possibile giungere alle grandi verità elaborate dai filosofi della storia. Chi pensa bene è l’uomo nell’alto castello, chiuso tra le pareti di una biblioteca, fermo in attesa di essere colpito dal pensiero.
Eppure, quando parliamo di pensare parliamo di movimento, intreccio, mescolanza. Il Pensatore che medita in solitudine, con il corpo tutto rivolto verso se stesso, può essere un momento del pensiero, che però poi ha bisogno del dialogo per essere davvero raffinato, compreso, filato. Il grande interrogativo, quindi, è capire quali possano essere i luoghi in cui incontrarsi e prendersi tutto il tempo che ci vuole per pesare, sgrezzare e filare pensieri comuni. Perché questo accada, però, dobbiamo tornare a credere che dall’esercizio del pensiero possa derivare una vera azione efficace. Nella direzione, per quanto possibile, del bene comune.
Nell’immagine: il Pensatore di Rodin
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