L’era del pandemicene
Proprio mentre si diffonde l’allarme per il “vaiolo delle scimmie” (un nuovo contagio registrato anche in Svizzera) un recentissimo studio americano mette in relazione l’emergenza climatica e le prossime pandemie
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Proprio mentre si diffonde l’allarme per il “vaiolo delle scimmie” (un nuovo contagio registrato anche in Svizzera) un recentissimo studio americano mette in relazione l’emergenza climatica e le prossime pandemie
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Proprio mentre si diffonde l’allarme per il “vaiolo delle scimmie” (un nuovo contagio registrato anche in Svizzera) un recentissimo studio americano mette in relazione l’emergenza climatica e le prossime pandemie
Per tutti i virus in circolazione, la nostra epoca è un’opportunità senza precedenti. Le stime parlano di quarantamila virus ospitati nel corpo dei mammiferi ed è plausibile che almeno un quarto di questi potrebbe infettare gli esseri umani. La maggior parte di essi non lo fa, perché ha poche possibilità di adattarsi ai nostri organismi. Ma queste opportunità stanno aumentando. I cambiamenti climatici della Terra stanno costringendo gli animali a trasferirsi in nuovi habitat, alla ricerca di condizioni ambientali ideali. Specie che non sono mai coesistite nella stessa area geografica diventeranno vicine di casa e questo sarà l’occasione per migliaia di scambi infettivi nei quali i virus potranno riversarsi in nuovi ospiti e, più tardi, negli esseri umani.
Molti scienziati sostengono che i cambiamenti climatici renderanno le pandemie più probabili, ma un nuovo e pionieristico studio mostra che questo inquietante futuro è già tra noi e sarà difficile affrontarlo.
La rete planetaria di virus e animali selvatici “si sta rimodellando”, mi ha detto Colin Carlson, biologo del cambiamento globale all’università di Georgetown. E “se pensavamo di aver finalmente capito le regole del gioco, per l’ennesima volta la realtà ci ha costretto a fermarci e ci ha spiegato che non è così che funziona la biologia”. Nel 2019 Carlson e il suo collega Greg Albery hanno cominciato a progettare un’enorme simulazione che mappa le aree di distribuzione passate, presenti e future di 3.100 specie di mammiferi. Il modello serve a prevedere la probabilità che si verifichino nuovi spillover (i salti di specie) mano a mano che i territori delle specie cominceranno a sovrapporsi e i virus entreranno in nuovi ospiti inconsapevoli.
Carlson e Albery hanno ironicamente intitolato il loro studio Iceberg, per indicare una minaccia enorme, e per lo più nascosta, con la quale siamo già in rotta di collisione senza rendercene conto. La loro simulazione ha infatti rivelato che i virus dei mammiferi sono già stati drammaticamente rimescolati, probabilmente in modo non più reversibile: nemmeno se tutte le emissioni di carbonio finissero domani. L’antropocene, un’epoca definita dal potere che l’umanità esercita sulla Terra, è anche segnata dal potere che i virus hanno su di noi: siamo entrati nel pandemicene. “Il momento in cui agire per bloccare il cambiamento climatico ed evitare un aumento della trasmissione virale era 15 anni fa”, mi ha detto Carlson. “Siamo in un mondo che è 1,2 gradi più caldo rispetto ai livelli preindustriali e non possiamo fare marcia indietro. Dobbiamo prepararci all’idea che le pandemie saranno sempre più frequenti”.
Il sudest asiatico sarà l’epicentro di spillover frequenti, anche perché qui vivono moltissime specie di pipistrelli. Volare dà a questi animali flessibilità, permettendo loro di reagire ai cambiamenti climatici più rapidamente di altri mammiferi e di portare i loro virus più lontano. I pipistrelli del sudest asiatico sono inoltre altamente diversificati e tendono ad avere aree di diffusione ridotte, che non si sovrappongono.
In Africa, i pipistrelli sono probabilmente i serbatoi naturali dell’ebola. Tredici specie potrebbero potenzialmente portare con sé il virus e mano a mano che il riscaldamento globale li costringerà a disperdersi, entreranno in contatto con quasi 3.700 nuove specie di mammiferi, il che potrebbe provocare quasi cento spillover. Finora i più grandi focolai di ebola si sono verificati in Africa occidentale, ma secondo Carlson, nel giro di pochi decenni, la malattia potrebbe facilmente diventare un problema più serio anche per la parte orientale del continente. “E questo è emblematico dell’intera situazione”: tutte le malattie di origine animale muteranno probabilmente in modi altrettanto preoccupanti.
E gli spillover che inizialmente si verificano tra altri mammiferi potrebbero un giorno colpire anche noi: il virus originale della sars è passato dai pipistrelli agli umani attraverso gli zibetti e l’hiv è giunto a noi dalle scimmie passando attraverso scimpanzé e gorilla. Affinché un virus animale si trasmetta agli esseri umani, la geografia, la compatibilità biologica e altri fattori devono allinearsi in un determinato modo. Carlson non sa dire se il rimescolamento virale causato dai cambiamenti climatici sia direttamente responsabile dell’attuale pandemia, ma certamente rende tali eventi più probabili.
La simulazione di Iceberg ha anche mostrato che tali eventi saranno sproporzionatamente più comuni nelle aree con maggiore probabilità di essere colonizzate dall’uomo o usate come terreno coltivabile. “Le specie si sposteranno verso spazi di maggiore altitudine e più stabili dal punto di vista ambientale, cioè dove abbiamo costruito le città”, mi ha detto Carlson. Questa infelice coincidenza significa che i luoghi dove i loro virus si trasferiranno all’interno di nuovi ospiti “sono proprio i nostri cortili di casa”.
Il mondo, nel suo desiderio di andare oltre il covid-19, sta già dimenticando le lezioni del passato più recente, e dà forse per scontato che una crisi del genere, che definisce una generazione, si verifichi appunto soltanto una volta ogni generazione. “Ma no, tutto questo potrebbe accadere di nuovo domani”, mi ha detto Carlson. E “se per molti virus dovesse verificarsi un salto di specie”, potremmo essere colpiti da pandemie multiple allo stesso tempo.
Lo studio Iceberg è stato pubblicato su Nature, e Carlson interverrà prossimamente davanti al congresso degli Stati Uniti per spiegare la necessità di prepararsi a nuovi spillover. “E poi”, mi ha detto, “ci metteremo al lavoro per risolvere il problema”.
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