Gaza, ‘the day after’: quale futuro per Israele e Palestina?

Gaza, ‘the day after’: quale futuro per Israele e Palestina?


Redazione
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Gaza, ‘the day after’: quale futuro per...

Di Arianna Ciccone, Valigia Blu

Paola Caridi, intervistata nel podcast

“Nessuno ha le mani pulite. Tutti noi in qualche modo siamo complici”. Così l’ex presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, durante una intervista, rispondendo a una domanda sul conflitto in corso fra Israele e Hamas e quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza.

Se vogliamo davvero affrontare questa questione, dobbiamo ammetterne la complessità. “Da una parte – ha detto Obama – gli attacchi di Hamas sono orribili e ingiustificabili, dall’altra l’occupazione di Israele è insopportabile. Da una parte muoiono civili a Gaza che non c’entrano nulla con Hamas, dall’altra c’è lo sterminio degli ebrei nel corso dei secoli. E si potrebbe andare avanti per ore. Invece che all’indietro, dovremmo guardare al futuro, ma questo non può succedere se ci rinchiudiamo dentro la nostra indignazione”.

Ha scritto Gershon Baskin, politico e attivista in Israele e Palestina. “Siamo tutti traumatizzati da ciò che è accaduto dal 7 ottobre. Per noi israeliani è come essere stati rimandati indietro di 80 anni, agli orrori dell’Olocausto. Il 7 ottobre non è stato un olocausto, ma dopo l’olocausto il 7 ottobre è il giorno in cui sono stati uccisi più ebrei contemporaneamente in un unico luogo, il 7 ottobre abbiamo perso il senso di sicurezza. Lo Stato di Israele ha fallito nella sua funzione primaria di garantire la sicurezza a noi cittadini. Così tante persone hanno chiesto disperatamente aiuto, ma l’aiuto non è arrivato e sono state massacrate e rapite da un nemico molto più debole del potente esercito israeliano. I palestinesi sono stati riportati indietro di 75 anni. La Nakba (ndr la catastrofe palestinese, che vide l’esodo forzato di 700.000 arabi palestinesi dai territori occupati da Israele nel corso della prima guerra arabo-israeliana del 1948 e della guerra civile che la precedette) si sta verificando ancora una volta e non solo a Gaza. La violenza dei coloni israeliani e dei militari contro i palestinesi in Cisgiordania è aumentata vertiginosamente dal 7 ottobre, con 128 morti che si aggiungono a più di 9.000 palestinesi morti a Gaza (ndr secondo i dati delle autorità sanitarie controllate da Hamas) e a circa 1,5 milioni di palestinesi a Gaza che sono nuovamente senza una casa. La tragedia umana è ovunque intorno a noi. La maggior parte di noi riesce a vedere la morte e la distruzione solo dalla propria parte, ma sta accadendo intorno a noi. Quando questa guerra finirà, israeliani e palestinesi rimarranno su questa terra angusta e dovremo ancora una volta affrontarci guardandoci negli occhi e forse, dopo tutto questo trauma, i nostri occhi, si spera, vedranno anche l’umanità dell’altro”.

Nel mondo intanto si moltiplicano le voci che chiedono di fermare la strage di civili a Gaza. L’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani ha denunciato possibili violazioni del diritto umanitario internazionale nella Striscia di Gaza, affermando che i principi di distinzione e proporzionalità non sarebbero rispettati: “Gli unici che stanno perdendo sono i civili”. Il 2 novembre scorso gli esperti delle Nazioni Unite hanno avvertito che il tempo per prevenire il genocidio e la catastrofe umanitaria a Gaza sta per scadere.

Gli stessi Stati Uniti stanno cercando di fare pressione sul governo Netanyahu per un cessate il fuoco. Ma proprio in queste ore Netanyahu ha ribadito ancora una volta il suo no, fino a quando non saranno rilasciati gli ostaggi.

Ha scritto il giornalista del Sole 24 Ore Ugo Tramballi: “Sarebbe un futile esercizio determinare quando e come questa guerra finirà. Ma finirà. Dal 1948 ci sono state quattro guerre arabo-israeliane, due in Libano, due Intifada palestinesi, cinque conflitti a Gaza. La gran parte a fatica è durata un mese, una sei giorni scarsi. Questa è al venticinquesimo. Sono invece le conseguenze di questi conflitti ad essere senza fine. Ogni guerra e ogni rivolta ha aperto la strada alla crisi successiva. Anche se Israele fosse capace di sradicare Hamas, come promette, lo scontro non sarà l’ultimo”.

E dunque qual è il piano di Israele una volta eventualmente sconfitta Hamas? Cosa succederà quando le armi taceranno? In ambienti diplomatici e non solo si inizia a interrogarsi e ragionare su “the day after“.

Con l’aumento del bilancio delle vittime e delle sofferenze umanitarie a Gaza, c’è una significativa possibilità che la ricerca di sicurezza da parte di Israele perseguita in questo modo oggi possa gettare i semi di ulteriore insicurezza domani.

Molti analisti sottolineano che l’unica soluzione a lungo termine per rispondere al bisogno di sicurezza di Israele e alle speranze di autodeterminazione dei palestinesi è di lavorare per una soluzione politica del conflitto. Una pace duratura deve tornare ad essere pensabile. E lo sarà, alcuni dicono, se gli estremisti di entrambe le parti saranno finalmente emarginati.

Gaza, ‘the day after’: quale futuro per Israele e Palestina? Ne abbiamo parlato con la storica e giornalista Paola Caridi, collaboratrice di Valigia Blu, presidente di Lettera 22 (associazione di giornalisti specializzata in politica estera), corrispondente per 10 anni da Gerusalemme, si occupa da oltre vent’anni di storia politica contemporanea del mondo arabo. Ha scritto ‘Hamas, dalla Resistenza al regime‘ edito da Feltrinelli.

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